Tempo assassino è il nuovo romanzo di Michel Bussi, autore francese che torna nelle librerie italiane a pochi mesi di distanza dal buon successo ottenuto con Ninfee nere, anch’esso edito da e/o con traduzione di Alberto Bracci Testasecca.
Lo recensiamo oggi su Thriller Cafè.
1989, Corsica. La quindicenne Clotilde è l’unica della sua famiglia a sopravvivere ad un terribile incidente autostradale che uccide padre, madre e fratello maggiore. Ventisette anni dopo porta suo marito Franck e sua figlia Valentine nei luoghi della sua adolescenza e cerca di condividere con loro i turbamenti che l’isola rievocano in lei. Ma non c’è comunicazione, il dolore non può essere condiviso.
Anche i peggiori ricordi finiscono per essere dimenticati se sopra di essi se ne accumulano altri, molti altri, anche quelli che ti hanno squarciato il cuore e scalfito il cervello, anche i più intimi. Soprattutto i più intimi.
Perché sono quelli di cui gli altri se ne fregano.
E’ proprio da quei momenti bui che arriva una lettera, lasciando Clotilde senza parole: la calligrafia e la firma sono quelle di sua madre ed il testo contiene riferimenti che solo lei poteva sapere. Come è possibile? Chi ha scritto quella missiva?
Il libro procede lungo due direzioni: il presente, in cui la protagonista cerca di scoprire la verità, ed il passato, sotto forma di diario della Clotilde ragazzina. E’ straziante l’accostamento tra le speranze giovanili, quando l’adolescente traboccava di vita e curiosità e giurava a se stessa che mai sarebbe precipitata nella routine che ha intrappolato sua mamma e le disillusioni dell’età adulta, quando la donna ha ormai invece fatto sua quella quotidianità tanto disprezzata e si ritrova ora, agli occhi della figlia, negli odiati panni che appartenevano a sua madre. Quell’estate ’89, che sarà tragicamente determinante per la vita della protagonista, era iniziata come una qualsiasi vacanza della pubertà: Clotilde è una ragazza introversa, timida, attratta dal mondo e allo stesso tempo critica nei confronti di chi la circonda. E’ un periodo di scoperte, tra le quali non mancano il sesso e l’amore. Ma chi è l’uomo misterioso che sta rileggendo adesso le confessioni che Clotilde aveva lasciato su quelle pagine? Sappiamo solo che è a conoscenza dei segreti della famiglia Idrissi, che sa come sono andate le cose il giorno dell’incidente e che teme che la protagonista sia tornata per disseppellire torbide verità nascoste.
L’uomo aprì il quaderno.
Non gli piaceva quello che stava per leggere.
Eppure doveva.
Per nutrire il suo odio.
Le parti diaristiche sono ovviamente per lo più in prima persona, ma non si tratta tanto di scritti ad uso privato quanto di un resoconto per un ipotetico lettore del futuro: lo stile si avvicina quindi al narratore esterno, come quello che domina i capitoli ambientati nel presente, nei quali però la focalizzazione prevalente su Clotilde sfocia a volte nel lasciare parola direttamente alla donna, della quale conosciamo i pensieri maggiormente rispetto agli altri personaggi. Vi è un brevissimo passaggio (forse troppo breve) in cui Bussi ci cala nei panni del marito Franck e l’operazione riesce veramente bene, allargando i punti di vista dai quali il lettore può guardare la vicenda di questa normale coppia che nasconde la crisi sotto la superficialità infastidita.
Clotilde fa parte di una famiglia importante; il nonno Cassanu è conosciuto da tutti sull’isola: un potente guardiano del territorio, un còrso vecchio stile, che difende l’isola dalla speculazione edilizia, rispondendo alla tradizione e non alle leggi. C’entra forse qualcosa con quello che sta succedendo?
La vacanza riserverà una serie di coincidenze difficili da spiegare: sembra proprio che i fatti di ventisette anni prima si ripetano, che qualcuno si diverta crudelmente alle spalle di Clotilde facendole rivivere quei terribili giorni. O forse sua madre è realmente scampata all’incidente mortale, per quanto ciò sembri impossibile. Il tono del libro è sempre piuttosto leggero, lontano dalle paranoie del thriller psicologico, anche se i richiami al passato assumono sempre più contorni minacciosi. Per capire chi la sta tormentando e che legame abbia con quanto successo quella tragica sera, la protagonista indaga e intraprende quello che lei stessa definisce un viaggio nella nostalgia (e non è un caso che ci sia anche una scena in una discoteca sulla spiaggia durante una serata revival anni Ottanta). Ma quando si è di fronte a due versioni contrastanti, a chi credere? I fantasmi che infestano i nostri luoghi sono proiezioni della mente o entità concrete? Quanto sono reali gli spettri che gravitano attorno a Clotilde?
Il vero assassino, come recita il titolo del libro, è il tempo, che uccide la nostra gioventù e con essa le belle illusioni che la hanno accompagnata. Esemplare in tal senso è lo sguardo della Clotilde adolescente che un giorno in riva al mare posa gli occhi prima su una coppia ventenne, carica di libido e bellezza, poi su una di trent’anni, che veglia serena sui figli, ed infine su delle coppie oltre i quaranta, quando la noia ha ormai preso il sopravvento.
Natale, perso nei suoi pensieri, sembrava fregarsene, come se da un pezzo avesse abbandonato la speranza che il mare gli riportasse la bottiglia col messaggio che gli aveva affidato anni prima.
Ma è proprio così? Non può essere come nel sogno di Clotilde, in cui il futuro non guasta nulla e riserva una dolce serenità, “come se il tempo che passa fosse innocente e siamo noi a sbagliare quando lo accusiamo e lo chiamiamo assassino”? A fornirci la risposta sarà un finale sentimentale, con una serie di colpi di scena azzeccati, viziato però da un inganno ai lettori che vìola il patto con lo scrittore.
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- Bussi, Michel (Autore)