Recensiamo oggi su Thriller Café il più recente romanzo di Alessandro Perissinotto, Semina il vento, da non molto uscito per Piemme e molto apprezzato dai lettori.
Titolo: Semina il vento
Autore: Alessandro Perissinotto
Editore: Piemme
Anno: 2011
Pagine: 275
Trama in sintesi:
Forse è stato il caso o forse l’amore a condurre Giacomo Musso, maestro di trentacinque anni, al Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza di un carcere del Nord Italia. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo senza vita di sua moglie. Su consiglio del proprio avvocato, Giacomo decide di raccontare la propria vicenda, l’inevitabile serie di eventi che lo ha condotto in quella cella. E così torna all’epoca in cui, per riuscire a sopravvivere a Parigi, alternava il lavoro di curatore di mostre per bambini, a quello di cameriere. Era in quel periodo che aveva conosciuto Shirin. Non l’aveva trovata subito bella, almeno non nel senso consueto del termine; era stato attratto piuttosto dalla storia che i suoi occhi sembravano celare, da quel profondo distacco verso chi le stava accanto, come se per lei la vita vera fosse altrove. Ci sono amori che iniziano all’improvviso, con notti memorabili, il loro invece era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare. L’innamoramento, il matrimonio e poi la decisione che avrebbe cambiato le loro vite per sempre: lasciare Parigi per trasferirsi a Molini, sulle montagne piemontesi, nel paese dove lui era nato.
Lontano dalla frenesia della Capitale, tra le vecchie case di pietra e i rituali semplici di un posto che pareva essere rimasto indenne al trascorrere del tempo, Giacomo aveva rinsaldato il legame con la propria tradizione e Shirin aveva trovato una terra in cui far crescere quelle radici che le erano sempre mancate, quelle radici che i suoi genitori avevano reciso fuggendo dall’Iran e dalla rivoluzione islamica.
Ma nessun luogo è al riparo dal vento dell’odio, dal fanatismo delle religioni, dall’arroganza del potere,dall’intolleranza strisciante. Così il paradiso aveva cominciato a scivolare verso l’inferno, prima piano, poi sempre più rapidamente, fino ad arrestarsi lì, in quella cella, con il tormento del ricordo d’un amore reso perfetto dalla morte.
Semina il vento, l’ultimo romanzo di Alessandro Perissinotto, è una lucida analisi del nostro malessere di vivere le nuove trasformazioni della società in costante inesorabile movimento.
È l’oggettiva analisi di un malessere vissuto come sfida preconcetta al rifiuto del nuovo e del diverso.
È un’impietosa analisi esasperata dei concetti di tradizione, amore, gelosia, menzogna e religione, fusi in una sola, semplice parola: “Odio”. Odio nei confronti di ciò che non è uguale a noi.
Tahar Ben Jelloun nel suo saggio contro il razzismo conclude: “Non incontrerai mai due volti assolutamente identici. Non importa la bellezza o la bruttezza: queste sono cose relative. Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi“. Mi permetto di continuare indegnamente applicando la lezione di Jelloun… il rispetto, quello vero, quello che porta all’abbraccio della diversità mantenendo il proprio essere, è quello che parte dal rispetto stesso delle parole. All’attenzione delle parole che si usano, perché le parole sono pericolose. Sanno ferire, sanno umiliare, sanno discriminare, sanno insegnare l’odio. E dall’odio nasce l’unica cosa concepibile. L’unica figlia dominatrice incontrastata delle disgrazie umane: “La morte”.
Perissinotto è un maestro nel dipanare la tragedia dalla stilla delle parole, e riesce a caricarle d’ottusa preconcettualità, arroganza e miseria umana.
Nel romanzo l’autore si scaglia con forza magistrale contro i modi di dire e di fare. In particolare attacca un famoso proverbio: “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, vissuto come anticamera dell’incomprensione il cui concetto generico alimenta il verme dell’intolleranza, che muta nell’ottusità dell’odio di tutti i personaggi dell’opera e che, inesorabilmente esplode nell’odio per odio.
È il protagonista Giacomo Musso, nella sua postuma analisi che precederà il suicidio, a suggerire nel “rispetto” la chiave per superare le diversità e la soluzione per rendere migliore il nostro futuro interrazziale. È proprio dall’esame dei suoi sbagli che dobbiamo capire il bisogno di indignarci al comportamento arrogante e razzista dell’ottuso potere e della complice indifferenza della gente. È dalla tragedia del protagonista che Perissinotto lancia il suo incitamento all’uso responsabile delle parole che generano indifferenza e odio. All’amore per la vita alla quale è dovuto il giusto rispetto. Al rispetto delle altrui dignità senza discriminazioni culturali o religiose, senza fare d’ogni cosa fanatismo, o gretta tradizione.
Questo romanzo è una memorabile lezione di vita.
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