Articolo sponsorizzato; qui la nostra policy.

Abbiamo introdotto lo scrittore Franz König qualche settimana fa con il suo romanzo “Sciolto come un cono gelato al sole” e oggi segnaliamo l’uscita del suo nuovo libro, dal titolo “Padri nostri“.

Anche in questo volume, protagonista è Doc. Roversi, medico di un piccolo ospedale di provincia alle prese con morti sospette e casi misteriosi. Assieme a lui torna l’ispettrice Angelina Carta, al rientro da una vacanza in Sardegna per sincerarsi delle condizioni del padre ammalato.

Roversi, chirurgo ortopedico sulla cinquantina vorrebbe solo avere il tempo per leggere, dipingere, studiare, imparare ricette nuove, ma anche stavolta le sue miti ambizioni sono frustrate da una circostanza da approfondire. In ospedale incrocia un Paziente che, una notte, gli chiede un sigaro e inizia uno strano discorso che inizia nel ‘600 con una ragazza di nome Artemisia Gentileschi che subisce violenza in casa e viene portata in giudizio. Si tratta proprio di quella Artemisia: la straordinaria pittrice che possiamo ancora oggi ammirare nei musei.

Intanto il padre di Angelina muore, e il Paziente di Roversi anche. La storia condurrà il Doc in un lungo viaggio in Germania assieme a una bionda guida turistica e un vecchio esperto d’arte alla fine dei suoi giorni, alla ricerca di un quadro di Gentileschi, che spiegherà, forse, la dinamica del rapporto con questi padri.

Questa la trama in sintesi di Padri nostri; vi lasciamo qui un estratto e alcuni dei disegni presenti per assaggiare il romanzo.

Estratto

I giudici sono seduti dietro la loro tavola scura e macchiata. Bulgarello al centro, vestito di nero, gli occhi velati di grigio fissi alla finestra, l’unica finestra della cantina, chiusa da una griglia antica e arrugginita. Al suo fianco destro il giudice Felice, avvolto nella capparella scura, serio e determinato. A sinistra il giudice Camerlario, con al collo la pesante catena col crocefisso dorato. In fondo al tavolo il segretario scrivano con la penna d’oca e l’inchiostro. Di fronte a loro Artemisia, seduta su un panchetto a tre piedi, vestita di scuro, i capelli pettinati a crocchia sulla nuca e un velo nero a coprirli, lo sguardo deciso, sicuro e terrorizzato. Di fianco alla ragazza Agostino, con i vestiti luridi della galera che aveva appena lasciato a pochi metri. Dietro la ragazza il boia, lo stesso uomo grosso, pesante, sudato e dagli occhi tristi. Il resto della sala era vuoto, a parte due soldati nelle loro giacche di pelle scura, e la penombra lasciata dal raggio di luce della finestra riusciva a malapena a nascondere gli strumenti di tortura nascosti negli angoli. Il silenzio della volta di mattoni antichi si portava dentro le urla dei condannati e da solo metteva paura. Il boia faceva dondolare lentamente nella mano la cordicella sottile e robusta e il bastone, un manico di legno duro lungo due spanne, lucido per l’uso. Il giudice Bulgarello sfogliava i documenti cercando l’ultimo, quello in cui Camerlario aveva richiesto l’uso della tortura, ma i suoi occhi velati di grigio non distinguevano la scrittura e il tempo passava crescendo la tensione e la paura. Si alzò Agostino e con voce agitata ruppe il silenzio.

– E dunque ditemi per quale ragione sono in questo luogo! Io sono rinchiuso ingiustamente e proditoriamente per il complotto che proprio suo padre istruì con Stiattesi e Quorli, non devo essere qui, ma libero, e a lavorare al casino delle muse di sua Signoria Cardinal nepote… quindi vi intimo di rilasciarmi subito e.…

Bulgarello alzò un dito nella direzione di un soldato e quello spinse Agostino seduto obbligandolo a tacere.

Bulgarello – Siete qui convocati per essere interrogati contemporaneamente acciocché si possano confrontare le vostre risposte.

Camerlario – Agostino Tassi… sei stato tu a sedurre la ragazza qui in aula e goderla carnalmente, sverginandola a maggio di un anno addietro?

Tassi – No.… no! Io ho frequentato la ragazza Artemisia su richiesta del padre, per insegnarle i dettami della pittura architettonica, e altro non feci. E son sempre stato con lei solo in presenza dei suoi familiari e di Tuzia, la governante.

Camerlario – Il padre della ragazza, Orazio Gentileschi accusa te di stupro, per aver giaciuto con lei con la violenza e contro il suo desiderio facendole perdere quindi la verginità, che ora non può più portare all’altare.

Tassi – Non sono stato io. Artemisia era una ragazza di facili costumi e molto prima di me aveva conosciuto uomini e con loro aveva fatto cose degne di una sgualdrina. Ne ho una lunga lista. Ma da ultimo voglio citare Pasquino da Fiorenza che l’ha posseduta più volte.

Camerlario – E tu sei pronto, qui, davanti a lei a sostenere la tua dichiarazione che essa è mentitrice e che si è concessa a uomini da anni divenendo agli occhi di tutti una puttana, e quindi non sei tu il responsabile della sua perduta illibatezza?

Tassi – Ebbene sì!! Io lo dichiaro e sotto giuramento lo affermo!

Camerlario – Artemisia! Sei qui di fronte a questa corte per dichiarare e confermare la tua accusa. Ricorda che hai affermato che il qui presente Agostino Tassi ti ha chiuso in camera tua, ha bloccato le tue mani affinché tu non potessi difenderti, ti ha sollevato le vesti con fatica e ti ha aperto le ginocchia, e quindi ha penetrato la tua natura che prima mai aveva visto uomo! Giusto? Che prima mai! Mai aveva visto uomo… sverginandoti… e nella dichiarazione ha anche sostenuto di averlo ferito durante l’atto, con graffi, strappo di capelli, strappandogli un pezzo di carne dal membro e infine con un coltello al petto. Confermi tutto questo?

Artemisia – Sì! Io lo confermo e lo accuso di avermi poi promesso che mi avrebbe sposata, e per questo motivo ho poi ceduto ai suoi desideri nei mesi successivi.

Camerlario – E tu dichiari che prima di questo incontro non avevi conosciuto uomo?

Artemisia – Sì! Lo giuro!

Camerlario – Quindi seguendo la procedura ora confermerai la tua dichiarazione con il giuramento sotto il supplizio delle Sibilla! Lo conosci?

Artemisia – No.… no, non lo conosco ma non lo temo!

Camerlario – Le tue dita della mano destra saranno avvolte da una corda e la corda attorcigliata e tenuta da un manico. E il manico ruoterà e stringerà la corda e le tue dita saranno sempre più strette. E a ogni giro io ti chiederò se confermi la tua dichiarazione e il supplizio si fermerà solo quando tu rinuncerai e confesserai di aver mentito.

Artemisia – Mai potrò confessare il falso. Ho accusato Agostino perché lui mi ha disonorato con la forza e con

l’inganno e prima di lui non avevo conosciuto uomo!

Camerlario – Puoi procedere boia…

L’omaccione vestito di rosso bloccò la mano della ragazza sul tavolo e cominciò diligentemente ad attorcigliare le dita con la cordicella.

Un anello era passato a fermare il mignolo, poi i capi erano incrociati e un altro anello bloccava l’anulare poi di nuovo un incrocio della corda e un blocco del medio, fino al pollice che fu chiuso nell’ultimo anello. Poi attorcigliò i capi della cordicella e li fissò al bastone, e lentamente cominciò a far ruotare il bastone stringendo la corda sulle dita. Si fermò, guardò la ragazza che tremava alla vista della sua mano destra, la più importante, quella con la quale prendeva i carboncini e i pennelli, stritolata dalla treccia di corda che si stringeva. Poi guardò il giudice Camerlario che annuì, e lui lentamente roteò il bastone arrotolando la corda e stringendo le dita. Fece tre giri e si fermò, le dita erano scure, bluastre, contratte, ma la ragazza stringeva i denti e non rinunciava.

Camerlario – confermi ancora la tua deposizione?

Artemisia – Sì! Lui mi ha violentato!

Camerlario – Procedi boia…

E l’omaccione fece altri tre giri del bastone, la corda si arrotolò ancora e le dita diventarono più scure, le unghie bluastre, le articolazioni tumefatte e gonfie. Il boia si fermò.

Camerlario – Dichiari ancora di aver detto il vero?

Artemisia – Io ho detto quello che è stato! E Agostino mi ha violentato mentre io aspettavo solo uno sposo. E poi mi ha illuso con promesse che non poteva mantenere, di un matrimonio con lui che era già sposato!

Camerlario – Procedi boia!

E l’omaccione ruotò solo di due giri, non voleva strappare le dita a quella ragazza che sapeva pittrice, anche magari puttana, ma sempre bella come sua figlia. Le dita erano quasi nere, immobili, trasudavano piccole goccioline di siero misto a sangue.

Camerlario – E ora confermi ancora la tua accusa?

Artemisia – Sì!! Sì, la confermo! E tu Agostino… sono forse questi gli anelli che mi promettesti e che avrei poi dovuto portare all’altare? Questi anelli di corda coperti dal mio sangue? Sì, io confermo l’accusa che ho detto contro di te… che tu sei sporco e violento mentitore e sarai condannato per questo!

Camerlario – Boia…

Bulgarello – No! La corte è soddisfatta e il supplizio sospeso. Ora Artemisia Gentileschi può firmare l’atto d’accusa finale e tornare ai suoi. Agostino Tassi rimarrà a Corte Savella in attesa di giudizio. La seduta è tolta.

Si alzò, raccolse le carte e uscì. Il boia allentò la treccia di corda e liberò le dita della ragazza, le si avvicinò all’orecchio e sussurrò:

– A casa muovile lentamente, piano, e per tre giorni lasciale nell’acqua fredda… e che tu sia puttana o santa non tornare più qui…

Poi coprì la mano della ragazza con uno straccio grigio bagnato d’acqua e aceto. La ragazza si alzò tremando e appose una croce sul foglio che il segretario le porgeva, uscì accompagnata dalle guardie e si unì al padre e all’avvocato Stiattesi che la sorressero. Camerlario si avvolse nella sua capparella scura e se ne andò da una porta laterale. La cantina tornò nel suo silenzioso buio.

Disegni

Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter

Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.

Compra su Amazon

PADRI NOSTRI
  • KÖNIG, FRANZ(Autore)

Articolo protocollato da Redazione

All'account redazione sono assegnati gli articoli scritti da collaboratori occasionali del sito: poche apparizioni, ma stessa qualità degli altri.

Redazione ha scritto 712 articoli: