Con Riccardino, la cui prima stesura risale al 2005, anche se per scelta dell’autore il libro è stato pubblicato postumo, Andrea Camilleri saluta il commissario Montalbano, e il commissario Montalbano saluta i suoi lettori.
Il dualismo tra personaggio e autore, ciascuno dei quali abbandona la scena a modo suo, costituisce l’elemento più originale dell’ultimo episodio che, tanto nella sua rappresentazione letteraria quanto in quella televisiva, ha conquistato l’affetto di milioni di appassionati, guadagnandosi prestigiosi riconoscimenti anche al di là dei confini nazionali (Camilleri è uno degli autori italiani più venduti all’estero e la serie è stata trasmessa in più di 20 Paesi, dagli Stati Uniti, alla Russia, all’Australia).
Dopo essersi tenuto a lungo sullo sfondo, Camilleri entra in scena e, a modo suo, si fa personaggio. Un riferimento pirandelliano che ricorda forse, sia pur con taglio ancor più marcato, la scelta di un altro grande scrittore siciliano, Leonardo Sciascia, nel suo racconto “Una storia semplice”.
Anche in quel caso la vicenda si gioca su un sottile equilibrio tra ciò che è e ciò che appare, tra ciò che deve essere e ciò che deve apparire, con un misterioso commissario che finisce, quasi senza accorgersene, per dare la caccia a se stesso.
Nel caso di Sciascia però, il gioco delle parti, che si farà straniante e tragico, avvolge soltanto i personaggi in scena. Camilleri invece, estende il paradosso anche al dietro le quinte, e vi si immerge, un po’ alla maniera dei “Sei personaggi in cerca d’autore”, ma con piglio più scanzonato, quasi baldanzoso.
Così riflettendo su analogie letterarie, verrebbe proprio voglia di chiedere all’Autore, come egli stesso si definisce nel farsi personaggio, quanto di questo sottile gioco di rimandi e di specchi sia il suo modo di salutarci in grande stile, quanto ci sia in questo di “giallo”, quanto di letteratura, e quanto di burla.
E par di vederlo, che tira due boccate alla sua immancabile sigaretta, sornione, e poi, dopo attenta riflessione, scandisce serafico: “Me ne staiu futtennu”. Perché l’Autore, si sa, con rispetto parlando, non gradisce che gli si “scassino i cabbasisi”, specialmente per il suo gran finale, specialmente per “Riccardino”.
Riccardino, già: un giovane che telefona a Montalbano, sbagliando numero, in piena notte, e poco dopo viene ucciso da un motociclista, mentre si prepara a una gita con gli amici di sempre. Un delitto misterioso, molte piste da seguire e un commissario che, anche agli occhi del sempre attento ispettore Fazio, sembra stanco, a volte perfino un po’ demotivato.
Glielo ricorda anche l’Autore: guarda che il Montalbano della TV, a quest’ora… Eh già, il Montalbano della TV, che non è mica quello dei romanzi, che ne soffre un po’ la concorrenza. Come si può, si domanda, stare alla pari di una figura eroica, qualcuno per cui tutti fanno il tifo, quando si è un commissario di provincia, che si avvicina ormai alla fine della carriera?
Eppure, spinto da uno sfibrato ma incrollabile amore per la verità, malgrado qualche passo falso, Montalbano indaga. Proprio quando sembra inquadrare una soluzione però, una bella soluzione per un classico “giallo”, se ne allontana, la squadra con occhio critico, insomma “non se ne fa persuaso”.
Ma che vai cercando, gli domanda l’Autore. Perché non ti accontenti di questa bella soluzione che ho preparato per te? Già, perché non accontentarsi, in fondo, se l’entusiasmo lascia spazio al disincanto.
Ma Montalbano ci saluta a modo suo proprio per questo: perché sa ricordarci che la ricerca della verità, di una verità non banale, non è solo entusiasmo, è volontà. E volontà e indipendenza non fanno certo difetto a Montalbano: anche, se non soprattutto, a questo Montalbano. Che così ci ricorda, questo sì, pirandellianamente, come rimanere rinunciando a se stesso vorrebbe dire svanire; e come svanire per rivendicare la sua libertà, la libertà anche dalla penna del proprio Autore, voglia dire, autenticamente, restare.
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