Ellie Hatcher non ha ancora una grande esperienza come detective nella NYPD, e non conosce ancora a fondo la città dove si è trasferita da Wichita, Kansas, dove è cresciuta nel mito del padre poliziotto, forse ucciso dal serial killer a cui dava la caccia, forse suicida per non essere riuscito a catturarlo: una perdita ancora difficile da gestire, e forse per questo, quando con il suo partner J.J. Rogan viene chiamata nell’appartamento di un’adolescente che quasi sicuramente si è tolta la vita, fatica a mantenere la lucidità necessaria.
Perché Julia, ricchissima adolescente, dovrebbe essersi suicidata, quando la sua vita era apparentemente perfetta? Ma la madre crede che sia un omicidio, e le pressioni che la ricchissima famiglia riesce a esercitare costringono i due detective a un’indagine che, con fatica, svela i segreti di una ragazza molto diversa dalle apparenze e li conduce alla ricerca del filo conduttore che lega Julia, alcuni giovani senza tetto, un blog di una vittima di abusi sessuali. E forse un vecchio delitto.
Nelle primissime pagine del romanzo c’è una citazione – che è più un omaggio e una dichiarazione di intenti – a Law & Order, e i numerosissimi fan della serie originaria e dei suoi spin-off non possono che esserne deliziati: chi ama Law & Order, in particolare Special Victim Unit, troverà esattamente quelle atmosfere e quella struttura narrativa: Non dire una bugia è un procedural di gran classe, che ci accompagna negli ambienti dell’Upper east side e nei rifugi per adolescenti senza tetto, tra distretto di polizia, tribunale e ufficio del procuratore distrettuale. La Burke conosce bene l’ambiente delle procure e i meccanismi delle indagini essendo stata viceprocuratore distrettuale, e la credibilità e sicurezza con cui tratta tutti gli aspetti delle indagini, compreso un realistico disincanto sui meccanismi che regolano i rapporti tra classi sociali, sono uno degli aspetti più piacevoli del romanzo.
E’ New York. Forse non quella vera, ma è sicuramente la New York che ci immaginiamo. Ed è una città patinata, contraddittoria e dai colori vivissimi.
La storia è complessa, e sfiora molti temi importanti: la violenza domestica, le molestie all’interno del nucleo familiare, l’eccesso di psicofarmaci legali che affligge gli adolescenti. La Burke si muove attraverso questi temi grazie a personaggi complessi, che si riveleranno spesso molto diversi da come li abbiamo conosciuti all’inizio, dedicando ad ognuno un capitolo differente: questo le permette di approfondire sia gli aspetti psicologici che di introdurre elementi a volte depistanti, a volte sorprendenti, che conducono il lettore a un finale forse intuibile, ma non per questo scontato. Forse l’elemento meno riuscito, o per lo meno meno convincente, è proprio lo svelamento di quello che è effettivamente successo a Julia, ma questo più per la ricchezza delle altre vicende messe in campo che per un limite della trama principale.
Non dire una bugia è un meccanismo narrativo impeccabile nel ritmo e nella trama, che offre bei personaggi e spaccati di vita metropolitana perfettamente godibili e, perché no, profondi. Come un bell’episodio di Law & Order.
Alafair Burke è figlia d’arte, suo padre è lo scrittore James Lee Burke. Ha lavorato come viceprocuratore distrettuale e pur non esercitando più la professione di avvocato, rimane un membro titolare della facoltà presso la Maurice A. Deane School of Law della Hofstra University, dove insegna diritto penale e procedura.
Al suo attivo ha le due serie dei suoi romanzi polizieschi: in uno la protagonista è il procuratore di Portland, Samantha Kincaid, nell’altro il detective Ellie Hatcher di New York.
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