L’editore Perrone ha da poco fatto uscire il romanzo “Omicidio al Roadhouse” di James Ross, con la traduzione di Seba Pezzani. Si tratta di un romanzo originariamente pubblicato nel 1940 e solo ora tradotto in italiano. Il prologo è nientemeno che di Joe R. Lansdale, altro scrittore di thriller “sudista” americano molto noto. Come ci ricorda Lansdale nella sua introduzione, le atmosfere e i personaggi dell’opera di Ross sono infatti prettamente “sudisti” e, a dire sempre di Lansdale, siamo di fronte a uno dei migliori gialli di questa tipologia. Lo stesso Chandler pare apprezzasse molto le opere di Ross.
Protagonista della vicenda è lo squattrinato Jack McDonald, contadino del North Carolina che nell’epoca della grande depressione ha perso tutti i suoi averi e i raccolti e vaga senza meta tra una rivendita di alcolici e l’altra, vivendo alla giornata. Fino a quando non incontra Smut Milligan, gestore di una pompa di benzina e intraprendente “affarista”, il quale gli propone di essere il suo primo aiuto nel nuovo Roadhouse che ha intenzione di aprire. Jack accetta di buon grado, senza immaginare che questa scelta lo porterà a confrontarsi con un omicidio.
La prima parte del romanzo è piuttosto descrittiva, i personaggi sono avvolti nel clima “pastoso” del North Carolina, ma a un certo punto, quando la vicenda entra nel vivo e viene svelato l’omicidio, gli avvenimenti procedono a ritmo serrato e si susseguono in un turbinio di colpi di scena fino all’epilogo finale.
Ross ha una straordinaria capacità descrittiva che usa in modo molto efficace nella prima parte, nella quale introduce il contesto della provincia americana del sud negli anni trenta del Novecento, mettendo a fuoco non solo il panorama sociale di riferimento, ma anche un nutrito palcoscenico di personaggi che va al di là dei due protagonisti ed emerge in modo molto naturale grazie alla tecnica con la quale sono raccontate le vicende.
Il protagonista Jack McDonald è raccontato in modo sublime e rivela il classico carattere dell’uomo del Sud degli Stati Uniti: sornione e disincantato, assuefatto al male, non tanto perché travolto dalla cupidigia o dalla brama di potere, quanto perché rotto a ogni esperienza e quindi incapace di nutrire una sana speranza nei fatti della vita. Jack è il narratore della vicenda ed è quindi il filtro attraverso il quale Ross vuole farci vedere la vicenda. Sullo sfondo emergono i tipi umani che domineranno la scena anche per il resto del secolo: politici e funzionari corrotti, imprenditori privi di scrupoli e bramosi di denaro e potere, rampolli di ricche famiglie incapaci di sostenere il ruolo sociale che il destino avrebbe loro riservato. Il registro è quello dei classici drammi familiari e sociali del sud (cui Lansdale ci ha abituato molto bene).
Il finale, come già detto, si avvita progressivamente nel vortice degli eventi, ma, in modo quasi sorprendente, non chiude completamente a uno scenario di redenzione. Seppure in uno scenario paludoso e sospeso, che fa pensare agli ambienti tipici di questa zona, nelle vicende finali e nell’epilogo, si fa timidamente strada un piccolo spazio di moralità che “buca” la scena e ci lascia con un flebile anelito di speranza. E se certamente non si può dire che il finale di Ross sia un finale rassicurante e ottimista, non ci pare del tutto azzardato dire che un barlume di giustizia è stata fatta.
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