Piccole cose preziose - Janelle Brown - recensione

Pare che Nicole Kidman abbia già acquistato i diritti per realizzare una serie tv basata su questa storia per cui chi non volesse cimentarsi nelle 478 pagine, di cui si compone il tomo di Janelle Brown, può tranquillamente attendere la trasposizione televisiva in cui l’attrice australiana (scommetto un cent) interpreterà Lilla Brown, in arte Lily, la bella e spregiudicata truffatrice che ha sempre “vissuto come se la sua esistenza fosse un viaggio in treno, pregustando a fermata successiva: se dove eri sceso non ti piaceva, bastava risalire e passare oltre”.

Solo che Lily ora ha il cancro e non ha né il denaro necessario né un’assicurazione sanitaria adeguata per curarsi. Di questo, ossia di reperire i fondi per pagare le costose terapie, si incarica allora Nina, sua figlia, che vive a New York arrabattandosi come può in agenzie che la sottopagano sfruttando la sua laurea in storia dell’arte per farle portare il cappuccino all’architetto.

Nina (e Lily) hanno girovagato per gli Stati uniti, cambiando città ed orizzonte ogni qualvolta necessario: la loro vita assomiglia molto a quella raccontata in Chocolat, solo che qui non si tratta di ascoltare il vento, capire che è girato, e seguirlo, ma di vere e proprie fughe anche quando – come in quell’altra storia – la giovane vorrebbe invece restare. Ma dove?

In questa, di storia, il luogo non è dissimile dal villaggio francese di Lansquenet: siamo sulle rive del lago Tahoe, brulicante di turisti durante le vacanze estive e flagellato dalle tempeste, anche di neve, nel resto dell’anno. Le due donne ci hanno vissuto, un tempo, ed in quegli anni sono rimaste coinvolte in vicende che le hanno profondamente segnate ed ora sono accomunate da un sentimento condiviso: l’odio per la famiglia Liebling che rappresenta il loro esatto contrario. Ricchi sfondati, algidi, potenti: la coppia ha una splendida villa sul lago, con annessa rimessa per lo yacht, e due figli, Vanessa – che studia a Princeton e compare solo in vacanza – e Benjamin, detto Benny, il maschio pel di carota, lungo allampanato, timido ed isolato, per cui Nina sarà il giovanile e mai dimenticato amour fou.

Nina torna sul lago Tahoe, dieci anni dopo, ma si fa chiamare Ashley, sostiene di insegnare yoga e di essere in procinto di sposare un professore di origine irlandese, qui in ritiro per scrivere un libro. E ad accoglierli sarà proprio Vanessa, rintanata nella villa di famiglia, che ha ereditato, mentre prova a lasciarsi alle spalle un periodo vacuo, superficiale e doloroso dell’esistenza come influencer.

Chissà se la Brown legge la cronaca gossip italiana… a scorrere certe pagine di questo giallo parrebbe di sì perché il ritratto che intaglia del mondo di Instagram è davvero impietoso e ficcante… ma le serve a puntino per tratteggiare un personaggio, come Vanessa Liebling, apparentemente gonfiato, luccicante e vanesio, e metterlo in competizione con un’altra donna, di tutt’altro spessore, come Nina-Ashley, che deve vendicarsi del torto subìto in gioventù ed assicurarsi tutto il denaro che le serve.

Il thriller comincia solo a metà del libro (ecco forse perché si presta tanto bene a trasformarsi in un copione da molte puntate), ma sale vertiginosamente, con una serie di colpi di scena, che graficamente mi hanno ricordato la strada per Ancient Thira, a Santorini, che è una sequenza di curve a gomito mozzafiato.

Il finale è molto americano, troppo per i miei gusti, ma io sono una lettrice nostrofila e non lo nascondo. La trama sa spesso di dejavu (potrei citare altre somiglianze arcinote, da Shining ad Attrazione fatale passando per Ore 10, calma piatta), ma il ritmo è certamente sincopato e l’autrice ti tiene incollato alle sue pagine sino a quando non finisci (io stessa ho approfittato persino di un parcheggio in doppia fila a Bellagio per completare il romanzo).

Il merito maggiore, a mio parere, è proprio nello spaccato al vetriolo del mondo degli influencer, veri e propri creatori di invidia, che devono sembrare “speciali sì, ma abbordabili (…) la cui qualità più necessaria è mettere in scena autenticità”, dei quali si sa quel tutto che poi si riduce a niente, ai quali interessa (solo) aumentare il numero di followers ed incamerare testimonials. Un mondo dove tutti, dal primo all’ultima, mentono e performano una parte, quella che più conviene, in cui l’unico lucido, che dice quel che pensa, è un povero schizofrenico recluso in clinica come Benny.

“Perché i social media – per dirla con Janelle – nutrono il mostro narcisistico che vive dentro ciascuno di noi, lo nutrono e quello cresce e cresce fino a prendere il sopravvento, e a quel punto tu ritrovi fuori dalla cornice”.

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Piccole cose preziose
  • Editore: Piemme
  • Autore: Janelle Brown , Cristina Ingiardi

Articolo protocollato da Alessia Sorgato

Alessia Sorgato, classe 1968, giornalista pubblicista e avvocato cassazionista. Si occupa di soggetti deboli, ossia di difesa di vittime, soprattutto di reati endo-famigliari e in tema ha scritto 12 libri tra cui Giù le mani dalle donne per Mondadori. Legge e recensisce gialli (e di alcuni effettua revisione giuridica così da risparmiarsi qualche licenza dello scrittore) perché almeno li, a volte, si fa giustizia.

Alessia Sorgato ha scritto 121 articoli: