Un poliziesco magnetico, incalzante. Se cercate un giallo investigativo di classe e azione, “Non piangete per chi ha ucciso” di Ross MacDonald è il romanzo che fa per voi.

Edito da Fanucci nella collana TimeCrime, è il terzo libro della serie di Lew Archer, pubblicato dopo “Bersaglio mobile” e “Il vortice”: casi singoli, indagini indipendenti, l’unico rischio è che leggerne uno può causare dipendenza dalla scrittura dell’autore e dal protagonista che ha creato.

In “Non piangete per chi ha ucciso” tutto parte nella normalità della vita di un investigatore privato. Lew Archer viene contattato da una madre, convinta che la figlia sia scomparsa e probabilmente in pericolo. Galatea, questo il nome della ragazza, è un’infermiera, bella e coscienziosa, che va a trovare la madre tutti i mesi, ma dopo un biglietto di auguri per Natale, di mesi ne sono passati tre senza nemmeno una telefonata. Possibile che le sia successo qualcosa? Archer inizia a indagare per calmare le ansie di una madre e sembra abbastanza convinto che Galatea abbia solo cambiato aria, ma quando scopre che l’ultima volta è stata vista in compagnia di un individuo losco, con le mani in pasta con la criminalità, ecco, forse qualche motivo per preoccuparsi c’è e l’indagine inizia sul serio.

Ambientato negli USA negli anni ’60, da subito si viene conquistati dalla scrittura elegante, dalla ricchezza dei dettagli che rendono ambientazione e azioni tridimensionali, facili da immaginare e quindi da vivere. Narrato in prima persona dalla voce del protagonista, il lettore ha l’impressione di essere in un bar, con davanti un drink, ad ascoltare l’ultimo caso di Archer. La passione per ciò che le pagine offrono cresce, alimentata dalla voglia di capire, di dipanare un caso che è partito come un qualcosa di banale e sempre più si rivela complicato, ingarbugliato, un gioco di specchi e inganni dove le presunte verità si sfaldano e si ricompongono continuamente. In un ritmo che non è solo dinamico, ma serrato e a tratti forsennato, tante sorprese coinvolgono e colpisce la maestria con la quale sono distribuite nei capitoli. Nulla è lasciato al caso, tutto ha una logica, dipende solo da come si interpretano gli indizi e si analizzano i dettagli. Ross Macdonald gioca a carte scoperte, ciò che vede Archer lo vede anche il lettore e le conclusioni a cui arriva lui si possono raggiungere, ma diciamolo chiaramente, è così bella questa trama da seguire, che non ci si arrovella, si legge per godersi il racconto, felici di stare così bene in compagnia del protagonista.

L’autore è bravissimo nella creazione del suo soggetto principale, un uomo giusto, retto, e di tutte le figure che lo attorniano, sia che abbiano un ruolo importante o siano meteore tra le righe. Ogni personaggio ha la sua giustificazione, il suo perché. Curati sotto l’aspetto caratteriale e psicologico, qui si incontrano persone, non personaggi. Non c’è spazio per meri riempitivi in questo romanzo che corre veloce, ogni riga è importante, e rendere ogni minuzia leggera, appetibile in un opera che è profonda e amara, non è facile.

I dialoghi sono brillanti, interessanti e presentano una spiccata vena hard-boiled che dà ulteriore carattere a un’opera ricca di personalità. Senza essere fastidiosi o invadenti, rendono il romanzo affine al sentire del lettore.

Ambientato nel passato, l’autore non dichiara l’anno in cui la storia si svolge. Eppure sono le stesse parole che ha scritto a darci il senso temporale: ci sono le canzoni, le auto, l’arredamento delle case, il costo degli oggetti,  cenni che sommati forniscono una data approssimativa ma, ne sono certa, non molto lontana da quella nella mente di MacDonald. È un modo affascinante di esprimere il “qui e ora”. Riuscire poi a trovare ancora comprensibile e moderno qualcosa che è accaduto decenni fa, è ulteriore conferma di un talento che travalica e unisce le generazioni.

Avvincente in ogni sua parte, nel finale abbiamo la completa giustificazione del titolo. Quando si raggiunge la spiegazione, viene spontaneo ripete l’esortazione a non piangere per chi ha ucciso, perché per le anime nere non c’è redenzione e la pena e il dispiacere vanno ad altri.

Ross MacDonald ci ha lasciati nel 1983 e anzi, Ross MacDonald non è mai esistito. Era lo pseudonimo dello scrittore americano-canadese Kenneth Millar. Ha scritto il suo primo romanzo durante gli studi universitari, nel 1944, firmandosi col suo vero nome. Il primo poliziesco con Lew Archer invece, è del 1949 e l’ultimo del 1976.

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Non piangete per chi ha ucciso
  • Ross MacDonald (Autore)

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Articolo protocollato da Tatiana Vanini

Biologa per studi e mamma a tempo pieno, sono una lettrice compulsiva da quando, a otto anni, ho scoperto i romanzi gialli. La mia passione è nata con “Poirot e i Quattro” di Agatha Christie e non si è ancora spenta. Leggo gialli e thriller, sì, ma sono autrice di romanzi fantasy umoristici come La saga di Etreia, con i due volumi di “Veni, vidi... Etreia!”, la raccolta di racconti “Schegge di ordinaria allegria” (auto pubblicati) e poi nel 2023 è uscito per Edizioni Convalle “Scacco di torre per l'ispettore Ovvius” dove sono finalmente approdata al giallo anche nella scrittura. Gioco a D&D, scrivo recensioni e colleziono puffi. Adoro il Natale alla follia e quindi, i romanzi che prediligo sono proprio i mistery classici all'inglese ambientati nelle feste. Non c'è nulla come una bella riunione di famiglia per scatenare l'istinto omicida!

Tatiana Vanini ha scritto 17 articoli:

Libri della serie "Lew Archer"

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