Frankie Loomis è una detective della polizia di Boston. Svegliata nel cuore della notte, ha appena esaminato il cadavere di una giovane ragazza, Taryn Moore, precipitata dal balcone del suo appartamento. Tutto farebbe pensare a un caso di suicidio, ma, come sappiamo bene qui al Thriller Café, non tutto è sempre come appare. Fin dall’inizio, infatti, Frankie mette in dubbio il suicidio. Non la convince la scena del crimine e non la convince l’assenza del cellulare della vittima. Inizia così l’ultimo romanzo di Tess Gerritsen “Scegli me”, scritto in collaborazione con Gary Braver e uscito per i tipi di Longanesi, per la traduzione di Adria Tissoni.
La Gerritsen sceglie una struttura narrativa particolare per questa sua opera. In parallelo all’indagine di Frankie Loomis, si dipana un percorso narrativo che ricostruisce il periodo precedente all’apparente suicidio e che scava nella vita di Taryn Moore. In un’alternanza di tempi che, oltre ad accrescere la suspense, ci consegna una visuale “multipolare” degli avvenimenti. Siamo cioè in presenza di un romanzo che potremmo definire “corale”, con diversi protagonisti. Di fianco al medical thriller incentrato sulla figura della detective Loomis, c’è il racconto della vita universitaria della studentessa Taryn Moore e del suo professore preferito, Jack Dorian, docente di letteratura. Una struttura nella quale il lettore si trova quasi in vantaggio rispetto alla detective, perché grazie alla ricostruzione del passato ha molti elementi in più per analizzare la situazione.
Conosciamo la maestria della Gerritsen nello scavare nei suoi personaggi. Anche in questo caso, la scrittice non tradisce la sua fama e ci offre il suo sguardo su un tema che a lei sta particolarmente a cuore: la questione femminile e di genere. Non a caso, il professor Dorian studia le figure femminili nella letteratura e Taryn Moore si appassiona a Medea, Didone, Eloisa, Giulietta. Non a caso i personaggi più analizzati e indagati sono proprio Frankie, Taryn e in ultimo Maggie, la moglie del professor Jack Dorian. Non che non emergano anche i lati talvolta meschini di queste figure (per Gerritsen i personaggi sono sempre in parte ambivalenti), ma in generale si può tranquillamente affermare che le donne di Gerritsen sono personaggi tutto sommato positivi, mentre gli uomini finiscono per avere la peggio (probabilmente anche a ragione). D’altra parte, come aspettarci qualcosa di diverso dall’inventrice della fortunata serie tv “Rizzoli e Isles”. Anche se in un paio di circostanze abbiamo notato una certa critica delle esasperazioni riscontrate nell’America del MeToo, dove talvolta anche un solo sospetto può distruggere la vita di una persona.
Allargando un po’ lo sguardo, si potrebbe dire che Gerritsen usa la questione di genere per indagare più in profondità le relazioni affettive, ciò che lega le persone, i legami, i vincoli, le costruzioni familiari. E ancora più in generale, quegli attimi cruciali nelle vite delle persone dove una scelta e una decisione può fare la differenza (da qui il titolo, uguale anche nella versione originale). In questo senso, l’autrice è molto brava a entrare nel profondo dei suoi personaggi e il suo più che un thriller di azione è sicuramente un thriller psicologico, in grado di smascherare anche i peggiori luoghi comuni che in fondo tutti noi quotidianamente affrontiamo.
Ne esce un quadro di un’umanità un po’ fragile e dolente (ci si potrebbe chiedere quanto la pandemia abbia influito su questa atmosfera), spesso preda dei propri istinti più aberranti, mai completamente innocente. Costretta, proprio malgrado, ad accontentarsi di qualche piccolo attimo di felicità, in un orizzonte di cui non riesce mai a essere padrona e nel quale finisce sempre per essere vittima, soprattutto di sé stessa.
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