Antonella Lattanzi, scrittrice e sceneggiatrice, nasce a Bari nel 1979. Dopo aver scritto alcuni racconti nel 2004 si dedica allo studio del folclore della sua amata Puglia pubblicando Leggende e racconti popolari della Puglia e anche Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Puglia. Il suo primo romanzo è Devozione del 2010 al quale hanno fatto seguito Prima che tu mi tradisca (finalista al Premio Stresa 2013) e Una storia nera (2017) vincitore del Premio Cortina d’Ampezzo. La sua ecletticità la porterà a collaborare anche alla trasmissione televisiva Le invasioni barbariche e a recensire libri e scrivere articoli per due grandi testate giornalistiche: La Stampa e La Repubblica. Anche la sceneggiatura è una sua grande passione, infatti, in ambito cinematografico collabora alla realizzazione del film Fiore di Claudio Giovannesi del 2013 e di 2night di Ivan Silvestrini del 2016. Attualmente sta lavorando alla sceneggiatura del film tratto dal suo romanzo Una storia nera.
Recensisco qui, per voi di Thriller Café, la sua ultima fatica letteraria: Questo giorno che incombe (2021) pubblicato da HarperCollins Italia e candidato al Premio Strega 2021.
Francesca, con l’adorato marito Massimo e le loro due bimbe Angela ed Emma (splendide ma con un carattere già, nonostante la loro tenera età, ben determinato a tal punto che affettuosamente i due genitori le hanno soprannominate “Generale” e “Psycho”) è giunta, in una assolata mattina, alle soglie della loro nuova dimora a Roma. Si sono infatti appena trasferiti da Milano a Giardino di Roma, un quartiere un po’ isolato, a metà strada tra la capitale e Ostia, tra la metropoli e il mare. Un complesso residenziale immerso nel verde composto da sei palazzine con balconi pieni di fiori quasi fosse una gara tra condomini ma una caratteristica colpì subito Francesca: nessuna finestra aveva le tende. Un luogo perfetto per essere felici. Certo perché è proprio con la speranza di vivere una vita felice e libera che Francesca ha lasciato la sua carriera di art director a Milano pensando di dedicarsi al suo sogno nel cassetto che è quello di diventare una scrittrice e illustratrice di libri per bambini ma anche per seguire il marito nella sua nuova avventura professionale presso l’Università di Roma. Ma appena Francesca appoggia la mano sulla maniglia del cancello d’ingresso rosso fiammeggiante qualcosa le ferisce la mano. Sarà un presagio nefasto? Ma no… sarà forse un insetto… e quindi Francesca non si cura di nulla e varca la soglia del tanto agognato eden.
Scala B – quinto piano – interno 8. Eccoli finalmente in casa. Anche qui tutto perfetto: casa enorme assolata e splendidamente accogliente a tal punto che alla nostra protagonista sembra addirittura che “la casa” le parli dandole il benvenuto. Ma le sorprese non sono finite infatti ben presto ricevono la visita degli altri condomini, capeggiati da una ambigua Colette, che con parole gentili, accoglienti e con piccoli doni vogliono farli sentire “in famiglia”. Wow! Cosa sperare di più? La situazione idilliaca però per Francesca finisce presto. Le incombenze di una casa da sistemare post trasloco, l’organizzazione della giornata in un luogo nuovo, le difficoltà di spostarsi senza macchina in un posto così isolato, il rapporto con i condomini che da presenti e gentili sono ora invadenti e sinistri, la gestione quotidiana delle figlie che le fagocita ogni momento libero e le impedisce, così, di dedicarsi al lavoro, le telefonate assillanti dell’editor che le ricorda le scadenze, ma soprattutto l’allontanamento di Massimo che, troppo preso dal nuovo lavoro, non ha più tempo per lei e le bambine mandano in tilt Francesca.
Così tutto quello che a Francesca sembrava splendido ora non le appare più tale: quel luogo che prima era sinonimo di libertà ora diventa per lei una gabbia, quel cancello che prima chiudeva fuori i pericoli ora sembra impedirle la vista del mondo, gli appartamenti senza tende che erano quasi un incitamento alla condivisione ora sono una tremenda violazione della privacy e quell’allegro cortile pieno di gente, bambini e adulti, ora le appare come luogo maledetto perché
“C’era sempre qualcuno in quel cortile. Non schiodavano mai. Sempre un milione di occhi fissi su di lei, facce e colli che si spingevano fuori dalle finestre, da dietro gli alberi, attenti a non farsi beccare. Sembravano degli scarafaggi. Maledetti, maledettissimi inquilini.”
E come se tutto questo non bastasse sopraggiungono dei vuoti di memoria, la visione di strane ombre, strani incendi che tutti negano ma che Francesca è convinta di aver visto. Che cosa le sta succedendo? Sono solo paranoie? È impazzita o qualcuno sta cercando di farla sembrare tale? A tenerle compagnia in questo momento di forte stress c’è solo la casa… infatti è con quest’ultima che continuamente ha un dialogo interiore e che ora la consola, ora la redarguisce, ora la stimola, ora la comanda a bacchetta, ora la istiga ma che soprattutto la mette in guardia nei confronti degli altri, inquilini e non solo.
“La mente è una montagna russa che ti porta dritto al cielo e giù nel buio quando vuole, una montagna russa posseduta da una volontà tutta sua che si muove, agisce e respira da sé, e vive”.
Tutto però precipita ulteriormente quando un giorno avviene “l’incidente”: una bimba del condominio, la bellissima Teresa, sparisce gettando tutti nella disperazione più nera. È stata rapita? Chi è il mostro? Dopo il sopraggiungere della polizia, l’invasione delle troupe delle numerose testate giornalistiche, gli interrogatori di adulti e bambini, le false piste di strani avvistamenti, le notizie sui social e su internet… “Teresa non era più la figlia dei suoi genitori né la bambina del condominio ma diventò la figlia di tutta la città, di tutta la regione, di tutto il mondo”. Tutti così sembrano essere sospettati perché il mostro va trovato… o meglio “un mostro” va trovato a tutti i costi…
La scelta azzeccatissima del titolo di questo thriller ha origine, come recita il primo esergo inserito, dal dialogo di Bruto e Cassio alla vigilia della battaglia di Filippi in Giulio Cesare di William Shakespeare:
“Oh, fosse dato all’uomo di conoscere
la fine di questo giorno che incombe.
Ma basta che il giorno finisca
e la sua fine è nota.”
Ma questo non è l’unico esergo del libro, che in realtà ne ha ben quattro, ed è giusto, anzi fondamentale, citare almeno anche il secondo perché con le affilate parole di Stephen King tratte dall’Avvertenza a Shining ci catapulta immediatamente nel prologo e poi nel libro stesso…
“L’overlook e le persone che vi hanno a che fare esistono… unicamente nella fantasia dell’autore.”
Antonella Lattanzi ci racconta, nel prologo, che lo spunto per questa storia le è stato dato da un fatto di cronaca nera realmente avvenuto nel condominio barese dove lei, piccolissima, e la sua famiglia si sono trasferiti circa quarant’anni fa. Infatti anche lì era sparita una bambina e al loro sopraggiungere gli altri condomini hanno cercato, invano, di convincere i suoi genitori a non trasferirsi. Per ricordare quell’episodio e forse anche per rendere giustizia a quella povera bambina mai ritrovata l’autrice decide ora di raccontare in questo libro quel tragico avvenimento non creando, però, un mémoire o un narrative doc fiction ma dando vita a una vera e propria storia romanzata che anche se scritta in terza persona mette in evidenza esclusivamente il punto di vista della madre e cioè di Francesca.
Questo romanzo che ti avvolge nelle sue spire e che ti immerge profondamente nella psicologia dei personaggi è fatto a strati dove il primo di questi è evidente e gli altri vanno cercati con un chirurgico lavoro di carotaggio che l’autrice, prendendoci per mano, ci fa fare portandoci, giù giù, sempre più in profondità alla ricerca di quell’intimo profondo non solo dei personaggi ma anche di noi stessi. Diversi sono i temi trattati: l’imprevedibilità della tragedia che spesso accade quando meno te lo aspetti perché ogni giorno può essere “un giorno che incombe”; il messaggio che quando un evento tragico colpisce un luogo sembra che il male da lì non se ne vada mai, ci galleggi infinitamente, perché, sembra dirci l’autrice, tutti noi sappiamo che il male esiste ma solo quando lo si conosce veramente e lo si tocca con mano ne comprendiamo veramente il lato oscuro; la maternità che, a volte, anche se voluta e desiderata può risultare soffocante se ci riduce a una mera funzione annullando il nostro essere donna a 360 gradi con la nostra femminilità, le nostre passioni e le nostre fantasie; il dolore e i danni, spesso irreversibili, che le dicerie e le maldicenze possono causare fino a distruggere chi ne è vittima.
Mi sembra doveroso dare un risalto particolare alla denuncia, neanche troppo velata, che la Lattanzi fa al fatto che se un’accolita di persone, in questo caso il condominio, si convince di essere nel giusto diventa molto pericoloso perché tutto ciò che è diverso è strano e tutto ciò che è strano è nemico e quindi è da combattere e da distruggere.
Con una scrittura e uno stile ascrivibile al flusso di coscienza joyciano che straripa ed esonda tra gli eventi e i pensieri della protagonista e con una trama ricca di elementi perturbanti che un po’ mi ha ricordato “Rosemary’s Baby” l’autrice ha confezionato uno straordinario e potente thriller che, dopo aver letto l’ultima pagina, mi ha lasciata completamente in apnea e di questo gliene voglio dare merito perché difficilmente accade che i colpi di scena si susseguano repentini fino all’ultima riga.
Un grazie personalissimo ad Antonella Lattanzi per aver scritto un libro che tanto ho sentito “mio” perché anch’io come Francesca, e non me ne vergogno, ho un “interno” spesso ingombrante che travalica i suoi confini e condiziona un po’ i miei comportamenti.
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