Scrivere Crime Fiction è un obiettivo di molti visitatori di questo sito. C’è chi è più smaliziato e chi è alle prime armi, ma a tutti – penso – suggerimenti e opinioni autorevoli possono servire. Dopo le puntate precedenti:
– 10 regole per suspense fiction, di Brian Garfield
– Scrivere un thriller: i consigli di Daniel Kalla
– “Come scrivere un thriller”, di Ian Fleming
proseguiamo oggi con l’interessante discussione tra Mark Billingham, Minette Walters (vincitrice, tra l’altro, di un Edgar Award e di un Gold Dagger Award) e Peter Guttridge tenutasi durante il Crime fiction Masterclass del London Book Fair del 2004. Pur non essendo una vera lezione, quanto più una chiacchierata, la ritengo davvero molto istruttiva.
Ecco la prima parte degli interventi…
***
[Peter Guttridge]: La Crime fiction è un genere molto vario, con tutta una serie di sotto-generi, così definisci i tuoi romanzi?
[Mark Billingham]: Prima di vendere il mio primo libro, il mio agente ha cominciato a spedirlo a vari editori e mi ha chiesto se mi disturbasse chiamarlo un thriller. Avrebbe potuto chiamarlo anche un sanguinoso libro di cucina finché non veniva pubblicato. Le persone tendono a dare giudizi su ciò che potrebbe essere il contenuto se gli dai un certo nome, che è il motivo per cui mi piace il modo americano di dire “mistery” invece di “crime fiction” perché ci sarà sempre un mistero, lì da qualche parte. Ancora una volta, se sei definito uno scrittore di thriller, soprattutto di sesso maschile, credo che la gente immagini che i libri saranno pieni di bombe e spie e hardware.
[Minette Walters]: Il punto è, non abbiate paura di essere marchiati, perché avrete immediatamente ottenuto un posto su una libreria. Le librerie sono molto più propense ad acquistare libri che possano facilmente entrare in una sezione del loro negozio piuttosto che un libro che è al di fuori della loro classificazione. Credo che il problema sia quando non pensate di aver scritto un romanzo di crime fiction e tutti gli altri invece sì, allora è difficile se vi appiccicano un’etichetta in cui non si desidera stare.
[PG]: Quindi, quando avete un bianco foglio di carta di fronte a voi, da dove iniziate?
[MW]: Per The Sculptress, pensavo a come sarebbe stato interessante scrivere un libro su un possibile errore di giustizia in cui la persona condannata fosse così intimidatoria, così poco attraente che nessuno avrebbe voluto ascoltare la sua versione, e quello sarebbe stato il vero errore. Quindi, ho cominciato: come si fa a creare questo personaggio e questa situazione? Ma non sono riuscita a trovare Olive Martin (accusata di aver ucciso la madre e la sorella a colpi di accetta, ndr), non era ancora nata.
Sono un visitatrice regolare del carcere, e in quel momento mi fu dato un nuovo prigioniero da visitare. Ho visto tutti i miei prigionieri in una piccola stanza, ed egli era alto 6’8″, altrettanto largo, e puzzava terribilmente. Era in piedi contro la porta ed ero intrappolata dalla parete – ho parlato con lui per quaranta minuti e non ha mai detto una parola, e mi sono resa conto che non vi era alcun modo per lasciare l’ufficio a meno che non mi permettesse di uscire. Improvvisamente ho capito che l’unica cosa che è davvero terrificante è un fisico enorme ed è stato il modo in cui Olive è nata. Così ho iniziato con molto poco e con qualche aiuto da uno dei prigionieri (che si è rivelato essere un buon uomo, e non colpevole, a proposito), mi è stata data Olive Martin.
[MB]: Io devo iniziare con una scena di apertura, come da un film, perché non mi serve sapere dove andrà a finire: è basata su ciò che in termini cinematografici chiameremmo un “gancio”. Sempre più editori vogliono sapere quale sia il gancio e ne avete bisogno per descrivere il vostro libro in una frase. E con il mio primo libro, “Sleepyhead” (
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