“Tatiana“ è l’ottavo romanzo dedicato al detective Arkady Renko da Martin Cruz Smith. Pubblicato nel 2013 da Simon & Schuster, 32 anni dopo la prima avventura di Arkady, “Tatiana” arriva in Italia dopo più di un anno, edito da Mondadori.
Il romanzo inizia con l’omicidio di Joseph, un interprete che parla ben sei lingue ed è appassionato di parole crociate, sulle dune di una spiaggia deserta appena fuori Kaliningrad. La città, “un maledetto buco coperto dal segreto di Stato”, distante centinaia di chilometri dal resto della Russia, è sede della Flotta del Baltico evanta il più alto tasso di criminalità di qualsiasi città russa.
Qualche tempo dopo, Arkady Renko, insieme al suo fedele collega e amico Victor Orlov, presenzia al funerale del milardario Grisha Grigorenko, sospettato di essere collegato alla mafia e di avere “le mani in pasta nella droga, nel traffico di armi e nella prostituzione”. Uscito dal cimitero, Arkady viene a sapere che è morta anche Tatiana Petrovna, una reporter investigativa, “una piantagrane, che si era sempre scagliata contro la corruzione tra i politici e nella polizia.”
La donna si è gettata dal sesto piano di un palazzo e la sua morte è stata ufficialmente archiviata come suicidio. Arkady Renko trova alquanto strano che Tatiana e Grisha siano morti a poche ore di distanza e, inoltre, non crede alla tesi del suicidio di cui si ritiene un esperto:
“Arkady Kyrilovich Renko… esperto di autodistruzione. Suo padre, un militare, si era fatto saltare le cervella. Sua madre, con più delicatezza, si era zavorrata con delle pietre e si era buttata in acqua. Anche Arkady si era cimentato nella stessa impresa, ma al momento buono era stato distratto(si riferisce al tentato suicidio di Havana), dopodiché la sua febbre suicida si era placata. E dunque, grazie alla sua indubbia esperienza, si considerava un buon giudice di tutto quello che riguardava il suicidio.”
A insospettire Renko è anche la sparizione del cadavere della giornalista e la testimonianza di una vicina che l’ha udita urlare prima di gettarsi dalla finestra. Renko decide, nonostante l’inchiesta sia dichiarata chiusa, di indagare nella vita e nel passato di Tatiana, cercando di capire che cosa la giovane reporter sapesse di così importante e pericoloso da essere uccisa. Viene così a sapere che Tatiana si era recentemente recata sulla spiaggia di Kaliningrad, per indagare sulla morte di un traduttore, e qui dei ragazzini le avevano venduto per cinquecento rubli un taccuino trovato tra la sabbia. Il taccuino è colmo di appunti misteriosi, che nessuno è in grado di decifrare:
Frecce, scatole, lacrime, pesci, un gatto. Sembrava che qualcuno avesse frugato nella bottega di un tipografo, tirandone fuori a caso dei simboli gnostici, il segno del dollaro, oltre a un’improbabile Natalja Goncarova, il nome della moglie infedele di Puškin, responsabile della morte del poeta.
L’indagine di Arkady si sposta quindi a Kaliningrad, la città dove nacque e visse il grande filosofo Immanuel Kant.Mentre a Kaliningrad, Arkady Renko fugge attraverso i boschi, inseguito dai killer della mafia che vogliono eliminarlo, suo figlio adottivo Zhenya, a Mosca, sta cercando di decifrare il taccuino, che pare essere l’unica speranza di svelare il mistero. Ma la scoperta più sorprendente, che stravolgerà tutte le certezze dell’investigatore, attende Arkady Renko proprio a Kaliningrad…
Perché leggere “Tatiana”?
Arrivato in Italia dopo più di un anno dalla sua pubblicazione in America, “Tatiana”, l’ultimo romanzo di Martin Cruz Smith, è stato accolto favorevolmente da pubblico e critica negli altri paesi e si preannuncia come uno dei successi della casa editrice Mondadori.
Adoro il personaggio di Arkady Renko e leggo sempre volentieri i romanzi di cui è protagonista, anche se spesso le opere di Smith non sono all’altezza di Gorky Park, Havana e Lupo mangia cane. Sono passati quattro anni e aspettavo con ansia una nuova avventura di Arkady, ma devo essere sincero, ho iniziato “Tatiana”con il timore di rimanere deluso, soprattutto dopo i non eccelsi “Il fantasma di Stalin” (2007) e “Le tre stazioni” (2010). Non è stato così! Fin dalle prime pagine ho capito che avevo tra le mani uno dei migliori romanzi della saga: la scena iniziale della spiaggia con l’omicidio del ciclista è da antologia!
Come già accennato in Wolves Eat Dogs, lo stile di Smith è diventato più scarno e chiaro rispetto ai suoi primi romanzi, anche se la prosa continua a distinguersi per una inconsueta eleganza per un thriller. Smith recupera le atmosfere crepuscolari e uggiose di Gorky Park e Wolves Eat Dogs e alcuni personaggi dei precedenti romanzi, come il fedele Victor e il figlio adottivo Zhenya. E sono proprio i personaggi che sfilano pagina dopo pagina ad essere uno dei punti forti del romanzo: mafiosi russi e ceceni, giornalisti, poeti, poliziotti, skinhead, e bambini che “vivono in stamberghe cadenti e, come se niente fosse, ti chiedono una pistola”. È, però, Tatiana, il personaggio che dà il nome al romanzo, quello che colpisce di più e che rimane impresso al lettore. Una specie di alter ego di Arkady, e anche una donna che gli ricorda la sua Irina, anche lei una giornalista (Da leggere le pagine commoventi in cui Arkady ricorda il modo in cui è morta la moglie Irina, protagonista di Gorky Park e Red square); forse per questo il poliziotto si accanisce così tanto per scoprire cosa le è accaduto.
Ascoltando i nastri, aveva l’impressione di conoscerla, di averla incontrata quando era viva. Chissà se tutto questo poteva essere definito un’ossessione…
Tatiana gli ricordava Irina. Entrambe erano state impavide e idealiste. Ed entrambe erano morte …
Tatiana simboleggia, ancora una volta, il destino tragico a cui sono votate le persone che credono che si possa vivere senza accettare compromessi e che l’onestà non è solo una vuota parola senza senso.
La trama del libro è convincente e appassiona. Tatiana è uno di quei romanzi che rispetta la regola di Chandler, secondo cui la storia noir «deve avere un valore di fondo, a parte l’elemento misterioso. Quest’idea suonerà rivoluzionaria per alcuni dei classicisti e parecchio spiacevole per tutti gli scrittori di second’ordine. Malgrado ciò, ormai è affermata. Tutti i noir fatti bene vengono riletti, spesso molte volte. Chiaramente questo non accadrebbe se l’enigma fosse l’unico motivo di interesse per il lettore. Il noir deve avere colore, slancio e deve essere graffiante» (da Appunti sul romanzo noir, in Parola di Chandler, a cura di Gardiner D. e Sorley Walker K., Coconino Press, 2011, pp. 73-74).
Chandler vuol sottolineare come un poliziesco non possa essere basato solo sull’enigma e il suo scioglimento finale, esso deve possedere una storia solida e compiuta che il lettore leggerebbe anche se mancasse la fine. È chiaro che questo nuovo modo di pensare il poliziesco è il motivo per cui vi è stata una evoluzione nel genere, con la nascita non solo del noir e del thriller ma anche di quello che viene definito il giallo metafisico (Cfr. Giovanni Darconza, Il detective, il lettore e lo scrittore. L’evoluzione del giallo metafisico in Poe, Borges, Auster, Aras Edizioni – 2013). Quasi tutta la seconda parte di Tatiana, con Arkady che fugge tra i boschi seguito dai killer della mafia, segue le tipiche regole del thriller, ma il romanzo appartiene sicuramente al genere noir …
La saga di Arkady Renko, “noir” di attualità politica e sociale …
“Tatiana” ha tutte le qualità per far parte di quello che Carlotto ha ribadito, anche recentemente, essere il noir, ossia romanzi la cui caratteristica prevalente è quella di “raccontare storie dove la realtà, la critica della realtà, la denuncia, siano l’obbiettivo manifesto del romanzo. L’autore lavora su due livelli: la scrittura di un romanzo che soddisfi le esigenze letterarie e incontri il gusto … dei lettori e … la raccolta di dati relativi a una situazione reale che, una volta mescolata alla finzione narrativa, diventa la trama del romanzo stesso.”
(Cfr. Massimo Carlotto, Prefazione, in Ernest Mandel, Il romanzo poliziesco. Una storia sociale, Edizioni Alegre, 2013, pp. 15-16)
Nel poliziesco classico il detective/eroe indaga e alla fine scopre il nome del colpevole/antieroe, riportando l’ordine nel caos generato dal delitto, e ha quindi un effetto di rassicurazione del potere della ragione sul male. Nel noir, invece, lo scrittore predilige spiegare il perché del crimine, le cause sociali, ambientali e psicologiche che lo hanno generato. L’autore noir conduce il lettore nel mondo reale, lo fa incontrare con il male che è insito nella società.Dagli anni trenta, il noir ha subito una continua evoluzione (per chi fosse interessato all’evoluzione del noir e al modo in cui cinema e letteratura si sono influenzati a vicenda, consiglio Pasquale Pede, Le radici del noir fra letteratura e cinema. Il noir americano classico dal primo al secondo dopoguerra, Fondazione Rosellini, 2009), ma ciò che interessa i romanzi di Arkady Renko è il noir di cui parla Carlotto. Esso descrive spesso città schiacciate dalla corruzione, generata dalla stretta collusione tra politica, imprenditoria e crimine organizzato, tipica delle società capitalistiche, e contemporaneamente la disillusione dei cittadini di potere affrontare e sconfiggere questo nemico.
È questo un altro aspetto del genere di noir, ossia la profonda disillusione e impotenza provati dai cittadini e la consapevolezza dei protagonisti di combattere una guerra già persa in partenza. Smith è bravo nel descrivere un mondo «da incubo: politica marcia, corpo sociale incancrenito, polizia corrotta o soggetta al potere, delinquenza di massa o organizzata» (Cfr. Giuseppe Petronio, Sulle tracce del giallo, Gamberetti Editrice 2000, p. 83). Victor, che cerca di combattere il suo alcolismo con lattine di Fanta, così vede la Russia di oggi: “La verità è che con questa gente abbiamo perso in partenza. È tutta una commedia”. Uno dei mafiosi, ad un certo punto, dichiara apertamente ad Arkady: “Compreremo il tribunale. Compreremo l’intero Cremlino, se sarà necessario”. Ma la frase più emblematica è quella che Arkady ascolta dalla voce registrata su nastro della reporter Tatiana: “La gente mi chiede se ne vale la pena”.
Sempre Carlotto, nella sua prefazione al saggio di Mandel, fa notare comenel poliziesco si rifletta un clima di profondo scetticismo nei confronti della legge e dello Stato, ma proprio questo messaggio è diventato talmente “destabilizzante” da dover esser arginato. Vi è così stato un ritorno degli scrittori alle origini, ad una letteratura popolare definita da Mandel “letteratura irriflessa”, ossia che non incita alla riflessione e che risponde invece a “una necessità di distrazione e divertimento che è provocata dall’ansia determinata dalla crisi in termini di insicurezza del proprio presente e soprattutto del proprio futuro” (Cfr. Massimo Carlotto, Prefazione, in Ernest Mandel, Il romanzo poliziesco. Una storia sociale, Edizioni Alegre, 2013, p. 12). Ma vi sono autori che continuano a scrivere noir; Martin Cruz Smith è uno di questi e “Tatiana” ne è un esempio magistrale.
Quest’ultimo romanzo di Smith ci offre la rappresentazione di una Russia in recessione economica e politica, dove la corruzione e la violenza dei tempi della dittatura sembrano non essere per niente scomparse. Sono solo cambiate le persone ai vertici e il modo di gestire il potere. Arkady, durante il funerale, guarda Alexi, il figlio del defunto Grigorenko, e pensa che si tratti di “una versione più evoluta di suo padre … Faceva parte di quella generazione che frequentava i forum ad Aspen e andava a sciare a Chamonix, e non faceva mistero del fatto che, grazie a lui, la famiglia sarebbe salita di altri gradini nella scala sociale, conquistando piena legittimità.”
Sempre seguendo il filo logico avviato dalle acute osservazioni di Massimo Carlotto, possiamo sottolineare come le origini di una letteratura di denuncia e attenta ai problemi sociali siano da collegarsi ai grandi scrittori realisti della seconda metà dell’ottocento: penso alla Commedia umana (La Comédie humaine) di Honoré de Balzac, ma anche alle opere di Victor-Marie Hugo e di Fëdor Michajlovic Dostoevskij. Si veda come una delle figlie di “Papà Goriot” di Balzac, descrive l’attività di suo marito:
«No, padre, non ci sono leggi contro di lui … Lo sa che cosa intende per operazioni? Compra dei terreni edificabili a nome mio, poi ci fa costruire case da uomini di paglia. Questi concludono i contratti per le costruzioni con gli imprenditori, che pagano con cambiali a lunga scadenza, e in cambio di una piccola somma accettano di rilasciare quietanza a mio marito, che così diventa proprietario delle case, mentre loro si sdebitano con gli imprenditori raggirati dichiarando fallimento. Il nome della ditta de Nucingen è servito ad abbagliare i poveri costruttori. L’ho capito bene. Ho anche capito che per dimostrare, in caso di bisogno, che sono stati effettuati ingenti pagamenti, Nucingen ha mandato grosse somme a Amsterdam, a Londra, a Napoli, a Vienna. Come potremmo recuperarle?».
(Tratto da Balzac, Papà Goriot, edizioni Garzanti – 1995, traduzione di Elina Klersy Imberciadori)
Non è solo questo! Dalla tradizione naturalistica europea la letteratura ha ereditato anche il “carattere” del personaggiofrutto dell’ambiente in cui vive. Smith, infatti, ci offre con Arkady un russo che attraversa la storia degli ultimi trent’anni della Russia e i cambiamenti sociali e politici di questo immenso paese. Ma non è necessario andare così lontano nel tempo e cercare esempi così letterariamente nobili (anche se si sa che Smith è un lettore appassionato anche di letteratura del passato), per spiegare l’impegno politico e sociale dei romanzi di Smith. Lo scrittore stesso ha dichiarato più volte: “My favorite writers when I was a lad, one of the writers I patterned myself after, was a Swedish couple, Maj Sjowall and Per Wahloo. To me, they were the perfect example of style and information, and they had a purpose in what they were writing about.” (Cfr. Martin Cruz Smith talks about Russia, life with Parkinson’s and what’s wrong with crime fiction).
Per molti anni, Cruz Smith aveva scritto romanzi su commissione e senza alcun valore letterario, ma era alla ricerca di un suo stile. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, Smith scopre le opere del team svedese Maj Sjöwall e Per Wahlöö. I due autori scrissero dieci romanzi, tra il 1965 e il 1975 (alcuni titoli sono stati recentemente riproposti da Sellerio, su suggerimento di Andrea Camilleri, che pare abbia letto le prime edizioni stampate da Garzanti negli anni settanta), che costituiscono un esempio di come il genere poliziesco possa parlare anche di problemi politici e sociali, denunciando appunto i mali e la corruzione dilagante della società capitalistica svedese.
Il vero obiettivo del nostro disegno era quello di formulare un atto di accusa severo e puntuale al modello svedese di socialdemocrazia. Un progetto, da completare in dieci anni, composto da dieci opere per denunciare un unico crimine, ovvero quello perpetrato dai socialdemocratici a danno dei lavoratori svedesi.
(Intervista a Maj Sjöwall inLuca Crovi, Noir. Istruzioni per l’uso, Garzanti 2013, p. 306)
Le opere di Cruz Smith e Maj Sjöwall e Per Wahlöö si somigliano anche per un altro motivo. Sia lo scrittore americano che gli svedesi si ispirano al poliziesco classico ma lo usano come base per creare un romanzo molto più complesso e impegnato. Essi usano gli elementi del genere, ossia il delitto, l’indagine, gli indizi e infine la soluzione, ma l’umanità dei personaggi (Arkady e Martin Beck per primi), il loro essere espressione dell’ambiente da cui provengono e in cui vivono (per Arkady la Russia, per Beck la Svezia), rendono i romanzi “nuovi” e più ambiziosi. Prendiamo ad esempio “La camera chiusa” (Det slutna rummet, 1972), pubblicato da Sellerio nel 2010; questo romanzo di Maj Sjöwall e Per Wahlöö incentra la trama sul ritrovamento di un cadavere in una stanza internamente chiusa, il caso viene subito archiviato come suicidio ma non si trova l’arma che ha sparato il proiettile. I due autori utilizzano uno dei temi più amati del giallo classico: l’enigma della camera chiusa (per chi riesce a recuperarlo, consiglio il simpatico articolo “I misteri della camera chiusa” di Andrea G. Pinketts, in Nick Raider – Almanacco del Giallo 1995, pp. 135-147). In “Tatiana” di Smith, il tema classico è quello del documento o messaggio crittografato, ossia il taccuino ritrovato sulla spiaggia di Kaliningrad. Fu il grande Edgar Allan Poe, considerato un esperto di crittografia e codici segreti, con il suo Lo scarabeo d’oro (The Golden Bug – 1843), a inserire per primo nella trama di un racconto, e quindi in una pubblicazione non scientifica, un testo crittografato e anche una dettagliata descrizione di come decodificarlo (cfr. Poe e la crittografia di Marco Fulvio Barozzi). Segue il famoso racconto di Il mistero delle figure danzanti (The Adventure of the Dancing Men – 1904)di Conan Doyle, dove Sherlock Holmes deve riuscire a decifrare un foglio, su cui sono disegnate in sequenza delle figurine in pose varie; anche in questo caso il grande investigatore spiega passo per passo come arrivare alla soluzione. Nei decenni che vanno dagli anni venti del 900 in poi, nei romanzi polizieschi, si accennerà spesso a messaggi segreti, ma non verrà più spiegato nel dettaglio il modo in cui il codice è stato crittografato. Bisogna arrivare all’inizio degli anni ottanta, con “Il nome della rosa” di Umberto Eco, per avere qualcosa di simile ai racconti di Poe e Doyle:
Nel romanzo di Umberto Eco “Il Nome della Rosa”, Guglielmo da Baskerville … racconta al suo allievo e novizio benedettino, Adso da Melk, i segreti della cifratura e della crittoanalisi. L’episodio in esame fa riferimento ad un frate morto suicida in circostanze misteriose che, prima di morire, aveva usato una tecnica steganografica, probabilmente mediante del succo di limone, per trascrivere in cifrato su una pergamena che stava usando per una traduzione, la modalità di accesso al finis Africae, una stanza segreta della biblioteca dell’Abbazia … Guglielmo riesce nell’opera di decifrazione intuendo che il codice usato, mediante 20 segni negromantici, associava alle lettere dell’alfabeto latino i 12 segni zodiacali, cinque pianeti, due luminari e la Terra. Inoltra vaniva usata la stessa lettera per esprimere il suono delle due iniziali di unum e di velut. L’ordine dei segni rifletteva l’ordine dei cieli, ponendo il quadrante zodiacale all’estrema periferia. Quindi Terra, Luna, Mercurio, Venere, Sole, eccetera, e poi di seguito i segni zodiacali a cominciare dall’Ariete e dal solstizio di primavera, finendo coi Pesci.
(Cfr. De Rosa Catello A., Sistemi di cifratura. Storia, principi, algoritmi e tecniche di crittografia, Maggioli Editore 2010, p. 343)
In “Tatiana”, anche Smith pare rifarsi alle opere di Poe e Doyle: si sofferma, infatti, diverse pagine (anche troppe!) a spiegare come Zhenya e una sua amica riescono a decifrare il misterioso codice del taccuino.
In entrambi i casi, “La camera chiusa” di Maj Sjöwall e Per Wahlöö e “Tatiana” di Smith, questi temi tipici del poliziesco classico sono usati per raccontare e denunciare la corruzione di paesi come la Russia e la Svezia. Maj Sjöwall e Per Wahlöö, ad esempio, raccontano di appalti corrotti, avvelenamento dell’ambiente, speculazioni edilizie, alti funzionari comprati.
Petronio fa notare come i due autori svedesi, consapevoli di come avrebbero dovuto adeguarsi ai gusti del pubblico, iniziarono volutamente a pubblicare romanzi polizieschi convenzionali, poi però “alzarono il tiro” e anche se le vendite in un primo momento calarono, in seguito furono letti «tanto da persone che costituiscono il pubblico normale del poliziesco quanto da altre che all’infuori di noi non leggono romanzi polizieschi». (Cfr. Giuseppe Petronio, Sulle tracce del giallo, Gamberetti Editrice 2000, p. 137)
Per lo scrittore americano i romanzi dei due autori svedesi furono una rivelazione e un modello: “gave me a sense that this genre could carry more than I was giving it at the time. I had this idea about Russia and was hoping to make it something big and different” (“mi diedero la sensazione che il genere poliziesco potesse offrirmi più di quanto mi stava dando fino a quel momento. Ho avuto questa idea sulla Russia e speravo di creare qualcosa di grande e diverso.” – tratto dall’articolo Crime pays di Nicholas Wroe).
Con il “noir” il romanzo ha la possibilità di tornare all’impegno civile, alla lotta politica e culturale, alle scelte scomode, al coraggio di essere attori ed interpreti. Il “noir” può di nuovo alzare barricate culturali ed umane, può consentirci di portare la Fantasia, se non al potere, almeno all’opposizione.
(C. Pellegrini, Introduzione, in Italian tabloid. Crimini e misfatti dentro il cuore dello Stato, Altritalia n. 4, 1997, p. 9)
Certo, “Tatiana” è ambientato in Russia, ma le descrizioni della corruzione della classe politica e la delusione e il fatalismo con cui il popolo accetta (colpevolmente sia ben chiaro!) ciò che accade tutti i giorni sotto i suoi occhi, non può non far pensare anche alla nostra “povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno; e tutto gli appartiene” (Franco Battiato, Povera Patria). Il romanzo di Smith, infatti, con la sua descrizione della collusione tra mafia e politica, rappresenta non solo un fenomeno russo ma internazionale.
Carlotto, in Italia, ha pubblicato diversi romanzi ambientati nel Nordest, raccontando le complicità occulte tra grandi imprenditori, lo Stato e la criminalità organizzata. Si legga quanto dichiarato da Massimo Carlotto, in un’intervista rilasciata, nel luglio del 2011, a Claudia Bonadonna:
Il nord-est si è trasformato in uno straordinario laboratorio criminale. La commistione tra economia legale e illegale e un uso sistematico dell’evasione fiscale hanno di fatto determinato il boom che caratterizza il territorio … Ma il dato veramente allarmante – e affascinante per un autore di noir- è il proliferare di gruppi di professionisti che si consorziano per offrire “servizi” alla nuova malavita, dal riciclaggio, ai finanziamenti, alla copertura fiscale. Un fenomeno nato all’interno dell’economia sommersa e illegale che, col tempo, si è allargato al mondo del crimine, coinvolgendo direttamente quello della politica e delle forze dell’ordine. La corruzione è il meccanismo fondamentale dell’attività di questi consorzi, come dimostrano gli arresti eccellenti compiuti negli ultimi mesi. Il mio sguardo privilegiato sul nord-est nasce da questa analisi e da uno studio approfondito delle trasformazioni socio-economiche …
Si legga anche quanto scritto da Franca Pellegrini:
Massimo Carlotto utilizza il noir per costruire un reticolo letterario all’interno del quale vengono inserite vicende tratte dalla realtà di cui si narra. Questo è il motivo per cui Carlotto scrive spesso in combinazione con giornalisti che gli forniscono materiale documentario su cui costruire una fiction, la cui struttura espande la funzione del genere noir.
(Cfr. Il “giallo” italiano contemporaneo. Memoria e rappresentazione dell’identità nazional-regionale, in Memoria in noir: un’indagine pluridisciplinare, a cura di Monica Jansen, Yasmina Khamal, Peter Lang Pub Inc 2010, p. 208)
La differenza evidente e fondamentale tra i romanzi di Carlotto e degli svedesi Maj Sjöwall e Per Wahlöö e quelli di Smith, sta nel fatto che i primi sono ambientati nella loro patria, mentre lo scrittore americano ambienta le sue storie nella lontana Russia. Se da un lato, gli svedesi e Carlotto vanno ammirati per il coraggio avuto nel denunciare ciò che accade nel loro paese di origine, è anche vero che i romanzi di Arkady, spostando l’azione dall’America alla Russia, assumono una maggiore valenza universale. Ciò che intendo dire è che, l’immensa nazione russa con tutte le sue contraddizioni, tra cui la collusione con lo stesso sistema capitalistico (non dimentichiamo che in Gorky Park, il “cattivo” si chiama John Osborne, è un mercante americano di pellicce ed ha amicizie nelle alte sfere dello Stato), rappresenta, forse meglio di qualsiasi altra, la profonda crisi etica mondiale.
Un ultimo appunto sul finale del libro. Alcuni giornalisti e critici lo hanno trovato deludente. È, invece, secondo me, un vero finale noir. Arkady scopre l’assassino e il complotto, ma si tratta di una vittoria effimera, una goccia nel mare, e lo sanno bene sia l’investigatore che uno dei mafiosi che così lo liquida: «… Conserveremo lo champagne per un’altra occasione».
Nel suo saggio sul poliziesco già citato, Petronio sembra quasi avere in mente il nostro eroe Arkady Renko, quando scrive:
“… Marlowe, che in quei libri combatte una sua battaglia solitaria la cui grandezza è proprio nella sua romantica solitudine; una battaglia forse inutile, ma che intanto è un segno e principio di redenzione. E i suoi contrasti con la polizia fanno parte di questa battaglia, ne sono un aspetto essenziale, se anche la polizia, l’istituzione deputata al mantenimento dell’ordine, è fonte di corruzione e disordine. E un motivo nuovo, introdotto già da Hammett (rileggere La scarpina di vetro) e che da lui trapassa a tanta narrativa posteriore e si intreccia con tanti filoni, arriva … a tanto giallo di oggi.”
(Cfr. Giuseppe Petronio, Sulle tracce del giallo, Gamberetti Editrice 2000, p. 109)
Petronio nota bene che i “contrasti con la polizia fanno parte di questa battaglia, ne sono un aspetto essenziale, se anche la polizia, l’istituzione deputata al mantenimento dell’ordine, è fonte di corruzione e disordine”. Non posso non sottolineare come l’Alligatore, il personaggio più noto creato da Massimo Carlotto, disprezzi la giustizia ufficiale e spesso, insieme con i suoi due soci, Rossini e Max, si trasformi in giustiziere privato, sostituendosi ad una legge troppo spesso inerte se non addirittura collusa con i malviventi. Anche Arkady, alla fine di “Tatiana”, si erge a giustiziere; è quasi costretto a farlo. Ma come nella saga dell’Alligatore, questa giustizia “privata” e la risoluzione del caso non sono una vera vittoria: i vertici delle organizzazioni criminali vengono solo sfiorate dalle indagini e rimangono impunite.
Il capitolo XIII de “Il romanzo poliziesco” di Ernest Mandel, intitolato “Da una funzione di integrazione a una funzione di disintegrazione sociale”, spiega come nei romanzi polizieschi, a partire dagli anni settanta, l’eroe abbandona i panni di difensore della legge e dell’ordine, per indossare quelli del ribelle che combatte contro la “corruzione dominante e contro i corruttori valori borghesi”, battaglia che però rimane “sul lungo periodo inefficace e condannata alla sconfitta … perché è impossibile battersi da soli contro tutto l’establishment”. (Cfr. Ernest Mandel, Il romanzo poliziesco. Una storia sociale, Edizioni Alegre, 2013, pp. 177-191). Mandel cita, tra gli esempi di questo genere di poliziesco, proprio Gorky Park di Smith.
Potrei continuare ancora, ma mi pare evidente che “Tatiana” sia soprattutto un bel “noir”.
Arkady, un personaggio chandleriano …
Nel 1972, Smith inizia a scrivere quello che diventerà il suo capolavoro assoluto: Gorky Park. Ad esso sono seguiti ben sette romanzi, in cui ha dimostrato di non essere solo un abile scrittore di thriller ma anche capace di rappresentare l’evoluzione storica di un intero paese. Smith è uno di quegli scrittori che ha la rara abilità di coniugare un genere “popolare” come il romanzo poliziesco con l’arte di rappresentare il reale.
Ma per fare questo, doveva avere il personaggio giusto:
Quando ho iniziato il mio Gorky Park volevo scrivere un romanzo che raccontasse come poteva comportarsi un uomo onesto all’interno di una società criminale. Mentre visitavo Mosca, mi sono trovato a pensare che quella città era grandissima e perfetta per ambientare la mia storia. Al principio avevo pensato di costruire un investigatore americano, ma poi mi sono accorto che se non avessi creato un poliziotto russo la cosa non avrebbe funzionato. Per raccontare davvero la vita e la psicologia di quel paese dovevo avere un eroe che lì era nato e cresciuto. Così è nato Arkady Renko.
(Intervista a Martin Cruz Smith, Luca Crovi, Noir. Istruzioni per l’uso, Garzanti 2013, p. 303-304)
Con Arkady Renko, Cruz Smith, nel corso di più di trent’anni, ha costruito uno dei personaggi più memorabili del poliziesco contemporaneo. Figura romantica e schiva, Arkady tende a proteggersi dal mondo e dalle persone attraverso un malinconico cinismo, che ricorda da vicino i protagonisti di Chandler. Come ho già fatto notare in “Havana”, Arkady sembra ispirato al personaggio mitico di Sisifo, punito dagli dei a spingere senza speranza e per l’eternità, dalla base alla cima di un monte, un masso che poi rotola nuovamente a valle. Anche Arkady lotta e cade, ma continua a rialzarsi. Ed è proprio in questa lotta impari contro gli dei che la dignità dell’uomo acquista un valore universale e potentemente eroico.
“… il giallo non è più consolatorio, ma diventa «inquietante» … «problematico» … metafora a esprimere artisticamente il disorientamento dell’uomo in un mondo dì violenza e di trame, di torbidi intrecci fra delinquenza e potere, di perduta coscienza del bene. E si modifica profondamente la figura del detective, che diventa sempre più – sulle orme lasciate dal poliziesco degli anni Trenta – un eroe solitario, un cavaliere dalla triste figura, un povero don Chisciotte in lotta, non si sa perché, con cose più grandi di lui”
(Cfr. Giuseppe Petronio, Sulle tracce del giallo, Gamberetti Editrice 2000, p. 165)
Si legga anche l’intervista dell’agosto del 2001 di Carlotto, rilasciata al giornale Repubblica. Il romanziere così ha risposto alla domanda, cosa rende un personaggio, un buon personaggio?
“Deve essere controverso, problematico, non deve avere risposte, ma solo domande. I miei protagonisti, e in generale anche quelli dei miei colleghi, sono quasi tutti sconfitti, gente che però non si arrende. Sono crociati della verità e questo ci riporta al mio discorso iniziale. La gente vuole sapere, chi lotta per fare un po’ di luce dentro i nostri mille misteri conquista l’affetto della gente”.
(Cfr. Massimo Vincenzi, Carlotto: “Cerchiamo la verità e la gente si appassiona”)
Quando finiamo di leggere un romanzo di Arkady Renko, abbiamo la sensazione di aver assistito ad una rappresentazione di uno squarcio di esistenza. Chi ha letto “Red square” e “Lupo mangia cane” sa che cosa intendo: quando si arriva alla fine si ha come l’impressione che si possa voltare pagina e continuare ad andare avanti (accade lo stesso con “Tatiana”). E in fondo non è proprio così? La serie di Arkady continua da più di trent’anni (Smith ha detto che sta lavorando ad un romanzo ambientato in Italia, ma che poi subito dopo scriverà una nuova avventura di Arkady Renko). Non è facile spiegare cosa intendo in poche parole! Potrei riassumere, affermando che Smith ha la rara capacità di saper raccontare, tramite le sue storie, i brevi e fuggenti attimi dell’esistenza, senza fare filosofia, e di offrirci una visione in evoluzione di una società complessa come quella russa e di un mondo intero che le somiglia molto, un mondo che comunque continua a girare …
Fortuna del romanzo in patria
“Sarebbe un piacere guardare le notizie del telegiornale della sera con l’occhio romanzesco di Martin Cruz Smith e vedere gli eventi attuali animati dal senso drammatico di Renko. In Tatiana, Smith continua la tradizione iniziata alla fine dell’era Breznev con Gorky Park, usando la Russia come piano di gioco per cospirazioni geopolitiche e … divertimento “.
– New York Times Book Review
“Smith crea una trama complessa che coinvolge la mafia russa, un genio adolescente che lotta per decifrare il codice del taccuino della Petrovna, e un’escursione a Kaliningrad … Il personaggio più intrigante dopo Renko è la Russia contemporanea, più libera di quanto non fosse al culmine della guerra fredda, ma altrettanto corrotta e ancora più instabile”.
– Publishers Weekly
Breve biografia di Martin Cruz Smith
Martin Cruz Smith nacque il 3 novembre 1942, a Reading, in Pennsylvania. Suo padre, John Calhoun, era un musicista jazz e sua madre, Louise Smith, una cantante jazz.
Cruz Smith frequentò l’Università della Pennsylvania e ricevette un Bachelor of Arts in scrittura creativa nel 1964 (Bachelor of arts, ossia “baccellierato in arti”, è un corso universitario che rilascia un titolo di primo livello e dura quattro anni negli Stati Uniti).
Nel 1966, Cruz Smith si trasferì a New York dove iniziò a lavorare come giornalista ed editore. Il 15 giugno del 1968, sposò Emily Arnold, sua moglie attuale, da cui ha avuto tre figli, Nell, Luisa e Sam.
Dopo aver scritto e pubblicato numerosi thriller su commissione, nel 1972, ci fu la svolta: Smith lesse un articolo di Newsweek che descriveva come alcuni scienziati sovietici stessero cercando di ricostruire i volti dai teschi delle persone. Fu l’idea iniziale da cui Smith partì per scrivere il suo capolavoro: “Gorky Park”. Nel 1973, Smith trascorse una settimana in Unione Sovietica, con l’idea di assorbire più informazioni possibili sul luogo in cui avrebbe ambientato il suo nuovo romanzo, che avrebbe avuto una gestazione lunghissima. Nel frattempo, Smith abbandonò l’idea iniziale di un eroe americano che investigava in Russia e pensò che sarebbe stato molto meglio un protagonista che era nato e viveva a Mosca. L’editore Putnam non si mostrò altrettanto entusiasta, e iniziò allora una controversia tra autore ed editore, che terminò nel 1977, quando Smith riacquistò i diritti del suo romanzo. Nello stesso anno, il thriller Nightwing (L’ala della notte, pubblicato sempre da Mondadori) ebbe un notevole successo e arrivò in finale all’Edgar Award. Questo successo, permise a Smith di dedicarsi anima e corpo al suo progetto più ambizioso, ossia Gorky Park. Il romanzo fu finalmente pubblicato nel 1981 e divenne un successo internazionale.
Tre sono i motivi principali del successo del libro:
– il metodo scientifico con cui vengono ricostruiti i volti dei tre cadaveri scoperti a Gorky Park;
– la scelta come protagonista di un investigatore di origini russe;
– l’inedita e realistica ambientazione a Mosca.
Smith aveva lavorato otto anni a questo progetto e si era battuto anche contro i propri editori per quelle idee che egli sentiva vincenti. Per capire il carattere ostinato di Cruz Smith, basti pensare che, quando nel 2004, scrisse Wolves Eat Dogs, la quinta puntata della saga di Arkady Renko, per poter ritrarre il più realisticamente possibile la zona di Chernobyl, si recò lui stesso in quei luoghi, nonostante tutti gli avessero sconsigliato di farlo.
Nel 1995 a Martin Cruz Smith è stato diagnosticato il Parkinson. Lui ha tenuto la sua malattia segreta fino a poco tempo fa, non solo all’opinione pubblica, ma anche ai suoi editori e curatori. “Tatiana” è stato dettato parola per parola dallo scrittore a sua moglie Emily, definita da Smith la sua “interprete”.
Martin Cruz Smith attualmente vive a San Rafael, in California, una piccola città a nord di San Francisco.
NOTA – Carlotto e la definizione di Noir …
Tengo a precisare, per dovere di informazione, che molti critici non sono d’accordo sulla definizione di noir data da Massimo Carlotto. Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, consiglio di leggere il capitolo “Il noir secondo Carlotto” in Noir de noir: un’indagine pluridisciplinare (di Dieter Vermandere e Monica Jansen, Peter Lang Pub Inc, 2010, pp. 12-14).
I brani di Tatiana sono tratti dall’edizione Mondadori, traduzione di Mariagiulia Castagnone.
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