Ripubblicato nel 2022, a un decennio dalla sua prima comparsa nella collana Sellerio “La memoria” quando – colpevolmente- me lo ero perso, questo romanzo di Giorgio Fontana merita appieno il recupero anche nelle fanzine dedicate alla letteratura gialla, thriller e noir anche se non ne è facile la classificazione precisa.
Per legge superiore ha infatti in sé i tratti di tutti e tre questi generi, amalgamati in una struttura apparentemente giudiziaria.
La vicenda è semplice, così piana da esaltare (e non appiattire) l’estro creativo dell’autore, tutto dedicato alla progressione del personaggio e non distratto da colpi di scena o momenti di suspense.
Khaled è in carcere, accusato e già condannato in primo grado. Una giovane milanese, rimasta in sedia a rotelle dopo lo sparo che l’ha attinta alla schiena, lo ha riconosciuto come componente del commando che l’ha aggredita.
Khaled è stato assolto dall’accusa di tentato omicidio ma sta scontando la pena per rapina, porto d’armi e tentata estorsione. Sei anni ridotti a quattro per il rito abbreviato.
Non un ergastolo, ma uno stigma importante sul suo futuro di immigrato. Sua sorella Yasmina vive di beneficienza e solidarietà ma lo ritiene innocente e difeso da un avvocato incapace. Allora chiede aiuto a Elena Vicenzi, giornalista freelance. Una Idealista.
Che chiede aiuto a …
Le storie hanno una struttura, scandita di vari momenti che, nei manuali, sono identificati con nomi ben precisi. La trama classica prevede un protagonista attivo, che coltiva un desiderio e per realizzarlo si contrappone a forze antagoniste in una realtà immaginaria, ma coerente, dove ciascun evento ha una causa e funge, a sua volta, da causa del successivo sino ad un finale chiuso. Il protagonista realizzerà il suo desiderio o sarà sconfitto, a seconda del grado di idealismo o pessimismo dell’autore.
Roberto Doni, sostituto procuratore generale a Milano, incaricato a sostenere l’accusa in appello contro Khaled, destinatario della mail di Elena, che gli domanda di approfondire il caso, non incarna affatto il prototipo del protagonista appena tratteggiato.
È un borghese di 65 anni, nato in un quartiere popolare ma elevatosi socialmente grazie alla carriera in magistratura. Ora aspira alla presidenza di qualche sede giudiziaria in provincia per trasferirvisi assieme alla moglie, ex musicista. Elisa, la figlia, fa parte della generazione Erasmus e ormai vive di borse di studio in America. E non lo cerca mai.
Roberto è (o è diventato?) un uomo dall’orizzonte elevato ma molto vicino, trascorre le giornate facendo il proprio dovere al meglio ma senza slancio ne’ entusiasmo, pago di rincasare con un sacchetto di Peck per cena, ascoltare musica classica e rimirare una riproduzione del pittore de La Tour, di cui è grande ammiratore.
Quella chiamata all’avventura che Elena gli offre non lo interessa, le carte sono chiare, Khaled è stato riconosciuto e per giunta lui stesso sta zitto e non si professa innocente.
Eppure, con una progressione di eventi senza enfasi ne’ respiri mozzati, educatamente lasciandosi convincere per lo meno a parlare con le persone vicine a Khaled, Doni si sposta.
Il suo cambiamento (essenziale in tutte le storie) è tangibile anzitutto in termini di movimento: dalla passeggiata tranquilla dal palazzo di giustizia a via Orti, dove abita, Doni si inerpica fino a viale Padova, che percorre con e senza Elena, annusando, ascoltando, assorbendo quella realtà sociale così distante dalla sua. Riflette, discute, si convince di essere al punto di non ritorno. Se chiederà l’assoluzione, avrà l’opinione pubblica contro e rischierà il suo trasferimento tanto desiderato.
Non solo.
Ha tutti contro: sua moglie, che non vede l’ora di lasciare Milano. Il suo professore di penale, che lui ha sempre ritenuto un mentore. Lo dissuadono o si limitano a no incoraggiarlo. Loro sono le forze antagoniste, perché il desiderio di Doni si sposta dalla promozione e diventa quello di rendere giustizia a Khaled.
Il conflitto quindi è soprattutto interno. Rinunciare ai vantaggi sociali e personali così a fatica raggiunti? Ne vale la pena? Restare solo come scotto per aver aiutato un tunisino che neppure lo vuole?
Finale aperto come in ogni minitrama che si rispetti.
Scrittura lineare, schietta, il giusto connubio tra dialoghi e descrizioni. Nessun pathos apparente, ma un importante maturazione del personaggio. Come le cose vanno nella vita reale.
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.