“Nessuno sa che non fu morte naturale… Ma se lo raccontassi, chi crederebbe più a un vecchio servo, ridotto a mendicar qualche moneta da spendere in taverna? Volete offrirmi da bere?“.
La confessione di un assassino è di per sé merce rarissima; se poi è redatta da uno scrittore del calibro di Andrea Carlo Cappi merita particolare attenzione. Ecco il tuo goccio, Alcock. Siamo tutt’orecchi…
Titolo: ROCHESTER
Autore: Andrea Carlo Cappi
Editore: Felici Editore
Anno: 2012
Thomas Alcock, dal 1664 al servizio di John Wilmot, II conte di Rochester (“suo amico, complice e ruffiano”), vuole liberarsi la coscienza dall’enorme peso che la opprime. Vissuto per sedici anni all’ombra del suo stravagante e sregolato padrone, sente di aver perduto per sempre il privilegio di condurre anche lui un’esistenza di eccezione quando una spietata malattia venerea provoca il decadimento fisico del Conte (“Ed io divenni strumento di vendetta e della vendetta altrui feci strumento per la vendetta mia”). Nella sua lacerante e vivida confessione descrive come accettò di avvelenarlo lentamente ma anche come, una volta ravvedutosi del gesto scellerato, abbia voluto scoprire chi fosse il mandante di tale stillicidio.
Il movente è quanto mai agghiacciante e ci parla di potere, intrighi e omicidi perpetrati a danno di pecorelle smarrite e in nome di ovili divini.
La storia ci consegna l’immagine di un John Wilmot che, allo stremo delle forze e in preda al delirio delle febbri, abbraccia la fede e da ordine di bruciare i suoi scritti irriverenti e blasfemi. Pura finzione a beneficio degli eredi legittimi del Conte o realtà?
Andrea Carlo Cappi con il suo straordinario racconto Rochester si insinua in questo dibattito e ci propone l’immagine del grande libertino che esce vittorioso dalla propria vicenda terrena per avere propugnato le sue ragioni con coerenza e per essere stato tradito da chi lo circondava.
Parla per bocca di Thomas Alcock, l’autentico servitore del Conte, con il quale condivise giocoforza la vita rocambolesca e dissoluta. Più volte messo al bando da re Carlo II, Rochester non desistette però mai dal proposito di perseguire fino in fondo i dettami del Libertinismo, movimento sviluppatisi in Francia ma che, sostenuto filosoficamente dalle teorie nichilistiche di Hobbes, traversò velocemente la Manica per reazione al Puritanesimo imposto da Cromwell.
Cappi non si limita a utilizzare lo stereotipato binomio servo scellerato–padrone tradito, perché il tradimento perpetrato ai danni del Conte ha una ben più ampia valenza etica: il servo ci testimonia infatti come con l’inganno Rochester fu indotto a convertirsi, sempre con l’inganno è stato fatto scempio delle sue opere e solo l’inganno poté la meglio sulla sua coerenza intellettuale.
E così l’Autore prende posizione, tratteggiando il personaggio del servo colmo di rabbia per essersi fatto strumento di un più alto tradimento ai danni del proprio padrone, ma anche pieno di fragile umanità: “Voi, uomini di Chiesa, che vi servite di Dio per raggiungere il potere e il denaro, gradireste un bel bicchiere di vino, magari avvelenato? Ma giacché il mio Inferno è sulla terra e ha avuto inizio e le fiamme, si sa, mettono sete, non vi dispiaccia ancora offrir da bere a Thomas Alcock, umile servitore.”
No, non ci dispiace servirti un altro goccio, Alcock, perché la tua accorata confessione ci ha davvero colpiti. Peccato non averti potuto conoscere prima, nel 1991, appena uscisti dalla penna del tuo creatore; ma si sa, i contratti di edizione nel nostro Paese sono quelli che sono, e solo ora che sei “ampiamente maggiorenne” – come sostiene lo stesso Cappi nella Nota dell’autore – abbiamo avuto il privilegio di ascoltare la tua voce.
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