Scrivere un mystery con Gillian Roberts arriva alla puntata numero 8. Per le precedenti potete dare uno sguardo alle lezioni di scrittura thriller di Thriller Cafè, dove troverete anche altri articoli simili. I consigli della Roberts, tratti dal libro You can write a mystery, ci insegnano oggi come parlare di omicidi scrivendo di ciò che si sa.
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I corsi e i testi di scrittura recitano sempre due mantra: “Mostra, non dire” e “Scrivi di quello che sai.” Il primo l’abbiamo discusso nella Lezione 7 e ora ci avviciniamo a quello più delicato, perché come possono gli scrittori “scrivere di quello che sanno”?
La risposta è: nel modo in cui ogni autore “conosce” il suo soggetto. Certo, l’esperienza di prima mano è preziosa, ma non è questo che si intende per “conoscere”. La scrittura autobiografica è quella che alcune persone credono funzioni meglio per scrivere di eccezionali esperienze di vita: i sopravvissuti della guerra, i padrini di mafia, celebrità di ogni tipo. Ma che cosa accade se siete il tipo di persona introspettiva che vuole la che sua grande avventura sia scrivere libri – non guerre, eccetera? È ancora possibile scrivere di lotte tra alligatori o arrampicate sull’Everest, anche se non è nel vostro carattere – se funziona per il vostro personaggio fittizio. In verità, la maggior parte delle persone che trovano la loro adrenalina attraverso le immersioni o il volo acrobatico, non da qualcosa di così banale che sedere di fronte a un computer e immaginare il mondo, non avrebbe mai il tempo o l’inclinazione per scrivere il proprio libro.
Se questo adagio di scrivere ciò che sappiamo fosse preso alla lettera, come potrebbe chiunque scrivere narrativa storica, o di fantascienza o mystery (in particolare se si desidera scrivere in più di un genere)!
Il fatto è che ogni scrittore, tra cui voi, già “sa” ciò che deve sapere, perché ciò che deve sapere (e mostrare) è come essere un essere umano. Tutto il resto – occupazioni, luoghi, tempi – tutto – può essere ricercato (qualcosa di cui discuteremo la prossima volta).
Ricerche di fatti, ricerche di dati. Ciò può comprendere la ricerca sulle professioni dei personaggi, o sulle malattie mentali, o la personalità di un killer seriale o qualsiasi altra cosa che dovete sapere. Ma conoscere bene i fatti e farli vivere sono due cose diverse, e al fine di fare la seconda, dovrete attingere al vostro grande serbatoio di conoscenze circa il comportamento umano.
Portare questi fatti e il vostro libro alla vita con la creazione di persone che mostrino ciò sapete già. Saremo in grado di identificarci con i vostri personaggi quando lo farete voi – quando riconoscerete che siamo tutti costituiti degli stessi elementi umani. Ciò non significa che siamo tutti uguali (la fiction sarebbe troppo noiosa se gli umani fossero generici.) Le proporzioni dei vari elementi e la loro posizione dominante varia da persona a persona, alcuni di essi possono essere soffocati, alcuni non riconosciuti, ma ognuno ha la stessa allocazione di emozioni disponibili proprio come voi.
Voi, gli autori, dovete solo prestargli attenzione. Forse prima ancora di riconoscerli, poiché non ci sentiamo troppo a nostro agio con le emozioni negative che riempiranno la nostra narrativa. Quindi, dobbiamo ammettere di aver sentito rabbia, o invidia, o lussuria, o imbarazzo e vergogna e così via. Flaubert, ha dichiarato: “Madame Bovary, c’est moi”. Egli non era una casalinga adultera, e voi non siete dei serial killer, e forse nemmeno degli investigatori coraggiosi, stoici ed emotivamente fragili. Ma si può essere di tutto e di più, se capite chi sia “c’est moi”.
Dobbiamo pensare a come ci sentiremmo se provassimo quelle emozioni veramente, e quindi mettiamo quei dati sensoriali sulla pagina. E poiché il vostro lettore è fatto della stessa vostra materia di base, riconoscerà la realtà dei vostri personaggi e crederà in loro.
Avete sentito almeno un po’ di ogni emozione umana, non è così? Ciò che scatena quelle emozioni e quanto dominano il comportamento separa dei meravigliosamente normali esseri umani, dallo psicopatico, ma le emozioni di base sono le stesse.
Assumeremo che non avete mai commesso un omicidio, ma non siete mai stati in una situazione in cui si sentiva, anche se per un fugace secondo, che forse avreste potuto? Prendete quegli istanti, concentratevi su ciò che avete sentito, su come cresceva, e si gonfiava la sensazione. Rendetela la cosa che domina pensieri e vita del vostro personaggio (omicida). Rendetelo tutto ciò che può vedere quando apre gli occhi. Fatelo reagire in maniera non normale agli stimoli (e sapete cos’è normale, è come voi vi sentireste di reagire.) Rendetelo ossessionato da quei pensieri se serve per il vostro intreccio narrativo. Pensate a come si sentono i suoi muscoli, mentre ha questi pensieri, quale parte della verità intorno a lui vede, come potrebbe vestirsi, guidare, parlare o reagire quando è posseduto da quelle emozioni.
Questo metodo funziona anche con emozioni meno estreme. Anche se siete coraggiosi, se è possibile rievocate dalla memoria l’essere timidi e schivi, il peso sul cuore, il palmo della mano sudato, come si è terrorizzati dal parlare, o dal dire la cosa sbagliata – e si può dare tutto ciò (e qualsiasi altra cosa che si è richiamato) a un personaggio e far sì che domini le sue attività, la sua scelta delle parole, eccetera.
Si può essere chiunque, e si può quindi dare vita alla pagina e starete scrivendo di cose che sapete, ma fortunatamente senza la necessità di sperimentarle direttamente.
Nella lezione successiva: Come scoprire ciò che veramente non so: la ricerca.
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