Sadie è l’ultima fatica di Courtney Summers, giovane autrice canadese che ambienta però le sue storie prevalentemente negli States. Pubblicato lo scorso anno, arriva ora in traduzione italiana per i tipi della Rizzoli. Potremmo definirlo un romanzo on the road: è sostanzialmente la storia di una ricerca. Sadie, la protagonista che dà il nome al titolo, è una ventenne problematica, non bella, affetta da una ingombrante balbuzie, che vive a Cold Creek, una piccola città del Colorado. Non ha mai conosciuto suo padre, non è mai stata amata dalla madre, che l’ha abbandonata. Insieme alla sorella minore Mattie è stata tirata su da May Best Foster, una donna rude ma generosa, che ha voluto prendersi cura di loro. La svolta nella sua vita è segnata dalla scomparsa e dall’uccisione della sorellina, ancora adolescente. Una perdita che Sadie non riesce ad accettare; un tormento che la spinge a investire tutti i suoi risparmi nell’acquisto di un’auto usata e a partire alla ricerca dell’assassino di Mattie. Per vendicarla. Nessuno conosce le sue intenzioni, non avverte nessuno della sua partenza. Per la gente del posto e per la polizia quindi è un nuovo caso di ragazza scomparsa. Ce n’è a volontà per spingere West McCray, giornalista investigativo che dirige una popolare trasmissione televisiva, a concentrarsi sul caso, costruendo un pod cast, sulla scomparsa di entrambe le sorelle. E’ la chiave per la scelta da parte dell’autrice di un particolare modulo narrativo, basato su due livelli che si alternano lungo il racconto. Da una parte abbiamo il lavoro di McCray, che cerca di muoversi lungo le tracce di Sadie, intervistando la gente del posto e dei dintorni, uomini e donne che l’hanno conosciuta, compagne di scuola, negozianti, ma anche estranei che comunque convivevano con lei l’esistenza nel piccolo centro. Ne esce una narrazione corale e uno spaccato fedele e illuminante della provincia americana. Ma dall’altra parte abbiamo la stessa Sadie che, in soggettiva, ci racconta la sua fuga e quindi la sua ricerca che la porterà, attraverso incontri con persone affondate nell’emarginazione e nella violenza, a realizzare in maniera definita anche anche se drammatica, il proprio passaggio dalla giovinezza alla piena maturità.
Ci sembra onesto dire che questo doppio binario narrativo rende, a tratti, non facilmente leggibile il testo. Specie la “presa diretta” di West McCray è spesso spezzettata in una sequela di dialoghi con una o più persone intervistate contemporaneamente e quindi la scrittura è complessa. Tuttavia è proprio in questo doppio registro che il romanzo trova la sua forza: esso ci offre infatti un duplice piano di visitazione della storia: da un lato la realtà come percepita e razionalizzata dalla gente e come poi metabolizzata, omologata e offerta al pubblico dal giornalista. Dall’altro viviamo in soggettiva il vero “viaggio” di Sadie, come essa lo interpreta nella sua mente, nella sua emotività. E l’autrice ci lascia capire che non è scontato che la visione delle cose come Sadie le vede e le vive costituisca la “verità”, perché anche in questo caso tutto è filtrato attraverso il tormento di una mente lucida ma disperata.
Dunque un thriller, certo, un grande thriller che prende alla gola. Ma anche qualcosa di più: un racconto inquietante, disturbante a tratti, che ci rivolge molte, complesse domande.
Recensione di Fausto Tanzarella.
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