I migliori gialli, nell’appassionarci alla storia di qualcuno, sanno raccontarci qualcosa anche della storia di tutti. È proprio quello che accade in “Quasi per caso”, di Giancarlo De Cataldo, che già aveva dato prova di tale qualità nel celeberrimo “Romanzo criminale”.
Se in “Romanzo Criminale” attraversiamo a passo di carica gli anni ’70 e ’80, osservando l’Italia dal punto di vista della banda della Magliana e del commissario Scialoja, che cerca di inchiodarne i capi, con “Quasi per caso” De Cataldo si spinge più lontano nel tempo.
Il protagonista, maggiore Emiliano Mercalli di Saint-Just, è un ufficiale dell’esercito piemontese, che si muove in un’Italia in tumulto. Siamo nel 1849 e a Roma, in cui si svolgerà gran parte del romanzo, si vive l’esperienza della Seconda Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini.
Emiliano si dirige verso la Città Eterna un po’ per dovere, ma più per amore. Il conte di Cavour conta su di lui, perché sappia riportare a casa Aymone Fleury, giovane amico di re Vittorio Emanuele. Fleury si è invaghito della principessa Matilde, giovane moglie del principe romano Ottaviani-Augusti, e rischia di destare scandalo, con conseguente discredito sul regno di Piemonte e Sardegna.
Soprattutto però, Emiliano conta di riportare a Torino la sua fidanzata Naide, donna brillante e indipendente, che contro tutto e tutti esercita, tra le prime in Italia, la professione di medico. Non sarà facile però: Naide è una fervente repubblicana e intende dare il proprio contributo alla neonata Repubblica Romana.
In un contesto storico così vibrante, con Cavour e Mazzini a giocare un ruolo nel romanzo come nella storia d’Italia, irrompe il delitto, con il suo carico di mistero. La prima a morire è la monaca suor Gertrude, ospite di casa Ottaviani-Augusti. Poi, il principe stesso, durante una battuta di caccia. E il peggio, per Emiliano, è che tutti gli indizi sembrano affermare, senza appello, la colpevolezza di Aymone Fleury nell’assassinio del principe.
Al di là del piano politico però, è il fiuto di investigatore del maggiore Mercalli, già messo alla prova in una passata indagine a Torino, a essere stuzzicato, e a suggerirgli che qualcosa non torna. Tutto sembra troppo ordinato, troppo perfetto: qualcuno, forse, vuole incastrare Fleury. Ma per quale motivo?
Rispondere a questa domanda costerà tempo, fatica e, purtroppo, ancora altro sangue. Mentre rincorriamo un inafferrabile assassino, ci scopriamo anche a fare la conoscenza con la Roma dell’epoca. Non soltanto con grandi personaggi (oltre a Cavour e Mazzini, gioca un ruolo rilevantissimo ad esempio Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, famoso patriota), ma anche figure di un popolo minuto sospeso tra voglia e paura di cambiare, come il giovanissimo Riccetto.
Lo stile è rotondo, sicuro tanto nei passaggi cruenti quanto in quelli scherzosi. Vi si mescolano sapientemente, in ugual misura, passione e leggerezza, quasi a riecheggiare, in chiave più thriller, le atmosfere risorgimentali eppure ironiche dei celebri film di Luigi Magni.
Il ritmo è serrato, ma rimane tempo e spazio da dedicare a piccole digressioni, per riflettere su un’Italia e su un’Europa che cambiano. Nell’accalorata confusione generata da mutamenti così repentini e inaspettati, viene naturale cercare un po’ di refrigerio all’ombra del senso di giustizia e di umanità di Emiliano e Naide, granitico punto di riferimento della narrazione.
I protagonisti (e anche molti comprimari) infatti cercano, al meglio delle proprie possibilità, di farsi carico, comunque, di un pesante fardello di promesse difficili da mantenere. E sembra di intravvedere, talvolta, perfino un pizzico d’ingenuità, spesso animata però da una nuova, consapevole eppure istintiva ricerca di uguaglianza che appassiona, colpisce e, a tratti, addirittura commuove.
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