Paola Barbato è nata a Milano il 18 giugno 1971. Ha vissuto, però, gran parte della sua vita a Desenzano del Garda in provincia di Brescia. Ha frequentato il liceo linguistico e poi si è iscritta all’università di Lingue e Letteratura straniere che non ha mai terminato.
Già a 11 anni ha iniziato a scrivere e a disegnare fumetti.
Nel Natale del 1996, una conoscente, dopo aver letto alcuni dei suoi testi, le consiglia di inviarli alle case editrici. Milano è vicina. La giovane e intraprendente Paola parte per il capoluogo della Lombardia, con 21 dattiloscritti dentro due zaini. Neconsegna venti a varie case editrici. Come ha dichiarato lei stessa, la Rizzoli era troppo lontana, così passa dalla Sergio Bonelli Editore e lascia il ventunesimo dattiloscritto in portineria, per la redazione di Dylan Dog. Il dattiloscritto contiene una raccolta di racconti, “Intermittenze”, che suscita la curiosità dell’allora curatore editoriale di Dylan Dog, Mauro Marcheselli.
Circa sei mesi dopo, la chiama lo stesso Marcheselli, proponendole di scrivere una sceneggiatura di prova. È il 1998 quando Paola debutta con l’albo Il cavaliere di sventura allegato allo Speciale n. 12 “La preda umana”.
Il battesimo vero e proprio scivola l’anno dopo, con l’albo numero 157 di Dylan Dog: Il sonno della ragione. Da quel momento, Paola Barbato diviene una sceneggiatrice fissa dell’Indagatore dell’Incubo. Il suo stile, all’inizio troppo legato alla prosa letteraria, grazie ai consigli di Mauro Marcheselli e Tiziano Sclavi, si adatta alle forme più stilizzate e dirette del fumetto, tanto che le viene concesso l’onore di sceneggiare il numero 200 a colori di Dylan Dog.Con la Bonelli, collabora anche alle serie “Romanzi a Fumetti” e “Le Storie”.
Paola Barbato scrittrice di romanzi
Paola Barbato, però, non rinuncia al suo primo amore, la scrittura in prosa. Nel 2005, inizia a pubblicare a puntate il romanzo Bilico su un sito di racconti, ottenendo un discreto successo. Giuseppe Genna, che all’epoca collabora con la Rizzoli, nota il romanzo e contatta la scrittrice. Bilico viene pubblicato nel 2006, seguito nel 2008 da Mani Nude (vincitore del famoso Premio Scerbanenco) e Il filo rosso nel 2010. Nel 2015, l’autrice ha pubblicato Intermittenze. Racconti e brevi storie, i racconti che vent’anni prima aveva consegnato alla portineria della redazione di Sergio Bonelli Editore.
Bilico è, secondo il mio parere, il migliore dei tre romanzi pubblicati dalla scrittrice milanese. Il libro ha avuto una gestazione particolare, simile ai romanzi russi di Dostoevskij, essendo stato pubblicato a puntate, mano a mano che l’autrice lo stava scrivendo, per cui lei stessa non aveva idea di come sarebbe andato a finire. Il romanzo inizia con la “solita” caccia al serial-killer, ma il racconto è incalzante e il colpo di scena, a circa metà del libro, colpisce il lettore, costringendolo a rivedere tutto ciò che ha letto sino a quel momento in una prospettiva completamente diversa. Notevole anche lo scavo psicologico dei personaggi, soprattutto quelli della protagonista Giuditta Licari e del suo ex Alessandro Amadei. Come ha dichiarato la stessa autrice: Io sono TUTTI i personaggi, ho preso un pezzo del peggio di me e da quello li ho creati. Tranne i due comprimari principali maschili, cui il libro è dedicato, che esistono davvero. (Cfr. Intervista esclusiva a Paola Barbato – in “Bilico” tra fumetti e romanzi”)
Mani Nude, vincitore del premio Scerbanenco, sembra ispirarsi al famoso Fight Club ma non è così. Il romanzo della Barbato è una discesa agli Inferi senza ritorno. È la storia di un sedicenne, strappato alla famiglia e a una esistenza normale, costretto a sopravvivere nel brutale mondo dei combattimenti clandestini. Un ragazzino qualunque, che forse avrebbe potuto laurearsi, amare, sposarsi e avere dei figli, è catapultato nel mondo degli incontri di lotta clandestini, dove non esiste pietà e solo chi uccide può vincere e continuare a vivere. Si tratta di un libro che si ama o si odia. I pareri su Mani nude, in effetti, sono contrastanti: c’è chi lo esalta come l’opera migliore della Barbato e chi, invece, lo considera un vero e proprio fallimento. La mia opinione è che si tratti di un’opera difficile da collocare nel pur variegato panorama del thriller italiano, se non si tiene conto del fatto che la Barbato è prima di tutto una sceneggiatrice di fumetti horror. Nel finale del romanzo, la scrittrice ritenta la carta, già usata in Bilico, del colpo di scena, per cui tutto quello che è stato letto, fino a quel momento, deve essere rivisto sotto un’altra prospettiva. In questo caso, però, l’effetto è meno brillante e (almeno secondo me) più scontato.
Il romanzo è, in ogni modo, pregevole per l’impegno dell’autrice,che si inserisce tra quegli autori (antichi e moderni) che utilizzano la forza della parola scritta per creare un mondo ingannevole e illusorio, che solo il creatore del dramma (con la sua spiegazione) ha il potere di svelare. Barbato Paola riesce con maestria a manipolare la mente di chi legge, in modo da far apparire eventi e personaggi diversi da come sono in realtà. Serafini Stefano l’ha definito illusionismo linguistico (Stefano Serafini, Illusionismo e magia nel Golden Age mystery, in Linguæ vol. 14, n. 1 – 2015, p. 59). Nella letteratura gialla, capolavoro assoluto del genere è considerato il twist finale di The Murder of Roger Ackroyd (1926 – L’assassinio di Roger Ackroyd) di Agatha Christie. Anche il mondo del cinema utilizza spesso questo espediente per sorprendere lo spettatore: esempi famosi di questo tipo di invenzione mistificatrice sono “The Sixth Sense” (1999 – Il sesto senso), diretto da M. Night Shyamalan e interpretato da Bruce Willis, e “The Others” (2001) diretto da Alejandro Amenábar e interpretato da Nicole Kidman.
Il romanzo è stato accusato di poca verosimiglianza ma, in un mondo in cui trasmissioni voyeuristiche come Il grande fratello e L’isola dei famosi sono seguite da milioni di spettatori, è così impensabile che delle persone adorino osservare degli esseri umani che si uccidono tra di loro? E gli antichi romani non andavano forse al Colosseo a divertirsi per vedere i gladiatori combattere?
Il filo rosso, l’ultimo romanzo della Barbato, è la sua opera forse meno conosciuta, sicuramente la più complessa e ambiziosa. La storia è quella di Antonio Lavezzi, sopravvissuto alla morte della figlia tredicenne, stuprata e uccisa. Da quel momento Lavezzi, cercando di sopravvivere al dolore, vive un’esistenza metodica, anonima e senza emozioni,sino all’arrivo di un misterioso messaggio. La Barbato racconta come il pericolo e l’orrore si nascondano proprio nel quotidiano, nella vita che viviamo ogni giorno in modo forse troppo inconsapevole.
Quello che Antonio Lavezzi rappresentava, loro lo negavano con forza rabbiosa. Certe cose non succedevano, non esistevano, non si potevano nemmeno concepire, e lui non poteva permettersi di esserne la testimonianza vivente. Gli era accaduto qualcosa che era troppo, era inaccettabile.
(Paola Barbato, Il filo rosso, Rizzoli, 2010)
La scrittrice mette alla prova i suoi personaggi, vuole vedere la loro reazione in una situazione che li costringe a vivere al limite della loro resistenza psichica.
Anche questo romanzo, come Mani nude è stato spesso accusato di scarsa verosimiglianza. Sulla credibilità di un thriller o un giallo ci sarebbe da discutere parecchio e qui non è il caso di farlo, ma è evidente che si tratta di un’accusa che non regge: il thriller è prima di tutto finzione, e quante volte, d’altra parte, i telegiornali trasmettono notizie in cui la realtà supera l’immaginazione. Inoltre, all’autrice interessa molto la psicologia del protagonista, e scava in profondità nel suo dolore di padre che ha perduto la figlia: ne scaturisce una figura umana e vera.Molto realistico è anche il ritratto della vita di provincia, e il modo in cui le persone vedono e trattano Lavezzi. Paradossalmente credono che stia impazzendo proprio quando egli sembra riuscire a dare un nuovo significato alla propria esistenza:
Come previsto l’atteggiamento dei suoi vicini di casa e, tutto sommato, dell’intero paese era cambiato. Non c’era alcuna ostilità, solo una sana, provinciale diffidenza per ciò che non era allineato, prevedibile e socialmente accettabile. Di buono c’era il fatto che tutti aspettavano (e forse in segreto speravano) che prima o poi il povero Lavezzi desse di matto, onorando il suo ruolo di protagonista di cronaca nera.
(Paola Barbato, Il filo rosso, Rizzoli, 2010)
Anche alla fine di questo romanzo la Barbato attua un repentino rovesciamento di prospettiva, costringendoci a vedere con occhi nuovi l’assassino. L’ultima parte del libro è sicuramente la migliore, soprattutto il finale. Anche l’idea del flusso di coscienza del cane, che potrebbe apparire azzardata, è inserita con abilità e ci permette di vedere la storia da un’ulteriore punto di vista.
I mille volti di Barbato Paola
Paola Barbato è da sempre un’appassionata di cinema e di teatro. Quand’era più giovane recitava e ha fatto anche un provino al “Piccolo Teatro” di Giorgio Strehler, arrivando sedicesima su quindici. Ha abbandonato quasi completamente la recitazione perché odia viaggiare. Per lo stesso motivo ha smesso anche di lavorare come doppiatrice professionista, perché avrebbe dovuto trasferirsi a Milano.
Nel 2009, scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura di una fiction per Sky, Nel nome del male, per la regia di Alex Infascelli. Come in Il filo rosso, la Barbato inserisce i suoi personaggi in un paese apparentemente tranquillo, dove l’esistenza sembra scorrere sui soliti binari del lavoro, dello studio e della vita in famiglia. In realtà si tratta di una pace apparente e dietro la superficie si nascondono segreti e pericoli. A Paola Barbato, però, sembra interessare di più il rapporto tra padre e figlio, la difficoltà a conoscersi e capirsi. Solo dopo la sparizione del figlio, infatti, Giovanni Baldassi, piccolo imprenditore del florido Nord-Est, si spingerà oltre ogni limite per cercare di comprendere la disperazione e la solitudine che hanno condotto il figlio ad entrare in una setta satanica.
Nel 2011, la Barbato tenta un esperimento di web-comic, pubblicando una storia a puntate in stile shojomanga ma ambientata in Italia, intitolata DAVVERO, che ottiene un notevole successo.
Davvero è… il tentativo da parte della sceneggiatrice bonelliana Paola Barbato di emulare temi e atmosfere dei succitati shojo manga… Barbato ne produce una prima versione a colori sul web, leggibile gratuitamente… in seguito al discreto riscontro di pubblico dei fumetti on-line, la casa editrice Star Comics decide di far ridisegnare la medesima storia e di proporla in una nuova edizione mensile da edicola, il cui primo numero esce nel novembre 2012; la serie è ancora in corso.
(Salvatore Primiceri, Fullcomics& Games. Le Imprese Creative, Primiceri Editore, 2013, p. 124)
Pochi sanno, inoltre, che Paola Barbato è anche presidente dell’associazione Mauro Emolo ONLUS, che si occupa di persone affette da una malattia neurodegenerativa chiamata Còrea di Huntington.
Attualmente Paola Barbato vive a Verona con il compagno e le figlie Virginia, Ginevra e Melania.
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