E’ uscita ad inizio maggio per Sonzogno la sesta, attesissima puntata delle avventure del trio del casello, la fortunata serie inventata da Rosa Teruzzi. Diciamo subito che – dopo il successo degli episodi precedenti e soprattutto ora, che La Memoria del Lago è entrato tra i finalisti al Nebbia Gialla Festival – Rosa era ingaggiata ad un’impresa non semplice: mantenere quel livello di aspettativa, curiosità ed appagamento che tanti lettori e lettrici le avevano tributato in passato (basti pensare al numero di download ottenuto con La fioraia del Giambellino).

Con Ombre sul Naviglio la scena zigzaga tra Cesenatico e Milano, ma quella che Rosa preferisce, la periferia, le zone popolari. Le sue protagoniste vivono al Giambellino e qui danno la caccia a tre (il numero ritorna!) bizzarri rapinatori, i quali a loro volta manifestano un certo understatement, andando a colpire bersagli di mezzo tono sparsi tra le case a schiera di via degli Etruschi, di Villasanta (città natale dell’autrice) e Rosate fino al dopolavoro per pensionati in piazza Insubria.

Se gli scarni bottini, dichiarati dai derubati, non meriterebbero l’attenzione dell’opinione pubblica, una caratteristica della banda piace subito molto alla stampa ed ai lettori: i tre si travestono rispettivamente da Gatto con gli stivali, Zorro e Fata Turchina e ad ogni loro apparizione, con tanto di spadino e bacchetta magica, guadagnano popolarità e simpatia.

Nella lunga e piovosa estate del 2014, in cui Rosa sta collocando tutte le sue storie, qui siamo arrivati ormai a fine settembre, i matrimoni scarseggiano ma la vera ragione per cui Libera si butta nella nuova avventura è, ancora una volta, legata all’uomo che lei ama da tempo senza apparente successo, visto che Gabriele ha un’altra. E costei aspetta un bambino.

Scarrozzate sulla Panda, accompagnate da Irene, la “Smilza” giornalista che scrive di nera per il quotidiano “più amato dalle portinaie”, Libera e la sempre frizzantissima Jole si mettono alle calcagna dei rapinatori fino a scoprirne l’identità e … prendere a loro volta posizione in loro favore perché “i cattivi – che piacciono alla Teruzzi – sono quelli che hanno una giustificazione che capisci anche se non condividi”.

La trama di Ombre sul Naviglio è molto gradevole, ha un sapore vagamente retrò (come non paragonarla a certi noir alla Bonnie e Clyde?), il ritmo ben congeniato e neppure una sbavatura tecnica, come è giusto aspettarci da una scrittrice che da trent’anni si occupa di cronaca nera, prima al quotidiano La Notte, ora caporedattrice di Quarto Grado. Tornano anche certe caratteristiche dei personaggi che hanno contribuito a decretare il successo di questi romanzi, dove ad investigare sul serio è solo Vittoria, la figlia poliziotta, ma la soluzione del caso è affidata a due dilettanti, come sua madre e sua nonna, e soprattutto dove la protagonista assoluta, Libera, è una donna timida, romantica, con una serie di fallimenti personali alle spalle (è rimasta vedova giovanissima e ha dovuto chiudere l’amata libreria), con qualche chiletto di troppo, per cui va a correre ad ore antelucane, soffre di insonnia e soffre per amore, senza decidersi a prendere iniziative perché è “una muflona”. Allora si rintana nel suo casello, tra fiori e libri, e cucina e sfaccenda e si occupa delle altre due, che invece non fanno nulla per aiutarla in casa.

Quel che mi è piaciuto particolarmente in questo romanzo (ho letto anche gli altri cinque) è la sensazione nettissima che Rosa Teruzzi sia molto maturata ed abbia acquisito sicurezza nella propria scrittura, come lei stessa ha dichiarato in un’intervista. Questo le consente un cameo alla Hitchcock ma soprattutto qualche soddisfazione personale quando, non “tra” ma proprio “nelle” righe del suo libro sminuzza qualche critica al mondo della carta stampata, dai quotidiani (“La decima ora? Ma che tipo di contratti avevano questi giornalisti? O era solo Cagnaccio a pretendere una devozione da schiavi?) alla “solita accozzaglia di editori, scrittori falliti e finti intellettuali da buffet”.

Chi si aspetta da un giallo che ne sgorghi sangue a fiotti, che il killer sia anche uno sciupafemmine e che l’investigatore – privato o appartenente alle Forze dell’ordine – mastichi sigari e mangi schifezze, non legga Rosa Teruzzi. Nei suoi libri le ricette sono profumate (non per nulla la corteggia uno chef), gli ambienti sono leggiadri (anche l’amica Sarah ha un negozio di fiori), si trovano tanti riferimenti letterari a libri e a scrittori (qui compare Andrea Pinketts, all’epoca ancora vivo). Ma chi ama pensare che anche la vita di una persona “normale” possa diventare avvincente come in un romanzo, qui si divertirà molto.

Recensione di Alessia Sorgato.

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Articolo protocollato da Alessia Sorgato

Alessia Sorgato, classe 1968, giornalista pubblicista e avvocato cassazionista. Si occupa di soggetti deboli, ossia di difesa di vittime, soprattutto di reati endo-famigliari e in tema ha scritto 12 libri tra cui Giù le mani dalle donne per Mondadori. Legge e recensisce gialli (e di alcuni effettua revisione giuridica così da risparmiarsi qualche licenza dello scrittore) perché almeno li, a volte, si fa giustizia.

Alessia Sorgato ha scritto 121 articoli:

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