Recensiamo oggi su ThrillerCafé Non fare la cosa giusta, romanzo di Alessandro Berselli edito da Perdisa Pop; decisamente, un ottimo libro.
Titolo: Non fare la cosa giusta
Autore: Alessandro Berselli
Editore: Perdisa Pop
Anno di pubblicazione 2010
Trama in sintesi
Claudio Roveri è un informatore medico scientifico. Conduce una vita di apparenze. Apparentemente è un professionista affermato, ha una famiglia felice, nessun motivo, per non sentirsi soddisfatto, in realtà le cose non vanno così bene. Roveri cova il disagio. Odia Bologna, che è diventata una città così diversa da come se la ricordava. Negri, punk e zingari ai semafori, e quella sensazione di degrado che ha ogni volta che cammina per il centro. Roveri odia, ma non fa nulla. Si rifugia nella famiglia, negli amici di sempre, nel lavoro. Fino a quando reagisce, assecondando la sua vera natura. Una sera durante un rapporto sessuale con una giovane dottoressa conosciuta per lavoro, sente suonare il cellulare, ma non risponde. A chiamare è sua figlia, in cerca di aiuto. La vita di Claudio Roveri, da quel momento in poi, cambierà una volta per sempre.
Dirò subito che Non fare la cosa giusta è un ottimo libro.
Che è un vero noir senza via di scampo e che vorrei vederlo vincitore di quei famosi premi letterari dove autorevoli tromboni scrittori dispensano la loro saggezza infinocchiando libri difficili, a volte scritti male e che non lasciano nulla dentro se non quelle solite scontate riflessioni.
Berselli racconta la crisi dell’uomo contemporaneo e lo fa senza particolari paroloni con una storia ben scritta, semplice e nera, con misura, originalità e soprattutto affidandosi a una prosa dal ritmo crescente fino al punto da farsi leggere senza soste.
Fin dall’inizio colpisce subito l’inconsueto e azzeccato utilizzo della seconda persona quale forma narrativa:
Non ho mai tradito tua madre.
Non che non ci abbia mai pensato, non sono mica un santo. È solo che alla fine ho fatto prevalere il senso di responsabilità. L’etica della famiglia, se così la vogliamo chiamare.
Rileggo la frase.
Senso di responsabilità, etica della famiglia. Sono ridicolo, ho appena iniziato a scriverti e già me la sto raccontando.
Ne prendo atto. Ricomincio da capo.
Ho sempre avuto paura. Paura di essere scoperto, di non riuscire a farla franca. Non sono bravo a mentire, Erica, e tua madre è troppo furba per non accorgersene.
È per questo che non l’ho mai tradita.
Sembra di leggere una lunga lettera che Claudio Roveri, il protagonista del romanzo, indirizza alla figlia Erica, ma non è così. Non è una lettera. È solo un monologo, o meglio, è una grande invenzione narrativa che ha il meritevole compito di mettere ben chiari e fin da subito, gli ingordi sensi di colpa divoratrici della personalità di un padre teso solo alle gioie effimere borghesi del suo tempo, a scapito delle uniche certezze irrimediabilmente perdute della famiglia, dell’amore coniugale e più di tutto, dell’amore fra un genitore e la figlia adolescente.
Nella prima parte del romanzo abbiamo un protagonista che ha speso tutti i suoi primi quarant’anni di vita per correre dietro alle apparenze (vedi la bella casa, la bella moglie avvocato, la bella figlia studente), alle prospettive di una carriera brillante, all’effimero (come il bisogno dell’aperitivo preservale nei locali chic del centro città), e con il dio denaro al di sopra di tutto.
Claudio Roveri fin dall’inizio della storia ha già sviluppato questi temi feticistico borghesi volti alla raccolta “dell’inutile prezioso” a scapito della certezza emotiva. Si è già consumato nell’autocompiacimento narcisistico del proprio IO, in costante ricerca di realizzare altri edonistici bisogni, come tradire la moglie, ovviamente con una bella donna, ovviamente in carriera, ovviamente elegante, ovviamente porca, ovviamente riservata e soprattutto capace di non intaccare i suoi beni sociali conquistati, e mi riferisco ovviamente alla famiglia, ovviamente al prestigio sociale, ovviamente a quei beni di consumo che danno un significato alla vita. La sua vita. Altrettanto ovviamente, Roveri ha cognizione del disagio che caratterizza le sue certezze, ma impegnato com’è a correre dietro al suo IO, non tenta neanche una volta di risolvere il malessere della famiglia, magari cercando un dialogo con la moglie o con la unica figlia oramai diciassettenne. Non prova neppure ad annullare la distanza creatasi fra loro, considerandola incolmabile. Non fa nulla per entrare in quel mondo di cose a lui distanti e incomprensibili, in una sola parola nel semplice mondo degli adolescenti. Eppure Claudio Roveri adora sua figlia e sa bene di avere sbagliato in tutto: “fallire come marito è un peccato veniale, ma non esserci come padre è la voce peggiore che può capitare in un bilancio esistenziale”.
Il protagonista è in tutto e per tutto cosciente del fallimento, ma non reagisce. Continua a rifugiarsi nell’effimero con l’unica conseguenza di assecondare la noia partorendo un insopportabile disagio che lo porta ad essere intollerante verso ogni cosa ad iniziare dalla sua città che oramai detesta, e a tutte le forme di vita diverse da lui (zingari, barboni, giovani colleghi, extracomunitari, ecc…). È un disagio che dapprima cresce lentamente (litiga con il compagno di scuola della figlia, attacca briga con un giovane collega in un ambulatorio, ha un acceso diverbio con Luca lo psicologo) e poi matura uccidendo il cane del vicino, pigliando a schiaffi una zingara, bruciando vivo un barbone, ma proprio quando l’attenzione del lettore è rivolta alla discesa negli abissi di Roveri, oramai intento a non fare la cosa giusta, ecco che Berselli ha quel colpo di genio che rende unico questo romanzo: Termina la prima parte all’apice del suo interesse per iniziarne una seconda diversa. Una seconda del tutto inaspettata e spettrale che getta il lettore in un turbinio di pensieri ed azioni dove non fare la cosa giusta è l’unico imperativo che legittima l’agire del nostro personaggio che oramai ha capito e detesta senza remissione alcuna la sua vita inutilmente condotta.
Le effimere certezze di uno stimato e benestante professionista quarantenne si sono trasformate in palliative menzogne e inadeguate finzioni non più in grado di trattenere i freni inibitori dell’uomo oramai deciso a scendere nell’abisso.
È in questo clima che Roveri compie degli atti inconsulti che paradossalmente gli danno iniezioni di autostima fino alla distruzione generale.
Non voglio commentare oltre, perché toglierei il piacere al lettore di godersi un bel finale del tutto inaspettato e finisco incensando quest’opera narrativa di Alessandro Berselli e complimentandomi con quel grande saggio di Luigi Bernardi abituato da sempre a fare la cosa giusta.
Ottima e comunicativa anche l’immagine di copertina in perfetta sintonia con il romanzo ed il suo recondito significato.
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