Si accettano colpevoli - Francesco Arienza

Un grande artista una volta ha detto che dietro a un grande comico c’è quasi sempre un grande malinconico. Quanta verità…basti pensare, ad esempio, a pietre miliari del cinema quali, solo per citarne alcuni, Charlie Chaplin, Buster Keaton e, per arrivare ai giorni nostri, Massimo Troisi e Robin Williams.

Credo che nello spirito della definizione rientri a pieno diritto anche Francesco Arienzo, comico che proviene dal mondo della stand-up comedy, e Fortunato Terracotta, personaggio del suo primo romanzo ambientato a Napoli intitolato “Si accettano colpevoli offerto per voi oggi dal menù di Thriller Café.

A chi di voi non è mai capitato di trovarsi nei pressi di un cimitero e, almeno una volta nella vita, abbia ostentato una sorta di noncurante riverenza e magari, se in compagnia, buttando lì pure una facezia, il tutto per esorcizzare in qualche modo ai nostri occhi ciò che rappresenta quel luogo?  

Fortunato Terracotta, trentacinque anni, portatore sano di un cronico stato ansiogeno, lo farebbe senz’altro. Ogni giorno ci mette tutto se stesso per condurre il più possibile una vita tranquilla e sicura, riducendo al minimo gli imprevisti. Affronta i cambiamenti fingendo che rimanga tutto uguale, è intollerante al disordine e all’asimmetria. Insomma, per far capire, se alla guida venisse fermato da una volante per un normale controllo di routine, il solo fatto di accostare, di essere sottoposto a qualche domanda come da prassi e di esibire i documenti assolutamente in regola, tutto ciò lo catapulterebbe in un’agitata paranoia anche nella più totale innocenza. A contribuire all’ossessiva ricerca della serenità e dell’ordinarietà è il suo lavoro: Fortunato gestisce infatti una cartoleria, e proprio l’idea della carta come mezzo quasi anacronistico con cui comunicare gli infonde una sensazione di rilassatezza, di un ritmo controllato e pacifico, uno dei pochi baluardi con cui tentare di difendersi dal caotico affollamento di computer, smartphone e posta elettronica in un febbrile mondo analogico che va a mille all’ora.

A seguito di una serie di rocambolesche vicissitudini familiari Fortunato si ritroverà, suo malgrado, fuori casa ed erede di un appartamento, lasciatogli dal nonno defunto, ubicato in una zona popolare dell’estrema periferia del capoluogo campano. Qui, di nuovo suo malgrado, scoprirà accidentalmente il cadavere di un vicino e, per far colpo su una sexy poliziotta, racimolerà quel poco di coraggio di cui è dotato e, tra una peripezia e l’altra, avvierà un’imbranata ma efficace indagine per far luce sull’accaduto.

Il personaggio di Fortunato Terracotta si rivela uno degli investigatori più improbabili del panorama letterario, tuttavia, grazie a un’involontaria ironia, a una goffaggine senza affettazione e a un insieme di bizzarri comprimari che lo circonda, il risultato è oltremodo credibile e si gusta piacevolmente.

Questo perché Francesco Arienzo è bravissimo innanzitutto a non perdere mai di vista il filo conduttore di un umorismo istintivo mai sopra le righe, e al contempo a porre la lente d’ingrandimento sul micro e il macrouniverso del racconto: da una parte evidenzia l’ansia e l’inquietudine che albergano in ciascuno di noi più di quanto siamo in grado di ammettere, dall’altra enfatizza con sarcasmo una società che probabilmente fa ben poco per attenuare le nostre insicurezze.      

Non posso non menzionare le appropriate citazioni riportate in epigrafe e firmate da due icone quali lo scrittore Charles Bukowski, e soprattutto Woody Allen alias Larry Lipton nel suo Misterioso omicidio a Manhattan. Ritengo il celebre regista, attore e sceneggiatore newyorkese uno dei più grandi umoristi del suo tempo che, quanto all’ironia come “esorcismo del dolore” non è secondo a nessuno. In un altro suo film fa esporre da uno degli interpreti quella che può essere considerata a tutti gli effetti la spiegazione del binomio umorismo-malinconia sotto forma di formula matematica: comicità = tragedia + tempo.  

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Articolo protocollato da Damiano Del Dotto

Mi chiamo Damiano, abito a Pistoia, sono sposato con Barbara e sono più vicino ai 50 anni che ai 40. Poche cose colloco nella memoria come il momento temporale e il libro che in qualche modo mi ha cambiato la vita e mi ha infuso la gioia della lettura: avevo 11 anni, frequentavo la prima media e il romanzo è IT di Stephen King. Da allora non posso fare a meno di questa passione viscerale che mi accompagna quotidianamente. Si sente spesso dire che siamo la somma delle nostre esperienze. Allo stesso modo credo che l'amore che provo per la vita sia la somma dei libri che leggo.

Damiano Del Dotto ha scritto 51 articoli: