Valerio Varesi nasce a Torino nel 1959 ma si trasferisce, in tenera età, a Parma (città di origine dei suoi genitori). Dopo una laurea in filosofia all’Università di Bologna inizia nell’85 a collaborare con riviste e giornali diventando prima corrispondente da Parma per La Stampa e La Repubblica e passando poi alla redazione bolognese di La Repubblica. La sua prima pubblicazione è del 1998 ed è un romanzo giallo dal titolo Ultime notizie di una fuga (pubblicato da Mobydick), il primo della serie del commissario Soneri, e da qui ha avuto inizio la sua lunga carriera letteraria che ha visto la pubblicazione di romanzi e racconti per antologie e che l’ha portato a vincere numerosi e meritati premi. Mi piace ricordare, uno fra tutti, il premio alla carriera Lama e Trama, ricevuto nel 2009, con motivazione davvero lusinghiera e calzante «Per avere impresso al giallo italiano suggestioni paesaggistiche e complessità psicologiche degne della grande letteratura».
Molto apprezzato anche all’estero è stato tradotto in vari paesi tra cui Gran Bretagna, Spagna, Germania, Olanda e Francia dove viene considerato il “Simenon Italiano”.
La fortunata serie che vede come protagonista il commissario Soneri, che è stata anche trasposta in fiction alcuni anni fa sulla RAI con il titolo “Nebbie e delitti”, è ormai giunta al suo 16º episodio. Ed è proprio l’ultimo di questi, Reo confesso, pubblicato circa un mese fa da Mondadori che mi accingo oggi, cari lettori di Thriller Café, a recensire per voi.
«Ci sono fatti che sembrano insignificanti e invece ci inciampi e ti imbratti.»
È infatti una mattina qualunque, di un giorno qualunque, che in uno dei tanti e sempre uguali itinerari tra le labirintiche strade di Parma che il nostro commissario Franco Soneri (montgomery e toscano in bocca) tanto simile alla sua amata città perché come lui è un po’ sghemba, un po’ annoiata, un po’ annebbiata, si imbatte in una presenza davvero inquietante: un uomo, forse un barbone o forse no, è sdraiato immobile su una panchina. Si tratta di Roberto Ferrari, un mite sessantottenne, che ci tiene a precisare essere «un parmigiano del sasso che significava essere nati e vissuti in città. Il sasso voleva dire il selciato, non la terra e l’erba di chi viene al mondo tra le vacche». Cosa ci faceva immobile e infreddolito su quella panchina? Ferrari racconterà al nostro commissario che il suo era un vero e proprio “esperimento sociale”, voleva infatti vedere quanto tempo ci metteva la gente ad accorgersi di lui… «Nessuno si interessa più degli altri… viviamo in un mondo sordo. Non è nemmeno sempre per cattiva volontà o indifferenza. Forse per imbarazzo. Credo che sia così. Molte volte è timidezza e imbarazzo. S’è creato come un velo fra le persone che le mostra sfocate e impedisce che si riconoscano».
Ma non sarà questa la sola e unica verità sconvolgente che racconterà l’anziano uomo. Infatti confesserà, con una calma inquietante e serafica, di aver commesso un omicidio e cioè di aver ammazzato Giacomo Malvisi detto James, un consulente finanziario, che ha passato la vita a truffare con raggiri e furberie chi si era fidato di lui affidandogli anni di onesti e sudati risparmi. Giustificherà questo suo atto criminoso, del quale fornisce subito luogo dell’omicidio, arma utilizzata, movente… con una spiegazione che sconcerterà il nostro commissario «non c’è niente di peggio che tradire la fiducia di chi ti aiuta. È molto più grave che rubare. Il ladro ti priva di qualcosa ma non ti getta addosso lo scherno e l’umiliazione. E invece il tradimento presuppone la peggiore umiliazione: quella di farti sentire inetto».
Il nostro Soneri un po’ per quella sua indole curiosa che funge da molla vitale e gli permette ancora di stupirsi di quanto accade intorno a lui e un po’ perché qualcosa “non gli torna” decide di indagare. Inizierà così per lui una vera e propria indagine “contromano” perché a differenza delle normali indagini che partono nella confusione più totale e che passo dopo passo, tassello dopo tassello, l’ordine si ricompone, qui sembra già tutto perfetto sin dall’inizio, tutto spiegato, tutto coerente e quindi per trovare il bandolo della matassa dovrà “destrutturare” la vicenda narrata per risalire alla verità e fare finalmente giustizia. Ma si accorgerà che questa vicenda lo porterà a riflettere sul fatto che non sempre la legge formale e quella sostanziale, più umana, collimano e queste sue riflessioni lo faranno entrare profondamente in crisi a livello personale, professionale e anche sentimentale…
Gli scrittori, si sa, raccontano storie ma i bravi scrittori, quelli che escono dal “coro” come Varesi, raccontano mondi cioè uno spazio che non è soltanto fisico, ma emotivo, sociale, umano.
Conosciamo ed apprezziamo da anni Soneri, commissario emiliano, dal carattere inquieto e dallo straordinario acume che “annusa” il torbido e le ingiustizie a chilometri di distanza e che parteggia sempre per gli ultimi e i dimenticati ma questa volta, in Reo confesso, ci troviamo di fronte ad un uomo deluso, amareggiato ma soprattutto arrabbiato. Sì… certo… arrabbiato sia perché l’indagine di cui si sta occupando non lo vede protagonista ma spettatore passivo che comprende ciò che sta accadendo sempre un minuto dopo sia perché si ritrova impotente di fronte a un mondo dove malcostume e consuetudini truffaldine dilagano sempre di più anche in ambienti dove l’etica e la morale dovrebbero essere di casa. In questa straordinaria sua ultima fatica letteraria Varesi sembra voler mettere Soneri di fronte ad un caso insoluto quasi a dar voce (perché d’altronde il giallo-noir è il romanzo del reale) ai numerosi casi irrisolti o non risolti del tutto del panorama giudiziario italiano come via Poma, il delitto Montesi…
In questo romanzo, come negli altri precedenti, Soneri ha altri co-protagonisti: uno di questi è senz’altro la città di Parma (che sembra quasi di percorrere via dopo via, numero civico dopo numero civico, piazza dopo piazza e quartiere dopo quartiere) e poi c’è la nebbia da quella fitta che rende la notte della Bassa un mondo buio e ostile a quella più sottile talvolta compagna e amica… Ma in Reo confesso, ambientato a ottobre 2020, un’altra presenza inquietante fa la sua comparsa: la pandemia con le sue mascherine, il distanziamento, il coprifuoco…
Con questo nuovo libro Varesi continua la sua indagine sulla società parmense: una provincia operosa e benestante costituita da una moltitudine di contadini che hanno dedicato la loro vita al lavoro per fondare imprese, da tanti furbetti che hanno dato vita a società finanziarie non sempre legali, da ex ricchi che hanno dilapidato fortune ma anche da una variegata umanità onesta, operosa e silenziosa. E lo fa con spietata lucidità affrontando argomenti filosofici, etici e sociali e puntando il “focus” sull’eterno dilemma tra Bene e Male e sulla loro separazione mai così netta ma piuttosto labile e sulla compenetrazione per osmosi di uno nell’altro.
Perché leggere questo libro? Perché i romanzi di Varesi lasciano tracce, suscitano emozioni e profonde riflessioni e come quelli di (passatemi il paragone) Massimo Carlotto non si dimenticano.
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Articolo protocollato da Luisa Ferrero
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