Dopo l’avventura in terra padovana de La ballata di Mila, romanzo d’esordio per la killer spietata ideata da Matteo Strukul, in Regina nera ritroviamo la stessa protagonista nei boschi del Trentino Alto Adige ad indagare sulla scomparsa di una donna, Edith, dopo che il cadavere di una sua amica è stato rinvenuto in una discarica, privo degli occhi.
Come preannunciato nel finale del primo capitolo di quella che finora è una trilogia, adesso Mila Zago fa parte della B.H.E.G., Bounty Hunter European Guild, un’agenzia privata segretissima formata da ex appartenenti ai corpi speciali europei dedita alla protezione dei propri facoltosi clienti che desiderano interventi, come dire, più incisivi rispetto a quelli offerti dagli apparati statali di pubblica sicurezza. Questo nuovo lavoro fornisce Zago, che è una macchina da guerra già solo col suo fisico forgiato in anni di allenamento, di un armamentario iper-tecnologico in stile 007 che non lascia scampo ai suoi nemici. Non lavorare più in proprio, mettersi al servizio di una causa, comporta però anche restrizioni da rispettare e ferree regole d’ingaggio. Ad esempio non uccidere, se non necessario. Ma è dura, quando hai davanti un bastardo che ti ricorda i criminali che hanno rovinato la tua vita: Mila dovrà così lottare con la rabbia accecante che affiora non appena capisce quanto marciume graviti attorno al caso su cui sta indagando. Ben presto si scopre infatti che la scomparsa di Edith è collegata ad una cricca di metallari satanisti, colpevoli anche di una brutale aggressione alla candidata premier per il Partito delle Donne e del rapimento di sua figlia Giulia. Cultori del genere, non agitatevi: nonostante Strukul l’abbia scelto come colonna sonora dei cattivi, traspare l’amore dell’autore per il metal.
Mila si tuffa in un mondo tenebroso, fatto di leggende nordiche e violenza di branco: affronterà i Nibelunghi, un gruppo di schizzati che vive isolato dal mondo, spesso contro di esso, tra riti di iniziazione, manipolazione delle menti più suggestionabili e traffico di droga. Quello che inizialmente poteva essere solo un modo per evadere e sfogare la propria rabbia, si è trasformato in una vera e propria setta, fondata sull’obbedienza ad un leader, Hagen (dal nome dell’eroe oscuro della Canzone dei Nibelunghi, il traditore che uccide Siegfried) e sull’osservanza di valori reazionari come la difesa del proprio gruppo d’appartenenza, l’esaltazione antagonista dell’identità e la prevaricazione sui deboli, le donne in particolare, schiavizzate e rese “valchirie” a disposizione del guerriero che le sceglie. Questi folli metallari sono pronti al salto di qualità: puntano al proselitismo su larga scala, disposti ad alleanze oscure pur di guadagnare soldi e poter diffondere il loro perverso vangelo.
Ma se i Nibelunghi sono gli esecutori materiali del rapimento di Giulia, chi sono i mandanti nascosti di questa operazione? Nell’ombra si muovono due figure, l’Uomo e la Voce, disposti a tutto per portare avanti i loro intrighi politici. Roba da far impallidire Frank Underwood.
Per questo secondo capitolo dedicato a Mila Zago Strukul decide, saggiamente, di non replicare il format del bel romanzo d’esordio ma di percorrere strade nuove sia a livello narrativo che a quello stilistico, mantenendo comunque un suo tratto riconoscibile. La novità più importante è l’introduzione della voce della protagonista che, a differenza di quanto avveniva ne La ballata di Mila, qui si esprime in prima persona. Questa scelta consente ai lettori di esplorare ciò che si cela dietro la gelida e spietata facciata che la killer mostra al mondo: le sue parole ci rivelano infatti una donna traumatizzata dall’uccisione del padre e dallo stupro subito, una persona che ha dedicato la sua vita alla vendetta (prima direttamente contro i responsabili, poi in generale contro tutti i “malvagi” di questa terra) ma che ci ha rimesso la possibilità di un qualsiasi rapporto normale con gli altri. Il destino di Mila è una condanna, e se nel primo libro nulla traspariva, qui ci rendiamo conto di quanta disperazione ci sia nella vita che la violenza ha modellato per lei, di quanta solitudine opprima quest’eroina dai dreadlock rossi e dal cuore ferito.
Intendiamoci, la sua buona dose di sangue ce l’ha anche questo romanzo, eccome, ma il colpo ad effetto estemporaneo è sostituito da una prosa più distesa, capace di svolgersi in maniera più articolata senza che le scene di combattimento vengano meno. Se guardiamo in prospettiva i tre romanzi che Strukul ha dedicato a Mila, questo secondo episodio assume i connotati di un momento di passaggio, una transazione dal pulp puro de La ballata di Mila ai toni più equilibrati e maggiormente introspettivi di Cucciolo d’uomo. Ogni libro comunque ha una sua autonomia e bellezza, e questo non fa eccezione.
Senza appesantire le pagine con stralci di asettica analisi sociale, Strukul snocciola i numeri delle discriminazioni e delle violenze sulle donne, non lasciando però che la denuncia prevalga sulla storia dei personaggi. Non è un romanzo a tema: i toni sono più realistici (Mila, ad esempio, non è invincibile come appariva nel capitolo precedente, a tutto vantaggio della trama che con una protagonista imbattibile non avrebbe alcuna suspense) e si sente una maggiore volontà di adesione alla realtà, ma Regina nera resta un’opera di fiction.
Questa volta Mila rischia grosso e ne verrà fuori malconcia, ma ancora più assetata di quel sangue sempre pronto a sgorgare dalla vena pulp di Strukul. Il finale preannuncia quello che, ora lo sappiamo, sarà il terzo romanzo, Cucciolo d’uomo: la bounty killer tornerà a far parlare di sé, non tutti i conti sono stati chiusi e il male non ha certo smesso di imperversare nel mondo. Mila è pronta a mordere ancora.
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