Sabbie Mobili di Henning MankellAlla luce della recente scomparsa di Henning Mankell ecco che ha ancora più importanza la stampa del suo Sabbie mobili da parte di Marsilio, che pubblica l’opera nella sua collana Gli Specchi con la traduzione di Laura Cangemi.
Il sottotitolo di Sabbie mobili, ovvero “L’arte di sopravvivere”, può già chiarire perlomeno in parte cosa possono aspettarsi i lettori: non un qualche ultimo giallo o thriller prima di lasciarci, ma una serie di scritti più o meno autobiografici che dialogano con la vita e con il mestiere della scrittura.

L’idea per Sabbie mobili è venuta a Mankell poco dopo la scoperta di avere un tumore: a fine gennaio 2014, come annunciò lo stesso scrittore, Mankell scoprì, dopo una banale visita all’ortopedico per un dolore al collo, di avere un cancro, e da allora  tenne sul quotidiano locale Gøteborgs Post una sorta di diario della malattia, che presto divenne anche altro, fino all’attuale forma-libro.

Henning Mankell (Stoccolma, 3 febbraio 1948 – Göteborg, 5 ottobre 2015) è stato uno dei autori svedesi più amati, letti e tradotti al mondo e si stima che la sua serie più nota, quella del commissario Wallander, abbia raggiunto i quaranta milioni di copie.
Mankell ha visto anche molti suoi titoli diventare film e telefilm e accanto ai polizieschi aventi come protagonista fisso Kurt Wallander l’autore ha sempre affiancato la scrittura di romanzi a se stanti, anche quelli portati in Italia, principalmente da Marsilio e Rizzoli.

I romanzi di Mankell riflettono spesso su importanti temi politici e sociali, e lo stesso Wallander è nato in occasione di una storia sul razzismo. La gestione della serie è una delle migliori all’interno della recente narrativa gialla in quanto il protagonista cresce e cambia anche in modo drastico durante gli anni, passa attraverso un matrimonio, una crisi, il tentativo di suicidio della figlia e un divorzio che ha poi scatenato una lunga serie di problemi anche a livello lavorativo.

Sebbene siano in tanti gli ispettori che impariamo a seguire e dei quali conosciamo molti fatti “privati”, con Wallander ciò è avvenuto in modo così fluido e insieme dettagliato che quando Mankell dichiarò che L’uomo inquieto sarebbe stato l’ultimo libro della serie provammo la sensazione di dover salutare un amico.

“Ho deciso di scrivere di questa malattia perché non riguarda solo me, ma tanti altri che si trovano nella mia stessa condizione. L’ho fatto con la prospettiva della vita, non della morte. È una riflessione su cosa significa vivere”. Questo ha detto Mankell di Sabbie mobili.
E, da esperto scrittore quale è sempre stato, anche nel momento dell’ultimo addio, anche nei giorni più dolorosi, è riuscito a spiegarci come la vita, fra catastrofi e tragedie, valga comunque sempre la pena di essere vissuta, fino in fondo.

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