Troppe volte quando affronto un romanzo da recensire mi torna in mente la celeberrima battuta di Massimo Troisi: “Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere.”
Ebbene, dichiaro in tutta onestà che, non avendo mai letto un romanzo di James Patterson della serie di Michael Bennett, ho avuto molta difficoltà a districarmi nella psicologia del personaggio principale di Omicidio a Manhattan (Longanesi).
D’altronde, la battuta cinematografica è tutto fuor che una boutade se la riferiamo proprio a Patterson che, avvalendosi di una miriade di collaborazioni con altri scrittori (tra cui Maxine Paetro, Andrew Gross, Mark Sullivan, Ashwin Sanghi, Michael Ledwidge e Peter De Jonge), ha dato vita a una bibliografia ramificata come il delta del Mississipi!
Anche questa volta, peraltro, il romanzo è scritto a quattro mani con James O. Born.
Eccomi pronta, però, a tirare le fila dei piccoli indizi sparsi tra le interlinee, che dovrebbero servirmi a ricostruire la storia del detective Michael Bennett di New York alle prese con un camaleontico thriller, ingaggiato dal cartello messicano per ucciderlo.
Fare il padre è più difficile che fare il poliziotto.
Non è la prima volta che la sua professione di detective danneggia uno dei suoi figli. Il più grande dei dieci ragazzi da lui adottati, Brian, è detenuto per spaccio con una condanna esemplare, a detta del procuratore che commentò la sentenza. E proprio Brian verrà accoltellato in carcere per mandare un segnale al padre, impegnato con il partner Antrole Martens in indagini relative a una recrudescenza di violenza tra il cartello messicano e la mafia canadese.
Ma è proprio quando i due detective seguiranno una segnalazione anonima che li porterà in un condominio fatiscente su 161st Street per eseguire l’arresto di un sospetto coinvolto in un omicidio legato allo spaccio di eroina, che segnerà l’incontro del lettore con il killer. L’imboscata in cui perderà la vita Martens e Bennett rimarrà ferito era stata pianificata con cura ma eseguita malamente da un gruppo di dominicani, assoldati per l’occasione. Bennett non riuscirà a conoscere l’identità del killer fino all’epilogo finale, ma il lettore sì, perché l’alternarsi delle scene (ops, lapsus freudiano, dei capitoli brevi) permette a chi legge di essere un passo avanti al detective.
La madre del ragazzo che hai ammazzato in biblioteca – disse alla fine – Diego Qualcosa. Ѐ lei che ha fatto pressione sul cartello. Ho sentito dire che hanno addirittura assoldato un sicario di Bogotà. Aveva il compito di occuparsi di alcuni canadesi e anche di te. Da quello che mi hanno detto, è in gamba. Potresti non vivere abbastanza per riferire questa conversazione.
Mimetica, fredda, preparata fisicamente Alex è un killer di professione ma che detesta uccidere per un motivo che non siano i soldi. Le vittime collaterali non sono ammesse nella propria puntigliosa pianificazione degli omicidi e troppo spesso, secondo me, si fa prendere da scrupoli di coscienza in proposito.
Alex non riuscì a vedere bene cosa fosse successo, ma sapeva di aver ucciso una donna innocente. Merda.
Ho sottolineato con l’evidenziazione altri tre o quattro esempi di questo tipo, come quando le ripugna di tenere sotto tiro la figlia di Bennett, oppure deve decidere velocemente se uccidere un uomo con il quale aveva avuto la storia di una notte perché l’avrebbe potuta riconoscere e lo grazia solo perché si intenerisce, sentendolo parlare della figlia piccolina.
Tutto ciò cozza con la preparazione tecnica che Patterson, o forse il suo consulente delle forze dell’ordine James O. Born, coautore del romanzo, hanno donato al personaggio.
Era imbarazzante che lui e i suoi soci credessero di essere in grado di ucciderla.
Questo scrivono di lei e della sua confidenza con il proprio lavoro. Il ché non mi sembra molto in linea. Insomma, tra tutti i personaggi, proprio Alex la killer non mi ha convinta affatto.
A proposito di James O. Born, volevo sottolineare quanto il suo apporto sia stato fondamentale per i thriller della serie di Michael Bennett. O. Born, infatti, è un ex appartenente alle forze dell’ordine, divenuto scrittore professionista dopo aver iniziato una collaborazione come esperto di procedure di polizia all’inizio degli anni ’80 con Elmore Leonard, che lo incoraggiò a scrivere. Solo nel 2015 fu contattato da James Patterson con il quale ha iniziato una stretta e proficua collaborazione proprio a partire dal personaggio di Bennett.
Insomma, una coppia collaudata che da vita da anni a polizieschi godibili, dal forte impatto cinematografico.
Riuscirà Bennett a sostituire nell’immaginario di Hollywood il tanto fortunato Alex Cross?
Who is who?
La bibliografia di James Patterson è sterminata, ma l’aveva ricomposta per noi nel gennaio 2016 il compianto Elvetio Sciallis nel post “James Patterson – la Biografia”, al quale vi rimando per intero.
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Articolo protocollato da Monica Bartolini
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