Un thriller avvincente narrato dal punto di vista della giuria chiamata a decidere su un controverso caso di omicidio.
Francesco Caringella, barese d’origine e romano d’adozione, è un autore con una notevole esperienza in materia giuridica come testimonia il suo curriculum (Attualmente è Presidente di Sezione del Consiglio di Stato). I suoi libri sono stati molto apprezzati dalla critica e il suo secondo romanzo: Non sono un assassino ha ispirato l’omonimo film di Andrea Zaccariello, con Riccardo Scamarcio.
Il suo quarto romanzo, Oltre ogni ragionevole dubbio, così come si può intuire già dal titolo, è un omaggio al film di Lumet del ’57 “La parola ai giurati” con il mitico Henry Fonda (con un remake di Friedkin nel ‘97 con protagonista Jack Lemmon).
Si tratta di un legal thriller all’americana dove la maggior parte della narrazione si sviluppa all’interno delle aule del tribunale, in particolare nella camera di consiglio dove il giudice, in questo caso una donna, Virginia della Valle, si ritira per la decisione sulla causa.
La giuria è composta da otto persone: sei giurati popolari e due magistrati che devono decidere della colpevolezza o dell’innocenza di due imputati, Antonella e Giulio, amanti. Il caso è anomalo, la vittima Michele De Benedectis, scompare misteriosamente ai primi di gennaio ma i suoi conti correnti sono stati ripuliti e il testamento cambiato di recente a favore della seconda moglie, la giovane e conturbante Antonella. La bella moglie ha intrecciato una relazione con Giulio, giovane e spiantato musicista con il quale rende pubblica la relazione poco dopo la scomparsa del marito. Gli inquirenti, insospettiti dagli strani movimenti bancari di De Benedectis a favore della giovane moglie, prima della sua scomparsa, intercettano i cellulari dei due giovani amanti e dai loro dialoghi scoprono la complicità della coppia nell’assassinio e nell’ occultamento del cadavere del marito della donna.
Dalle dichiarazioni dei due accusati però, emerge un quadro piuttosto confuso: entrambi si accusano dell’omicidio dell’imprenditore, ma cambiando più volte versione, sia su chi sia stato l’esecutore, sia sulla modalità del assassinio, fino all’arma del delitto, introvabile, così come il corpo della vittima. La perlustrazione del fiume dove è stato gettato il cadavere – così come indicato dagli imputati – ha portato a ritrovare, infatti, solo una scarpa e un documento appartenenti a Michele De Benedectis. Questo ritrovamento, insieme alle intercettazioni in cui i due accusati parlano del delitto commesso e di come hanno fatto sparire il cadavere, sono gli elementi in mano all’accusa.
Intanto la vicenda giudiziaria è subito diventata un caso di cronaca prediletto dai media grazie al giornalista Ferdinando Coppolecchia, (ex fidanzato del giudice Della Valle) anchorman di una TV locale, dove la giustizia diviene spettacolo trash.
La giuria si trova così davanti un compito difficile: condannare entrambi gli imputati sulla base di indizi frammentari o assolverli entrambi per insufficienza di prove.
Ore e ore di camera di consiglio non dirimono la questione, la frattura nella Corte d’Assise diventa insanabile e il peso del voto decisivo sarà ancora una volta sulle spalle del giudice Virginia Della Valle, tormentata dai dubbi e dai fantasmi di sentenze passate che pesano come macigni sulla sua coscienza.
La sentenza, così come gli altri colpi di scena riservatici dall’autore nell’epilogo, li lasciamo alla lettura del romanzo, un legal thriller veramente ben confezionato, sia nella trama che nella costruzione dei personaggi. La narrazione è fluida e coinvolgente e descrive in modo adeguato i tormenti di Virginia e i cambiamenti di opinione che coinvolgono i giurati che si dividono tra quelli che hanno quasi paura a esprimere la loro opinione e quelli invece così sicuri da avere il verdetto già in tasca.
Il giudice Virginia Della Valle incarna nel suo ruolo il dubbio, la lotta al pregiudizio, il bisogno che la giustizia vada “oltre ogni ragionevole dubbio” così il meccanismo che la governa può prescindere anche dalla presunta verità dei fatti o dalle inequivocabili sensazioni di colpevolezza degli imputati.
Lo scrittore porta al centro della narrazione il meccanismo giudiziario intorno al pronunciamento di una sentenza e il delicato compito del presidente di incanalare tutte le osservazioni e i pareri verso un’unica corrente di pensiero che rappresenti nel modo più fedele possibile l’accaduto e che cerchi di trovare la risposta più plausibile.
Sullo sfondo l’arena virtuale dei media, pronta a dare in pasto al grande pubblico, assetato di storie morbose, un processo basato su una ricostruzione faziosa dei fatti, dove è facile schierarsi è l’unica cosa che conta è solo l’audience.
Francesco Caringella costruisce un sofisticato giallo giudiziario ambientandolo a Bari la sua città natale, ma per l’accuratezza nei particolari, lo sviluppo della narrazione, l’enfasi nei dialoghi potrebbe trattarsi di una sceneggiatura di un poliziesco ambientato a New York. La staticità dei personaggi, così come la ripetitività di alcune situazioni inerenti soprattutto la situazione della giuria, possono considerarsi il punto debole del romanzo ma allo stesso tempo ne rafforzano lo stile, con un ambientazione castrofobica, a mio parere un effetto voluto dall’autore, a scapito dell’adrenalina dei classici thriller che ruotano intorno all’azione di un temibile serial killer. Non manca invece la suspense, anzi è resa ai massimi livelli grazie alla scelta stilistica dei capitoli brevi, intervallati dalla narrazione epistolare della storia di Antonella che scrive una lettera dal carcere il cui finale sarà svelato solo nell’epilogo. Colpi di scena che quindi non mancano, in un finale che finirà per ribaltare completamente gli eventi.
Un legal thriller superbo da tutti i punti di vista, sicuramente uno dei migliori che abbia letto negli ultimi anni. Finalmente una lettura diversa rispetto ai canoni ormai ripetitivi del thriller, un libro che riesce ad essere originale pur attingendo dalla tradizione del giallo classico e ha il merito di regalare al lettore un punto di vista diverso nella narrazione di un delitto, riuscendo allo stesso tempo nel difficile compito di incuriosire e appassionare a tal punto il lettore da non vedere l’ora di arrivare all’ultima pagina per conoscere il finale della storia.
Francesco Caringella già commissario di polizia e magistrato penale a Milano durante «Mani pulite», è presidente di Sezione del Consiglio di Stato. Inoltre, è presidente della Commissione di garanzia presso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e giudice del Collegio di garanzia dello sport presso il Coni. Autore di molte opere giuridiche e da decenni impegnato nella formazione di futuri magistrati e avvocati, ha pubblicato tre libri di narrativa: Il colore del vetro (2012), Non sono un assassino (2014; Premio Roma per la narrativa), Dieci minuti per uccidere (2015) e Dieci lezioni sulla giustizia (2017).
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- Caringella, Francesco (Autore)