Il miglior Ian Rankin di sempre compie il miracolo di far rivivere la prosa del grande William McIlvanney nel prequel delle avventure di Jack Laidlaw dal titolo Oscuri resti, edito da Feltrinelli.
Come si è approcciato Ranking alla storia lasciata incompiuta dal Maestro del Tartan Noir? Scopriamolo insieme, sorseggiando un Antiquary, l’iconico blended dalla bottiglia sfaccettata, caro al nostro protagonista.
“Tutte le città sono pervase dal crimine. Fa parte del gioco. Riunisci insieme abbastanza persone nello stesso punto, e in una forma o nell’altra il male si manifesta. Garantito. È la natura della bestia. Nella coscienza della maggior parte dei cittadini, questa condizione è sopita. Le preoccupazioni della vita quotidiana oscurano ogni senso di minaccia. Sono in modo intermittente […] le persone pensano a quanto casuale e vicino sia il rischio. A volte avvertono con rinnovata consapevolezza che ai margini dell’apparente normalità incombe una specie di stramberia ubiqua e minacciosa.” (incipit)
Benvenuti nella Glasgow del 1972, dove una coppietta appena uscita da un pub scopre il cadavere di un uomo nel vicolo dove avrebbe voluto appartarsi. Ecco che il casuale rischio, diviene molto vicino, finendo per scatenare le bestie del sottobosco del crimine.
La vittima è l’avvocato Bobby Carter, noto per essere il braccio destro di Cam Colvin, ma il luogo del ritrovamento del cadavere è nel territorio del clan rivale, quello di John Rhodes. Una chiara provocazione o una casualità?
Il comandante Robert Frederick pensa di avvalersi del fiuto di un detective appena assegnato alla sua unità, la cui fama di cane sciolto lo precede, Jack Laidlaw. Frederick sa che deve essere “maneggiato con cura” se si vuole trarre il meglio da lui e lo affida al più pacato Bob Lilley.
“Lilley si aprì un varco tra la folla fino al bancone, dove Laidlaw alternava sorsi di whisky e tiri di sigaretta. Era un uomo di bell’aspetto, con le spalle larghe e la mascella quadrata, ma in mezzo a quelle persone aveva un’aria poco felice, come se la vita lo avesse già sottoposto a un duro interrogatorio, nonostante non avesse ancora quarant’anni. Si portava dietro un bagaglio difficile (Lilley conosceva alcune storie), ma i giudizi potevano aspettare.” (pag. 22)
Il fiuto da segugio di Laidlaw lo indirizza verso le tane di tutti i balordi della città, piccoli gangster dalle grandi aspirazioni e dai gregari irruenti, messi in allarme da una possibile ridefinizione dei confini delle loro zone di ingerenza.
Ma c’è un particolare che più di tutti si evidenzia nella mente dell’ispettore: la vedova, la bellissima Monica Carter, sembra sia ambita da più contendenti, appartenenti alle diverse fazioni, e avesse anche ripreso da poco i rapporti con l’ex marito, ingenerando l’ira del potente avvocato. Che la gelosia possa essere la chiave per risolvere il caso? E se così fosse, ci sarebbe margine di tempo per disinnescare la guerra tra gang che già sta fornendo nuovi cadaveri all’obitorio?
Il fatto è, Bob, che tu sei venuto di corsa verso un caso di omicidio. E’ qui che lo risolveremo.”
“Al Top Spot?”
“In strada,” lo corresse Laidlaw. “Sedere a una scrivania ti toglie ossigeno. Forse qualcuno pensa che il lavoro di polizia si faccia così, ma non io. Io conosco bene questa città, oserei dire. Ed è perché continuo a fare i compiti.” (pag. 62)
Quando il Barman mi ha assegnato questo libro ho fatto salti di gioia, perché non ho mai nascosto che nutro un vero e proprio amore letterario per William McIlvanney e il suo Jack Laidlaw, del quale ho recensito già tutta la trilogia (Come cerchi nell’acqua, Il caso Tony Veitch e Strane Lealtà).
La prima curiosità che ho avuto è stata quella di capire quanto il lavoro di Rankin fosse stato meramente compilativo o più propriamente creativo e dunque, che tipo di materiale avesse lasciato McIlvanney: pagine scritte a mano (come era suo costume) o dattiloscritte? Poche o tante? Solo il soggetto o già una bozza di stesura da rivedere?
Ebbene, Rankin stesso mi ha risposto, perché ho trovato un’intervista in cui ha dichiarato che la vedova gli ha consegnato un centinaio di fogli scritti in calligrafia, affinché terminasse il progetto iniziato dal marito. Pagine pesanti come macigni che ha dovuto soppesare bene, per potersi adattare alla prosa del collega e portare a degna soluzione il poliziesco.
E’ stato facile? Neanche un pò, a cominciare dalla cosa più banale, ossia dall’impossibilità di fare sopralluoghi a Glasgow (Rankin vive ad Edimburgo) perché si era in pieno lockdown pandemico. Cosa fare dunque? La prima idea geniale è stata quella di recuperare on line vecchie copie del Glasgow Herald, cosa che è divenuta una sorta di nemesi cartografica, giacché Rankin ha raccontato che quando conobbe McIlvanney a un firmacopie, gli confessò che anche lui scriveva, ma il suo personaggio (John Rebus) si muoveva a Edimburgo. McIlvanney gli scrisse allora sulla copia “Good luck to the Edimburgh Laidlaw“. Preveggenza pura!
Poi si è messo di santa lena a rileggere “several times” la trilogia di Laidlaw per cercare di assorbirne lo stile e riprodurlo. Meno poetico e filosofico di McIlvanney, maestro di ardite similitudini e aggettivazioni geniali, ma più asciutto ed efficace, Rankin è stato bravissimo nel rallentare le azioni e rarefare le atmosfere, tanto da rendere molto plastiche le parti relative ai malavitosi che, fra tutti, sono i personaggi più riusciti.
La mala in evidenza sotto la spinta della suggestione de Il Padrino di Coppola? Forse sì, anche perché nel romanzo stesso si accenna proprio al fatto che il film stava spopolando nelle sale.
Il mio personaggio preferito, però, è il senza tetto Eck Adamson, che diventerà informatore di Laidlaw e involontario artefice della sua indagine in Strane lealtà. Onnipresente e puntuale nel riferire, Eck sarà sempre un punto di riferimento per Jack e una sorta di legame speciale li terrà uniti.
“Ti ho detto che conosco le strade,” disse Laidlaw. “Ma Eck ha una laurea e vari diplomi, in questo campo.”
Come a dimostrarsi d’accordo con quella valutazione, Adamson sollevò il bicchiere di rum in un gesto di brindisi, poi lo vuotò in un solo sorso. Fece una pausa di un respiro, quindi si dedicò alla birra.” (pag. 65)
Dove Rankin è stato magistrale e totalmente aderente alle tematiche care a McIlvanney è sul modo dolente in cui Laidlaw osserva il cambiamento di Glasgow che, badate bene, è sempre uno dei personaggi principali dei romanzi, come già evidenziavo nella recensione de Il caso Tony Veich.
Glasgow “la città con il viso controvento, indurito in una smorfia” ha conquistato anche il cuore di Rankin che la descrive con queste parole: “Si domandò se Glasgow sarebbe sempre stata così. Prima o poi un cambiamento sarebbe arrivato, ne era certo. I posti di lavoro non potevano continuare a sparire, le gang a diventare più feroci, le vite delle persone più insicure. A un tratto una giovane donna lo superò spingendo un passeggino, che guardava come se avesse appena inventato il primo neonato del mondo. Per lei, Laidlaw non esisteva. Per lei, nulla era importante, se non la nuova vita di cui si stava occupando; e finché poteva continuare a occuparsene, nel mondo non percepiva nulla di squilibrato. “La speranza sgorga eterna,” disse Laidlaw ad alta voce.
Sono quasi sicura che la definizione di pag. 112 sia frutto della sensibilità e del sarcasmo di Rankin, perché sono certa di intravedere invece la mano del Maestro in quella di pag. 45, sia per le similitudini presenti sia per il bellissimo aggettivo settaria.
“I vecchi palazzi venivano demoliti, sostituiti da grattacieli lucenti, e un’autostrada attraversava la città. Le vecchie certezze sarebbero state presto schiacciate come cicche di sigarette sotto una scarpa. Ma Laidlaw non dubitava che le nuove case non avrebbero fatto molto per risolvere i problemi endemici di Glasgow. Dietro vernici e intonaci nuovi, avrebbe trovato sempre povertà, matrimoni senza amore, violenze domestiche, bile settaria, come brutti tatuaggi nascosti sotto una camicia pulita.”
Con grande rispetto e considerazione per l’amico defunto, Rankin ha dichiarato che “Willie era un letterato non uno scrittore di best seller. Era interessato ai grandi temi e alle grandi questioni morali. Ha usato la crime novel per esplorare la società scozzese e la condizione umana.” E questo è sicuramente il grandissimo valore letterario di McIlvanney. Quello di Rankin, secondo me, è quello di aver raccolto con affetto e gratitudine una sfida immensa e di esserne uscito trasfigurato.
Come ne sono sicura? Da scrittrice vi dico che non potrebbe essere altrimenti, tanto da aspettare con ansia di leggere una nuova fatica dello scrittore scozzese, che ha dimostrato appieno – se mai ce ne fosse stato bisogno – di essere il vero erede del grande Maestro.
Un’ultimissima annotazione sulla trasposizione del titolo in Italiano: The dark remains non può essere trasposto in Oscuri resti, non ha senso, non solo in Inglese ma proprio nell’economia della storia narrata. L’amarezza di Laidlaw si specchia in quel the dark remains, che non è riferito a “resti umani” bensì alla nube densa che avvolge la natura umana dopo un crimine.
E sia ben chiaro che questo non è imputabile all’ottimo Alfredo Colitto, grandissimo traduttore dall’Inglese nonché mio eroe personale perché traspone sempre le storie di Laidlaw e Bosch, i miei personaggi preferiti di sempre, per nulla dissimili e ugualmente intensi.
Who is who?
William McIlvanney è considerato il precursore del filone di crime novel di ambientazione scozzese, il cosiddetto Tartan noir.
Figlio di un minatore, William McIlvanney nacque a Kilmarnock nel 1936 e, dopo gli studi all’Università di Glasgow, fu prima insegnante di inglese, dal 1960 al 1975 per poi intraprendere una feconda e intensa attività come scrittore di romanzi polizieschi (ma non solo) e poeta.
Nel corso della sua carriera ha incontrato un buon successo di pubblico, in particolare in patria, e ha anche raccolto diversi importanti premi, fra i quali occorre almeno ricordare il Geoffrey Faber Memorial Prize per Remedy is none (1966), suo esordio letterario; l’importante Whitbread Novel Award per Docherty (1975) e infine il Saltire Society Scottish Book of the Year Award ottenuto per l’intenso La fornace del 1966.
All’ispettore Jack Laidlaw è dedicata la trilogia Come cerchi nell’acqua (Laidlaw) del 1977, Il caso Tony Veich (The Papers of Tony Veich) del 1983, Strane lealtà (Strange Loyalties, 1991), e, naturalmente, Oscuri resti (The dark remains) terminato postumo da Ian Rankin nel 2021.
Per la biografia di Ian Rankin vi rimando all’approfondimento scritto dal Barman qualche tempo fa.
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