“Uno si ritiene abbastanza forte da sopportare questa roba. Uno pensa di essersi fatto una corazza con gli anni e di essere in grado di osservare tutto quello schifo da una certa distanza, come se non lo riguardasse affatto, e di essere capace di mantenere un certo equilibrio. Ma non ci sono distanze. E non c’è alcuna corazza. Nessuno è così forte.”
Profonda immersione nel pantano della più infida natura umana è l’esperienza che ci offre Sotto la città, romanzo di Arnaldur Indridason che recuperiamo oggi al Thriller Café. In quest’opera, la terza della serie del commissario Erlendur Sveinsson della polizia di Reykjavík e la prima a essere tradotta e pubblicata in Italia nel 2005 (tradotta da Silvia Cosimini per Guanda), il lettore affronta l’atmosfera della piovosa e fangosa Islanda che fa da sfondo alla vicenda di un anziano trovato ucciso nel suo appartamento, il cranio sfondato con un pesante portacenere. Accanto al cadavere c’è un misterioso biglietto lasciato forse dall’assassino. Nel dipanarsi, la trama esplorerà il passato della vittima, Holberg, fatto di violenze e stupri e le indagini prenderanno il via dalla foto della lapide di una bambina, morta nel 1968, e nascosta in un cassetto. Con certosina pazienza il poliziotto ricostruirà un antico stupro, e si metterà sulle tracce dell’assassino. Il titolo, emblematico dell’intera vicenda narrata fa riferimento a ciò che di marcio si nasconde sotto i piedi dei protagonisti, ma al contempo espone al sole della verità un luogo macabro e sinistro, la “città dei barattoli”, dove sono conservati, a scopi medici e didattici, organi e reperti umani utili alla mappatura genetica dell’intera popolazione islandese.
L’autore ha tratto l’idea direttamente dalla cronaca e dalla storia della medicina. A partire dal 2006, infatti l’Islanda, è stata teatro di un vasto esperimento genetico che ha gettato le basi per il programma di sequenzializzazione del genoma umano.
Tornando al romanzo, il protagonista, Erlendur, è un commissario hard boiled, solitario, introverso, tormentato, con una figlia incinta e tossicodipendente e un figlio alcolista, che vive solo o quasi e che trascura la sua salute e la sua immagine. Il personaggio è magistralmente caratterizzato, nei suoi pregi e difetti, e attira a sé tutte le maledizioni dei colleghi, e soprattutto dei lettori, per il tipo di indagine che intende svolgere in modo sempre più capillare.
A questo riguardo, il romanzo perfetto, ahinoi, non esiste. Questo bellissimo libro racchiude in sé un grande pregio, ma al contempo un elemento di criticità insuperabile.
Infatti, la storia procede a un ritmo lento, in alcuni tratti poco coinvolgente, e il lettore non comprende perché Erlendur decida di indagare solo ed esclusivamente sul vissuto della vittima, inseguendo fantasmi di un passato oramai perduto e di delitti di già prescritti. Il modus classico di ricerca dell’assassino sparisce del tutto, il vero protagonista negativo della storia è la vittima, la cui vita, storia e progenie verranno letteralmente passate al microscopio.
Certo, una mossa narrativa di tal genere certamente rende il gioco un tantino più movimentato e meno ancorato ai soliti schemi consolidati. Tuttavia, alcuni avvenimenti risultano improbabili, mossi da semplici congetture o supposizioni di Erlendur, e le coincidenze sono troppe per poter restituire una parvenza di verosimiglianza alla storia.
Indridason, al di là di tutto, ci regala un romanzo che merita di essere nelle nostre librerie, anche perché riesce a smuovere gli animi su un tema forte, attuale e struggente, quale la violenza sulle donne. Molti autori scelgono di far percorrere alle loro creature l’unica via possibile, la vendetta, ma in questa storia capiamo quanto, a volte, sia meglio dimenticare un antico delitto per non creare nuove sofferenze.
Per nulla statico come ricostruzione delle vicende, ben strutturato, presenta però elementi critici nella logicità di alcune scelte che appaiono forzate e in uno stile talmente asciutto da apparire, a tratti, banale ed impersonale. Ciononostante, questo romanzo segna l’inizio del successo di Indridason anche nel nostro paese, certamente ancora poco avvezzo, nel lontano 2005, alle ambientazioni gelide che portarono una ventata nordica nelle nostre librerie. Gli elementi del giallo, seppur rispettati parzialmente, rendono quest’opera dirompente nel panorama nazionale, capovolgendo la nostra prospettiva e portandoci ad odiare una vittima scomparsa troppo tardi e a provare empatia per un assassino sconosciuto, nascosto nell’ombra ma che non si può non rispettare. Raramente si leggono storie di tale intensità e con tale forza magnetica, capace di tenerci con i piedi ancorati per terra nonostante il freddo vento polare che soffia da nord e porta verso noi, inesorabili, nubi cariche di pioggia, che sembrano riflettere la loro oscurità sullo stato d’animo dei protagonisti.
Recensione di Nicola Agrelli
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- Indriðason, Arnaldur (Autore)