Con questo articolo, continua la serie delle recensioni dedicate ai thriller di Martin Cruz Smith con protagonista Arkady Renko. Stella Polare fu pubblicato in America nel 1989, e arrivò in Italia l’anno dopo, sempre per le edizioni Mondadori.
Trama
Nelle gelide acque del mare di Bering naviga una flotta, costituita da quattro pescherecci americani e una nave fattoria sovietica, la Stella Polare. Una insolita joint venture, frutto della perestroika: i pescherecci americani si occupano della pesca, l’equipaggio della Stella Polare della pulizia e del congelamento del pesce.
“Vent’anni d’acqua salata l’avevano ridipinta di ruggine. I ponti superiori avevano accumulato assi di legno, barili pieni di olio lubrificante e barili vuoti per l’olio di pesce, rifiuti delle reti e galleggianti accatastati. Dal fumaiolo nero con la banda rossa usciva il fumo scuro dei motori diesel in pessime condizioni. Adesso, vista da una certa distanza… la Stella Polare non sembrava tanto una nave-fattoria quanto una via di mezzo tra una fabbrica e un parco rottami, buttata in mare e rimasta assurdamente a muoversi sulle onde.”
(tratto da Stella Polare, Mondadori 1990 – tradotto da Roberta Rambelli)
Un giorno, nelle reti di uno dei pescherecci, viene trovato il cadavere di Zina, una giovane donna russa, appartenente all’equipaggio. Sulla Stella Polare si trova anche Arkady Renko che, dopo quanto accaduto nel finale di Gorky Park, è fuggito da Mosca e da allora vive in clandestinità, cercando di non farsi catturare dal KGB.
Arkady viene praticamente costretto dal capitano della Stella Polare ad indagare sulla misteriosa morte della donna. Il commissario politico della nave è, invece, contrario a questa decisione, vorrebbeche il caso fosse archiviato come suicidio, e ostacola Arkady in tutti i modi. Dopo essere sfuggito miracolosamente due volte alla morte, Arkady riuscirà con la sua solita ostinazione a scoprire la verità e l’identità dell’assassino.
Perchè leggere Stella Polare?
Lo scrittore americano attese otto anni prima di pubblicare Stella Polare, un nuovo romanzo con Arkady Renko. Non sono riuscito a trovare una spiegazione a questa lunga attesa, insolita per il mercato americano e la sua predilezione per la serialità e i sequel di best-seller. Una spiegazione plausibile potrebbe essere nel fatto che Cruz Smith abbia sentito il peso dell’enorme successo internazionale di Gorky Park, e abbia temuto di deludere le enormi aspettative di tutti coloro che aspettavano il sequel.
In ogni modo,Stella Polare non ebbe un grande successo in Italia. Forse molti lettori (tra cui il sottoscritto) erano rimasti profondamente delusi dalla lettura dell’infelice e prolisso “Los Alamos”, o forse erano passati troppi anni dalla pubblicazione di Gorky Park. Sicuramente Stella Polare ha ben poco del best seller del 1981, e la magica alchimia con cui Cruz Smith aveva saputo costruire il suo capolavoro sembra essere svanita nel nulla. E questo è evidente fin dalle prime pagine: siamo molto lontani dallo splendido e indimenticabile inizio di Gorky Park. Ma anche le pagine che seguono mancano del giusto ritmo: per più di cento pagine, Arkady si limita ad interrogare i passeggeri russi della Stella Polare e quelli americani dei pescherecci. Altro non accade di rilevante.
Solo raramente la scrittura si accende ed è quando Cruz Smith si sofferma sul suo eroe. Arkady è stato scacciato dalla polizia di Mosca e imprigionato in un ospedale psichiatrico; da lì è fuggito in Siberia, evitando il KGB che lo vuole morto; e sulla nave non è che un povero marinaio. Ma ciò che più importa è che è stato espulso dal partito per “inaffidabilità politica”. Arkady ironizza così sul suo stato politico:
«L’appartenenza al partito era un onore troppo grande. Non lo meritavo.»
E riconosciamo il suo cinismo quando deve affrontare Volovoi, il commissario politico della nave, che vorrebbe che il caso fosse chiuso:
«Potremmo dichiarare che è ancora viva ed eleggerla Reginetta della Festa dei Pescatori. Come preferisce. Lei scriva, e io firmo subito.»
Oppure la sua incapacità ad adattarsi al mondo che lo circonda, la sua filosofia esistenziale:
“Durante i primi mesi in mare, Arkady aveva passato parecchio tempo sul ponte nella speranza di vedere delfini, otarie e balene, per il gusto di osservarli mentre si muovevano. Il mare dava l’illusione della fuga. Ma dopo un po’ s’era reso conto che la sola cosa posseduta da quegli esseri, mentre nuotavano di qua e di là, era un senso di finalità. Ed era ciò che lui non aveva.”
(tratto da Stella Polare, Mondadori 1990 – tradotto da Roberta Rambelli)
Arkady è sconfitto, deluso e stanco, eppure continua ad esistere e a lottare. Ed è ancora una volta l’indagine su un omicidio che lo fa sentire vivo. «Una morte è una tragedia» disse Volovoi. «Ma un’indagine è una decisione politica. Ogni ulteriore indagine a bordo sarebbe un errore. A questo proposito devo prendere posizione per conto del partito.». Renko all’inizio accetta questa decisione del commissario politico, poi però si ribella e si ostina a scoprire la verità a tutti i costi. La stessa Natasha, una donna dell’equipaggio che lo sta aiutando ad indagare, non riesce a comprendere tanto accanimento:
«Zina non capiva niente delle navi, non capiva niente del suo lavoro, pensava solo al suo interesse e adesso è morta» disse Natasha. «Perché ti affascina tanto? Quand’era viva t’infischiavi di lei. Capisco che te ne sei occupato quando il comandante ti ha ordinato di svolgere un’indagine. Ma adesso il tuo interessamento è morboso, negativo e disgustoso.»
Arkady infilò gli stivali. «Forse hai ragione» disse.
(tratto da Stella Polare, Mondadori 1990 – tradotto da Roberta Rambelli)
Cruz Smith cerca di scrivere un sequel non convenzionale: si allontana perciò da Mosca e ambienta la storia a bordo di una nave. Probabile che l’autore volesse ispirarsi ai gialli classici, ambientati in luoghi chiusi e isolati. Lo scrittore tornerà a cimentarsi con i temi tipici del giallo classico anche in “Lupo mangia cane”, con un enigma della camera chiusa. In ogni modo, il tentativo di creare un ambiente chiuso e claustrofobico riesce solo in parte: Smith utilizza spesso i meandri e le scale della nave per dare la sensazione di trovarsi in una specie di labirinto, in cui il protagonista sembra un novello Teseo alla ricerca del mostro, ma le descrizioni mancano di ritmo e suspense. Altrettanto si può dire per l’atmosfera cupa, dovuta al fatto che la nave naviga per lunghi giorni avvolta dal buio e dalla nebbia, trovandosi nella cosiddetta “zona grigia”, ossia nel Mare di Bering. Smith ha disposizione i mezzi ma non riesce ad usarli.
Anche in questo romanzo, non manca la critica politica ed economica ai due paesi più potenti del mondo. Nel testo ricorrono spesso alcune parole: ”pensare in modo nuovo” e ”ristrutturazione”. Tutti i marinai russi si sono imbarcati sulla Stella Polare, con il miraggio di comprare prodotti occidentali nel porto di Dutch Harbor, per poterli poi rivendere in madre patria. Arkady Renko (alter ego di Cruz Smith) non riesce a comprendere questi nuovi valori materialisti del popolo russo. Per lui la libertà è qualcosa che non ha nulla a che fare con il denaro o il consumismo, mezzi che al contrario rendono gli uomini schiavi dello stato, poco importa che esso sia capitalista o comunista. Arkady ha bisogno di altre ragioni per poter continuare a vivere e per questo, più di una volta, si definisce un uomo che non ha nulla da perdere.
Buono, comunque, il finale con la Stella Polare bloccata tra i ghiacci e Arkady che, pur di scoprire l’assassino, si avventura da solo sulla banchisa:
“Gli occhiali non servivano tanto a ombreggiare la nebbia luminosa trapassata dal sole, quanto a definirla per fargli scorgere nitidamente i veli del vapore bianco che ondeggiavano tutto intorno. Una volta aveva provato una sensazione molto simile guardando dal finestrino di un aereo che volava tra le nubi. Il ghiaccio era solido, bianco com’è il ghiaccio marino quando perde la salsedine. Era lucido come uno specchio anche se non poteva vedere la propria immagine ma soltanto una foschia aerata e imprigionata nel ghiaccio. Quando si voltò, la nave stava svanendo nella nebbia. E usciva dal contesto, pensò Arkady. La Stella Polare non era più una nave nell’acqua ma piuttosto un cuneo grigio caduto dal cielo.”
(tratto da Stella Polare, Mondadori 1990 – tradotto da Roberta Rambelli)
In patria, Stella Polare ebbe un discreto successo:
“Impossibile da posare … un libro con la suspense da arresto cardiaco e una trama intricata, ma anche una ricerca accurata, un’opera letteraria ambiziosa e importante.”
– Il Detroit News
“Martin Cruz Smith è il più innovativo tra tutti gli autori che appartengono alla nobile classe degli scrittori di thriller.”
– Washington Post Book World
Curiosità
- Per descrivere in modo realistico la vita a bordo di una nave come la Stella Polare, Cruz Smith passò tre giorni su una nave fattoria sovietica, e poi un’altra settimana su un peschereccio americano.
- Martin William Smith, negli anni ’70, scoprì che esistevano altri sei scrittori che si chiamavano Martin Smith, così aggiunse Cruz, nome da nubile di sua nonna.
Ti è piaciuto l'articolo? Iscriviti alla newsletter
Inserisci la tua email e riceverai comodamente tutti i nostri aggiornamenti con le novità, le anticipazioni e molto altro.
Compra su Amazon
- Cruz Smith, Martin (Autore)