Ho letto di furti audaci, strampalati e religiosi, su tutti D. Westlake con “Meglio non chiedere“, dove una banda d’affermati professionisti del crimine diretta da Dortumunder ruba la reliquia miracolosa di Santa Fergana.
Ho visto film di furti audaci, strampalati e religiosi, su tutti “Operazione San Gennaro” con il grande Nino Manfredi nella parte di Armanduccio Girasole detto Dudù e con nel mirino l’inestimabile valore del tesoro del patrono di Napoli.
Oggi ho letto di un furto audace, strampalato e religioso fatto da Angelo (il Cencio), Osvaldo (il Gigante), Lorenzo (il Gagà). Una banda improvvisata, alter ego dei tre scrittori italiani che nella vita fanno proprio gli stessi mestieri dei nostri raffazzonati furfanti, e infatti, Riccardo Besola è un pubblicitario (il Gagà e mente del gruppo), Andrea Ferrari dirige una comunità per anziani con balera e bocciofila (il Gigante) e Francesco Gallone vende fiori artificiali al mercato (il Cencio).
Il furto è fra i più incredibili che una banda abbia mai pensato di effettuare. Si tratta di rubare un’enorme statua tutta d’oro. 500 chili d’oro, alta più di 4,00 metri, posta a circa 100 metri d’altezza, nel posto più in vista della città di Milano e in quello più arduo da raggiungere. E sì, l’avete intuito. Si tratta proprio della Bella Madonina che te brilet de luntàn tutta d’oro e… Tutta d’oro? D’oro un cavolo. Quella è la leggenda. Nei fatti è semplice rame dorato, ma i tre invece la credono veramente d’oro e non devono far altro che rubarla con l’aiuto di un elicottero, poi una volta ridotta a pezzi, ricavarci più soldi possibili per risolvere ognuno i sui problemi, perché la nostra banda è decisamente ridotta alla canna del gas in una Milano del 1973, dove trionfa l’edilizia selvaggia (l’Osvaldo rischia di perdere il suo ristorante con bocciofila se non lo riscatta a danno di un costruendo orribile stabile in via Ripamonti), dove proliferano bande criminali che tengono sotto scacco la polizia (il Gagà per qualche prestito in più rischia di essere ammazzato dagli strozzini) e dove si vede per la prima volta l’affacciarsi in quella realtà dello spettro della disoccupazione (il Cencio ha perso il suo lavoro da fioraio e deve mandare avanti la numerosa famiglia).
Rispetto ai citati Dortumunder e Dudù che rubano solo per denaro, per il nostro trio far sparire la Madonnina non è solo risolvere i rispettivi problemi economici, ma qualcosa di più, è quello che “mai nessuno, prima d’ora ha osato fare: profanare il simbolo stesso della città di Milano. La città che ha generato il loro bisogno ha generato anche la loro necessità. E la loro necessità è tremenda, in tutta la sua disperazione“. Oltre ai soldi c’è di più, molto più della rivalsa di gente disperata che in questa città ha visto il pane “Milan gh’è il pan“. In questo gesto disperato c’è “il significato simbolico, la metafora di rubare ciò che di più prezioso e rappresentativo possiede chi ti ha tolto tutto. Tutto….. e Osvaldo per la prima volta prova un odio profondo per quel catino di menzogne di cemento e menzogne che è diventata la sua città. Milano che oramai è amara come un bicchiere di olio di ricino“.
Il piano è semplice da attuare. Basta un elicottero, imbracare la statua e via, ma se il pilota è un reduce americano della seconda guerra mondiale che ogni volta attacca la solfa di: “Eravamo io, Johnny Michigan, Karl e Lenny Malone“, allora le cose si complicano.
Operazione Madonnina oltre a Angelo, Osvaldo e Lorenzo ha altri due protagonisti minori altrettanto completi e ben caratterizzati: l’ispettore di PS Benito Malaspina (chissà se i tre scrittori sono a conoscenza che il carcere di Caltanissetta si chiama proprio con il cognome del poliziotto) ossessionato dall’essere al centro dei pensieri del boss Ugo Piazza che vuole ucciderlo per vendetta e Dino Lazzati detto Fernet, superstizioso e valido giornalista di cronaca nera. Ma tutti i personaggi di quest’opera sono ideati nel modo migliore. Sono completi, psicologicamente trattati, perfetti e socialmente inseriti in quella Milano del 1973, così ben ricreata anche nei dettagli politico sociali.
La narrazione in terza persona è bella, lucida, serrata, efficace, diretta, ironica quanto basta e intercalata da dialoghi in dialetto milanese piacevoli e caratteristici, che fanno vivere perfettamente l’ambientazione, l’epoca dei fatti, le miserie e i tradimenti del dopo boom economico della nostra Italietta.
Questa impeccabile dimensione storico-sociologica, la stessa trama di per sé originale, l’ottima caratterizzazione dei personaggi tutti, e il brillante stile narrativo, collocano l’opera del trio Besola – Ferrari – Gallone fuori dal romanzetto e la fanno meritevole di un posto di considerazione nella moderna narrativa italiana, più che capace di confrontarsi con quella d’oltre oceano, e di fronteggiare a testa alta i colossi dell’editoria commerciale.
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