Javier Cercas, nel raccontare appassionanti vicende individuali, si caratterizza, come ogni romanziere di grande spessore, per uno sguardo ampio: fin dal suo esordio, con “Soldati di Salamina”, e lungo tutto il suo percorso (pensiamo, ad esempio, ad “Anatomia di un istante”). Uno sguardo che riesce ad abbracciare tanto la storia quanto la contemporaneità della sua Spagna.
Stavolta, con “Terra Alta” (premio Planeta 2019), pubblicato in Italia da Guanda, il racconto comincia nel presente: un presente agitato dalla violenza del terrorismo, animato dalle spinte indipendentiste della Catalogna.
Al centro della scena però, nella prima parte del romanzo, c’è il delitto. Anzi, i delitti. L’anziano patron delle Graficas Adell, un’azienda che in Terra Alta, ovvero in una delle quarantuno comarche della Catalogna, in provincia di Tarragona, è quasi un’istituzione è stato orribilmente torturato, prima di venire ucciso. La stessa sorte è toccata anche a sua moglie: anche la domestica figura tra le vittime, ma su di lei gli assassini non si sono accaniti fino a questo punto.
Di che delitto si tratta? Una vendetta, un omicidio rituale? O forse la tortura era servita a ricavare da Adell qualche informazione preziosa, e il movente doveva essere ricercato quindi tra gli affari del vecchio, in ambito economico? Se lo chiedono tutti i poliziotti che giungono sul posto, e in particolare Melchor, che possiamo identificare come il vero e proprio protagonista della nostra storia.
Da questo momento in avanti, la narrazione si snoda lungo tre percorsi paralleli, che l’autore manovra con maestria: ora avvicinandoli, ora allontanandoli. Il primo percorso è quello dell’indagine: un “giallo” vero e proprio, la cui soluzione si svelerà un passo alla volta, con una grande sorpresa riservata per le ultime pagine.
Il secondo percorso è quello di Melchor: che viaggia attraverso i suoi ricordi e cerca di mettere a fuoco il proprio presente, vittima dei traumi della sua difficile infanzia e forse inconsapevole bersaglio, ancora, di un gioco più grande di lui. Un gioco che finirà per provocare nuove e terribili cicatrici: difficili da sopportare, impossibili da dimenticare.
La terza storia, sussurrata tra un capitolo e l’altro, è quella con la S maiuscola: il passato spagnolo, quello catalano. Le radici affondano nella guerra civile spagnola e nel franchismo, inquadrando un passato doloroso, violento e forse ancora non del tutto risolto.
Accanto a questi percorsi narrativi, come a fare da accompagnamento, la passione di Melchor, di sua moglie Olga e, perché negarlo, anche dello stesso Cercas, per la letteratura. Melchor, con il suo amore per “I miserabili” di Victor Hugo, ci permette forse di guardare a quel romanzo immortale con nuovi occhi, di mettere meglio a fuoco personaggi che pensavamo di conoscere bene e che, invece, ci sanno ancora stupire.
La narrazione si caratterizza per una grande elasticità dal punto di vista cronologico, quasi ad accompagnare la curiosità del lettore, approfondendo, ad esempio, il passato di Melchor ogni volta che il suo comportamento nella vicenda presente suscita nel lettore la curiosità di comprenderne le radici.
Allo stesso tempo, se guardiamo invece ai luoghi, il centro è e rimane la Terra Alta. È nella Terra Alta che affondano le radici di ciascuna delle storie che Cercas racconta, come sempre, con grande maestria. Ed è nella Terra Alta che, forse, possiamo immaginare, dopo l’ultima pagina del libro, anche il loro futuro.
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