Uscito il 12 febbraio per DeA Planeta con traduzione a cura di Chiara Brovelli, recensiamo al Thriller Café “Non era vero” di Clare Mackintosh.
Anna, giovane donna e mamma di una bimba di due mesi, è sconvolta dalla morte dei suoi genitori: il padre si è suicidato gettandosi dalle rocce di Beachy Head nelle acque gelide della Manica e la madre, sette mesi dopo, si toglie la vita nello stesso identico modo. Questo è quanto stabilisce il rapporto degli investigatori anche se i corpi non vengono mai ritrovati. Eppure la protagonista nutre forti dubbi: non c’è nulla nel passato della sua famiglia che possa giustificare i due gesti estremi.
A un anno di distanza dalla morte della mamma, Anna riceve per posta un biglietto anonimo con poche fulminanti parole: “Suicidio. Ne sei proprio sicura?”. Tanto le basta per rivolgersi alla polizia chiedendo la riapertura del caso: Murray Mackenzie – agente in pensione che alla cura della moglie alterna il servizio come volontario presso la Centrale – le darà ascolto e indagherà ufficiosamente all’insaputa dei colleghi.
Nella prima parte del libro l’autrice ci lascia entrare nella vita dei personaggi: ogni capitolo del romanzo viene descritto alternativamente dalla protagonista, da Mackenzie e da una voce narrante fuori dal tempo e dallo spazio che cela più di una identità. Questa scelta mi ha convinta perché permette di imparare a capire il punto di vista e la personalità di chi racconta: conosceremo la vulnerabilità di Anna, la sua difficoltà nell’elaborare il lutto, il dolore. Scopriremo quali sono i suoi sospetti e ne percepiremo le emozioni. Allo stesso modo comprenderemo il carattere del poliziotto, un uomo di circa sessanta anni, vecchio stampo, che si fida delle proprie sensazioni e che decide che il quesito posto nel biglietto anonimo meriti una risposta. Avvertiremo la sua empatia e la complessità di vivere con una donna che soffre di disturbo borderline della personalità e che lui ama senza riserve.
A metà della storia si inizia a intuire qualcosa di concreto e nel momento in cui mi sono complimentata con me stessa per aver capito (illusa!), mi sono resa conto di non avere alcun merito perché era proprio lì che l’autrice voleva condurre il pubblico, allo scopo di svelare le carte per poi rimescolarle ancora e ancora. Nella seconda parte del libro, infatti, la trama si capovolge, l’azione cerca e trova spazio, i punti di riferimento vacillano, gli indizi portano a nuove soluzioni e le svolte improvvise si susseguono fino a giungere alle ultime sei parole della pagina finale: un ulteriore colpo di scena travolgente che arriva quando tutto sembrava aver trovato una spiegazione.
Un thriller psicologico che ho letto con molto entusiasmo: lo stile della Mackintosh è stimolante e vivace, scorrevole, lo sviluppo del plot tiene alta l’attenzione, dubbi e certezze si danno il cambio sfidando la logica del lettore mentre portano pian piano alla luce i segreti di una famiglia. Il tutto con un pizzico di noir che non guasta mai.
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