«C’è puzza di uovo marcio. L’aria è grigia e densa di fumo di polvere da sparo. Hanno tutti almeno una pallottola in corpo, a parte me. Io non ho neanche un livido».
Comincia così Sabbie mobili, bel legal thriller nordico di Malin Persson Giolito che si presenta ai lettori italiani con un po’ di ritardo (è uscito in Svezia nel 2016) con un curriculum di tutto rispetto: Premio miglior Crime europeo 2018 – Premio Glass Key, miglior Crime nordico 2017, e dopo il grande successo in Svezia, verrà presto pubblicato in 28 Paesi e diventerà una serie televisiva Netflix.
Il sottotitolo del romanzo è “tre settimane per capire un giorno”, e nel racconto verrà ricostruita la sequenza dei fatti che si generano dalla sparatoria nel liceo di uno dei più esclusivi quartieri di Stoccolma – al termine della quale cinque persone rimangono a terra colpite da una raffica di proiettili – fino al termine del processo contro Maja Norberg: diciotto anni appena compiuti, brava studentessa, popolare, ragazza di buona famiglia e unica sopravvisuta.
Cos’è successo veramente in quella classe? E sopratutto, perché? Chi è veramente Maja, una fredda sociopatica, una vittima, una bugiarda?
Il racconto in prima persona rende difficile trovare le risposte a questa domande, e probabilmente è uno dei maggiori punti di forza del romanzo: leggendo cerchiamo di capire la verità, ma la verità sulla quale ci basiamo è la verità di Maja.
Maja ha uno sguardo sferzante e pieno di dura ironia, capace di cogliere le sfumature di persone e fatti che sposta continuamento la nostra percezione degli avvenimenti, e che di conseguenza cambia le domande che ci poniamo. Il ritmo del romanzo è piuttosto lento – molto in linea comunque con lo stile nordico – ma proprio questo continuo cambiamento di prospettiva che Maja ci propone fa sì la lettura sia comunque piacevole e scorrevole: quello che convince e appassiona è la costruzione di una vicenda che, ambientata in un contesto apparentemente idilliaco rivela nel prosieguo della narrazione un mondo permeato di ipocrisia, molto più cupo di quello che possiamo immaginare, con una sorta di contrasto cromatico tra la luminosa Svezia dai colori chiari, democratica e inclusiva, con scuole dai programmi politically correct frequentati da adolescenti biondissimi, e le sfumature cupe della storia.
Due tematiche emergono prepotentemente nel romanzo: da un lato la storia d’amore malata e estrema tra Maja e Sebastian, dall’altra l’assenza colpevole del mondo adulto nella vita di questi ragazzi.
Sebastian, figlio dell’uomo più ricco di Svezia, trascina Maja nella propria personale discesa negli inferi fino alla sparatoria finale: Sebastian vive la grande libertà del ragazzo ricco a cui tutto è concesso – le assenze, le feste, la tossicodipendenza – e vive l’enorme solitudine di un ragazzo con immensi mezzi economici totalmente abbandonato a sé stesso.
Maja è trascinata nella vita di Sebastian, ma anche quando vorrebbe uscirne nessun adulto – né i genitori né gli insegnanti – l’aiuterà perché l’aura di potere del padre è qualcosa all’interno del quale tutti vogliono gravitare. Meglio quindi fingere che si tratti solo di “cose da ragazzi”, nascondersi dietro la facciata dei genitori comprensivi o organizzare una recita scolastica che riappacifici gli animi.
Non pare un caso che Netflix abbia acquistato i diritti di Sabbie mobili: sicuramente la scrittura è perfetta per la serialità televisiva di qualità, e chi ha visto 13 ritroverà le stesse atmosfere. Come la bella serie televisiva, Sabbie mobili va oltre la lettura da young adult: è uno spaccato di Svezia, ed è sopratutto il racconto di personaggi fragili e affascinanti, umanamente complessi, che cerchiamo di capire fino alla fine in quelle ultime righe nelle quali Maja Norberg rivela molto di sé. L’ultima verità dell’adolescente Maja, la più tenera e la più autentica. O forse no.
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