Articolo sponsorizzato; qui la nostra policy.

Nuova presentazione al Thriller Café: oggi è la volta di “Sceneggiatura per un delitto“, romanzo a opera di Fulvio Di Chiara edito da Spirito Libero Edizioni.

Si tratta di un giallo che prende il La sul palcoscenico di un teatro, che è anche il palcoscenico di una morte fuori copione. Quello originale prevede che Amleto, all’anagrafe Luigi Ranieri, si spari lasciando il pubblico sgomento e interdetto al calare del sipario, per poi ripresentarsi vivo e vegeto a ricevere gli applausi. E infatti così va a finire la prima volta.

Ma a una replica dello stesso spettacolo, Amleto rimette in scena il suo suicidio, e stavolta non si rialza più, perché è morto davvero.

Voleva davvero ammazzarsi o qualcuno ha caricato l’arma di proposito? A indagare sulla morte saranno il commissario Sanfilippo e i suoi amici Sandro e Vittorio.

Questa in breve l’interessante premessa del romanzo, ma per aiutare i lettori ad approfondire meglio e farsi un’idea più precisa del libro, abbiamo posto all’autore due domande. Trovate qui sotto le risposte (dalle quali capirete che in realtà l'”autore” è un duo), seguite da un estratto.

Due domande all’autore

Com’è nato questo libro?

«Il libro nasce dalla nostra passione per il giallo e per il teatro. Non abbiamo resistito alla tentazione di trasformare il palcoscenico nel luogo del delitto. E a questo punto il dramma c’è già tutto. Che la morte sia vera o simulata è solo un dettaglio. Ci piaceva giocare sul dualismo realtà/finzione: quanto c’è di reale in una rappresentazione teatrale? E, andando oltre, la morte a cui assistono gli spettatori è un omicidio o un plateale suicidio? Il commissario Sanfilippo e i suoi amici Sandro e Vittorio, che indagano sulla vicenda, dovranno anch’essi salire su quel palcoscenico e interpretare al meglio il loro ruolo per risolvere il mistero.»

Qual è la cosa che lettori potrebbero apprezzare di più…?

La storia, piena di tensione e colpi di scena, indaga i confini tra finzione e realtà. L’ambientazione teatrale è affascinante e potrebbe coinvolgere molto i lettori amanti dello spettacolo. Ma a colpirli potrebbero essere soprattutto i temi collaterali trattati: il rapporto con la verità, la malattia e le scelte estreme della vita.

Estratto

1

«Questa vita non ha senso, dammi retta amico mio. Solo l’inesorabile scorrere del tempo che accumula anni sulle nostre spalle. Quegli anni che ci incurvano sotto il loro peso, che ci fanno canuti, pieni di rughe, e che ci rendono disillusi, sempre più disillusi.
So bene che non sei d’accordo, stai per dirmi: non spetta forse a noi dare un senso alla vita? A questo inesorabile incedere del tempo che ci porta via le ore, i giorni, e gli anni?
Ti ho sentito più volte ripetere che se sapremo dare un senso alla nostra vita, moriremo senza rimpianto. Sarà come alzarsi da tavola sazi dopo un banchetto ricco e succulento.
Ma, ascolta amico mio, come dare un senso a questa insignificante parentesi tra due infiniti? Forse con imprese eroiche e mirabolanti? Inseguendo nobili e altissimi ideali? Ma una vita così si addice a pochi individui. E tutti gli altri uomini e donne che calcano il suolo di questa terra? Se dare un senso alla vita è un’impresa per pochi eletti, che cosa ne sarà di tutti gli altri?
Tu a questo punto affermi categorico che mi sbaglio, perché riuscire a dare un senso alla propria vita è un affare che si addice a tutte le donne e a tutti gli uomini di questa terra.
Allora, vediamo se ho ben inteso le tue parole, non sono le azioni straordinarie che qualcuno ha il privilegio di compiere a dare un senso alla vita, ma l’agire quotidiano che accompagna il nostro esistere in ogni momento. Dunque noi regaleremmo un senso alle nostre ore quando lavoriamo, quando mangiamo, quando dormiamo, quando facciamo l’amore e persino quando respiriamo. Certo, purché siamo consapevoli che questo nostro agire è il nostro stesso vivere, non un abito che qualche volta ben si adatta alla vita.
Mi rincresce amico mio, ma non sono d’accordo. Quando noi lavoriamo, dormiamo, mangiamo, facciamo l’amore e persino quando respiriamo siamo come dei criceti che corrono dentro una ruota. Il nostro è solo un vano agitarsi senza scopo. Perché è la vita stessa, amico mio, che non porta a nessuna meta, se non alla morte. Ma la morte non è una meta. È solo la fine di tutto, il ritornare in quell’eterno oblio da cui siamo venuti. Sì, nient’altro che la fine di tutto, senza mistero, condanna o redenzione. No, non cambierò idea, nonostante la tua abilità nel portare argomentazioni per distogliermi dall’estremo proposito. Ho deciso di smettere di fare il criceto che corre dentro la ruota.
Se alla fine è l’oblio che deve venire, allora che venga subito.»
Detto questo, l’uomo prese una pistola e se la portò alla tempia, mentre la donna seduta in un angolo della stanza si alzò e cominciò ad applaudire.

2

«Secondo me, si vede anche dal fondo della platea che quest’affare è fasullo», disse Amleto alla moglie, mostrandole la pistola che teneva in mano con una smorfia eloquente.
Amleto, al secolo Luigi Ranieri, era un attore piuttosto famoso e apprezzato, soprattutto a Torino. Aveva da poco passato la sessantina, cosa che lo atterriva. Infatti, se solo fino a poco tempo fa si sentiva un uomo maturo, pieno di esperienza e di fascino, adesso cominciava a sentirsi un uomo anziano, che presto sarebbe diventato un uomo vecchio. Solo l’altro giorno aveva letto nell’inserto di un quotidiano locale: Amleto, il vecchio attore che calca le scene da più di trent’anni…
Non aveva proseguito oltre, quel vecchio attore gli aveva fatto passare completamente la voglia di leggere l’articolo.
«Ma caro, nessuno noterà che la pistola è finta. Appena hai finito il tuo monologo, partono gli effetti sonori a simulare lo sparo e poi tu fingi di cadere a terra morto, chi vuoi che faccia caso alla pistola», rispose Porzia, al secolo Luisa Masi, la moglie di Amleto.
«Ma Porzia, lo sai che io in scena non fingo mai. Io cado davvero a terra senza vita dopo lo sparo. Io sento davvero il proiettile penetrarmi nelle carni, io esalo davvero l’ultimo respiro in onore del mio pubblico.»
Porzia lo guardò con un sorriso appena accennato, mentre una ruga leggera le solcava la fronte, in quell’espressione con cui era solita esprimere amore, ammirazione e una punta di compassione per quell’uomo che era suo compagno da quasi trent’anni. Quell’uomo a cui la tragedia era entrata nel sangue, tanto che non usciva mai completamente dai suoi personaggi; lui stesso ormai era un personaggio, che recitava tutti i giorni sul palcoscenico della vita. Anche per questo lei lo ammirava, lo amava e un po’ lo compativa. «E che cosa suggerisci caro?»
«Non lo so. Tu sei un’attrice Porzia, un’eccellente attrice, capirai bene che, se nel momento di maggior pathos, io sento che la pistola che stringo nella mano è fasulla, finisco col sentirmi anch’io fasullo. E così tutta quanta la scena sarà fasulla.»
«Mica puoi usare una pistola vera.»
«Perché no? Una pistola vera, mia cara, è proprio quello che ci vuole.»
Porzia lo guardò senza dire nulla, mentre il sorriso le si allargò e la ruga sulla fronte le si fece un pochino più pronunciata.
«Naturalmente la pistola non sarà carica. Io me la porto alla tempia come faccio con la pistola finta e in quel momento partono gli effetti scenici con lo sparo preregistrato. Una pistola scarica è un oggetto inerme, la sentirei un po’ fasulla, ma non come quest’affare», mentre parlava agitò il giocattolo che teneva ancora in mano. «Certo, essendo scarica, non ne apprezzerò in pieno la potenza, l’anima diabolica che pervade le armi da fuoco, rendendoli oggetti tanto affascinanti quanto ripugnanti.»
Lei quasi scoppiò a ridere. Luisa era l’unica persona sulla faccia della terra che poteva permettersi di prendere in giro Luigi, almeno senza che lui ne rimanesse mortalmente offeso. «E allora caricala davvero la pistola. Però, caro, temo che così ti farai saltare la testa.»
Lui sorrise alla donna che da sempre amava e ammirava. «Quale sublime scena sarebbe, la morte che irrompe sul palcoscenico e con il sangue trasforma la finzione in realtà!»
Lei non disse niente, sapeva che quelle parole erano solo la premessa di una conclusione ancora in sospeso.
«Ma non temere, per il momento pensavo a una pistola caricata a salve.»
«Mi piace, useremo una pistola caricata a salve», gli rispose Porzia, poi gli sorrise mentre una ruga leggera le solcava la fronte


Chi è Fulvio Di Chiara?

Fulvio di Chiara non esiste, almeno non come persona in carne e ossa, è infatti lo pseudonimo dietro cui si celano due autori: Chiara Nervo e Fulvio Tango.

Chiara nasce a Torino nel 1979. Si laurea al Politecnico di Torino in Ingegneria delle Telecomunicazioni. Attualmente lavora in una grande azienda come software engineer.

Fulvio nasce nel 1975, è laureato in Filosofia con indirizzo Socio Antropologico e in Scienze Religiose. Attualmente lavora come docente nella scuola media.

Chiara e Fulvio sono compagni nella vita, hanno deciso di scrivere insieme perché condividono la passione per il giallo. Presto hanno scoperto che i loro stili si incastrano perfettamente, tanto che, alla fine della stesura del romanzo, loro stessi non sanno più dire quali parti ha scritto l’una e quali l’altro. Scherzando (ma non troppo) sostengono che un’entità a turno li possiede e manda avanti la storia.

Chissà che, in fin dei conti, Fulvio Di Chiara non esista davvero.

Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter

Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.

Compra su Amazon

Sconto di 0,84 EUR

Articolo protocollato da Redazione

All'account redazione sono assegnati gli articoli scritti da collaboratori occasionali del sito: poche apparizioni, ma stessa qualità degli altri.

Redazione ha scritto 692 articoli: