Palermo Connection - Petra ReskiTradotto da Ivana La Rosa per la collana “Darkside” di Fazi Editore, recensiamo l’ultima fatica letteraria di Petra Reski, dal titolo “Palermo Connection”. L’autrice è una pluripremiata giornalista d’inchiesta che vive a Venezia dal 1991, pur essendo di origini teutoniche. È conosciuta in terra italiana soprattutto per un libro-inchiesta sulla ‘Ndrangheta, dal titolo “Santa Mafia” (Nuovi Mondi Edizioni, 2009), che è stato condannato da un tribunale tedesco all’annerimento di alcune pagine; sanzione di fatto avallata da una successiva sentenza della Quinta Sezione del CEDU (Corte Europea per i Diritti Umani), che ha statuito come quella censura non costituisca violazione della libertà di espressione. Quel testo è costato alla Reski anche migliaia di euro di risarcimento (diecimila versati all’imprenditore italiano S.P.), multiformi pressioni, l’allontanamento dal settimanale “Freitag”, tre querele, due denunce penali, e dulcis in fundo qualche minaccia di morte.

Con queste premesse non potevamo non interessarci di “Palermo connection”, romanzo che abbiamo potuto leggere in anteprima, e che ora recensiamo per i lettori di Thriller Caffè.

La trama si presenta lineare: un famoso giudice impegnato contro Cosa Nostra viene assassinato, e l’attraente procuratrice antimafia Serena Vitale (una «santa di ghiaccio», che si muove in aula «come un’acrobata sulla fune») trascina in giudizio il ministro Gambino, con la grave accusa di “concorso in associazione mafiosa e complicità in attentati”. Contro il ministro pesa la testimonianza di Marcello Marino, un pentito di mafia (“collaboratore di giustizia”), ex affiliato al clan Pecorella: “nella sua morbida cantilena siciliana tutto suonava uguale, non importava se parlasse di acido usato per sciogliere i cadaveri, di esplosivo mescolato a parti metalliche o del Vangelo di Giovanni, il suo evangelista preferito”. Alcuni giornali filo-governativi accusano la procuratrice di essere una strumento politico dell’opposizione per far cadere il governo. Il processo balza immediatamente agli onori delle cronache nazionali, e la procuratrice Vitale assurge ipso facto a personaggio del momento. Sono in molti a voler fare terra bruciata attorno alla donna magistrato, la cui improvvisa notorietà dovuta a una sovraesposizione mediatica non sembra preoccuparla. Un ruolo particolare svolge il giornalista tedesco Wolfgang Widukind Wieneke, reporter investigativo del “Fakt”, che si trova a Palermo per combattere la sua allergia ma soprattutto alla ricerca di uno scoop per il proprio giornale. Finisce invece per ritrovarsi invischiato in un gioco pericoloso, più grande di lui, e del quale fa parte anche il capo del reparto operativo mobile di Palermo, Antonio Romano, il quale intrattiene con la procuratrice un rapporto ambiguo.

Palermo Connection” è  la parafrasi della trattativa Stato-mafia, per la prima volta raccontata in forma di romanzo. Un disclaimer recita che “nomi, luoghi [e] dettagli che permettano illazioni sulle identità sono stati cambiati dalla redazione”, ma ciò non rende più complicato individuare allusioni a politici nostrani, ministri  e istituzioni della Repubblica dei primi anni Novanta.

Val giusto la pena ricordare che sono almeno tredici i giornalisti italiani uccisi dalla mafia solo nell’ultimo trentennio, e leggendo questo libro si ha la sensazione quasi epidermica che alcune pagine trasudino realtà scomode, cancerogene. Vien da chiedersi se dette realtà non siano state insabbiate, laddove invece avrebbero meritato le luci della ribalta o riflettori più potenti di quelli con i quali può illuminare un pur meritevole artificio narrativo, o un’allusiva messinscena. Permane così l’impressione che la scelta narrativa sia stata quasi obbligata da parte dell’autrice, come se la forma-romanzo fosse una sorta di maschera e di abito largo dietro i quali camuffarsi e dentro cui nascondersi, per evitare eccessive ripercussioni e complicazioni.

Considerato il tema affrontato, è inevitabile che dal testo emergano in modo spontaneo delle domande quasi esistenziali, non prive di turbamenti e interrogativi morali. Domande cariche di dubbi e di significati, alle quali ognuno è chiamato a rispondere secondo la propria coscienza e i propri valori di riferimento: «Chi è il colpevole in questo caso? Il mafioso che ha giustiziato un uomo che aveva violentato una donna incinta e una ragazza dodicenne? O il parroco che ha confessato il latitante mafioso? Oppure lo Stato che non è riuscito ad arrestare il violentatore e a punirlo adeguatamente?»

Già, chi? Tutti, e nessuno. Perché la mafia siciliana è anche questo: è una “cultura”, è crepuscolo delle istituzioni ma è istituzione essa stessa, è autodifesa, è sopravvivenza, è giustizia di strada (quindi sommaria), è codice d’onore, è religione, è perdono, è «vendetta, sangue, orgoglio e segretezza», come fa dire l’autrice al personaggio siciliano Giovanni, che accompagna in veste di fotografo il reporter tedesco nella sua inchiesta. Insomma la mafia esiste nella stessa categoria ontologica di Dio: non c’è, ma è ovunque.

Detto questo, a noi non resta che esaminare il romanzo sul piano che ci compete,  cercando – per quanto difficile – di scindere la fiction dall’inchiesta, e di tracciare un parere non condizionato dall’austerità che la tematica impone né dal plauso che l’autrice umanamente merita per la sua battaglia. E allora diremo che dal punto di vista meramente narrativo la Reski  utilizza con sapienza una scrittura pulita e netta, ma al tempo stesso evocativa e ariosa quanto basta. Se questo romanzo fosse uno spumante, sarebbe un brut: scrittura ferma, a tratti quasi saggistica con taglio giornalistico, nella quale non manca mai un sentore di effervescenza e un gradevole retrogusto ora acidulo ora amarognolo, lievemente fruttato da qualche cenno di ironia distribuito qua e là in modo occasionale. “Palermo connection” non è la magistrale epopea americana de “Il padrino”, né un grande affresco della mafia tout court destinato ai grandi classici, bensì è un testo realistico che lambisce abitudini locali, territori torbidi e personaggi loschi, si imbatte in imprenditori edili, giudici politicizzati, doppi giochi del potere e codici comportamentali delle cosche. È un testo borderline tra giallo giudiziario, thriller politico, saggio storico e inchiesta giornalistica, ma è di base una non-fiction ad ambientazione storica, per valutare la quale appaiono inadeguate le categorie di genere, di scelte stilistiche, di bello o brutto, consigliato o sconsigliato. Essendo un libro impegnato, ci arrendiamo alla sua essenza: alcune coscienze sentiranno quasi l’imperativo di leggerlo, mentre altre non ne saranno attratte. Il nostro consiglio è di seguire il vostro istinto e la vostra coscienza, qualunque cosa esse vi suggeriscano.

Recensione di Leonardo Dragoni

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Palermo Connection
  • Reski, Petra (Autore)

Articolo protocollato da Leonardo Dragoni

Romano, classe 1974, dottore in scienze politiche con due master e varie esperienze umane e lavorative, si è tardivamente innamorato di scrittura creativa e di narrativa, in particolar modo quella gialla e noir ad ambientazione storica, generi nei quali ha pubblicato due romanzi ("La psicologia del viola", 0111 Edizioni, 2015; "I figli dell’oblio", Clown Bianco Edizioni, 2018 - candidato al premio internazionale Lattes Grinzane).

Leonardo Dragoni ha scritto 59 articoli: