Uscita estiva di Edizioni e/o, oggi recensiamo Terra di sangue di Karin Brynard.
Dopo aver lavorato a Johannesburg, l’ispettore Albertus Markus Beeslaar aveva scelto un paesino ai confini del deserto per star lontano dai problemi. E invece si ritrova nel bel mezzo di una serie di furti di bestiame ad opera di professionisti e, soprattutto, gli capita un brutale duplice omicidio: una donna, Freddie, e la bambina di quattro anni che stava per adottare. Pare un ennesimo “assalto alle fattorie”, espressione tristemente nota in Sudafrica per indicare questo tipo di delitti contro la popolazione bianca diffusi dopo la fine dell’apartheid. La segregazione non c’è più, ma continuano le tensioni razziali: l’uccisione di una afrikaner fa riemergere la rabbia degli allevatori nei confronti dei neri. Si sentono accerchiati, in procinto di perdere tutto, non protetti dalla polizia. Basta poco a far esplodere la polveriera.
Dal 1991 in Sudafrica ci sono stati più di 40.000 assalti alle fattorie. Quasi 3.000 morti.
Sara, la sorella della vittima, torna alla magione avvertita del delitto. La morte di Freddie, oltre a sconvolgerla, fa riemergere in lei i sensi di colpa per essersi allontanata dalla famiglia proprio quando ci sarebbe stato più bisogno, rifiutandosi di rimanere ad aspettare che la malattia del padre se lo portasse via. Affrontando le incombenze che il decesso comporta in un comprensibile stato di alienazione, la donna si interroga sul rapporto interrotto con la sorella, quando ormai i rimpianti sono più crudeli perché irrimediabili.
La protagonista scopre che Freddie, artista, aveva dipinto un quadro in cui si era ritratta nell’esatto modo in cui sarebbe stata uccisa. Sapeva cosa l’attendeva? O, addirittura, si è trattato di una premonizione? I lavoratori della fattoria sono terrorizzati da qualcosa di misterioso, sicuri che c’entri la stregoneria. È come se tutti siano convinti di conoscere la causa della morte ma nessuno abbia il coraggio di parlarne apertamente. I timori aumentano incontrollati quando compaiono macabri animali ferocemente uccisi in diversi luoghi della casa. Ma forse è tutto più concreto e l’omicidio rientra nella guerra tra etnie (bianchi, neri, boscimani, griqua) che non ha ancora smesso di scaldate gli animi, oppure nella lotta per l’appropriazione della terra da parte di fattori e speculatori edilizi.
Beeslaar non riesce ad ottenere risultati: le indagini non trovano uno sbocco e questo inasprisce i rapporti con la comunità bianca, che si sente abbandonata da un tutore dell’ordine che, avendo il loro stesso colore della pelle ma cercando di arginare quell’impeto fuori controllo, risulta ai loro occhi un traditore. Scoprire l’assassino diventa essenziale per rassicurare circa il funzionamento della legalità. Fallire vuol dire dar ragione a chi vorrebbe far da solo.
«Presenze di estrema destra?» chiese.
«Se con “estrema destra” intende gente con bandiere neonaziste, allora no. Se si riferisce a persone che ne hanno le tasche piene, allora ce n’erano a bizzeffe».
Terra di sangue è del 2009. Letto oggi non può non richiamare l’angry white man che popola le democrazie occidentali: le dinamiche di tensione sociale, rivendicazioni identitarie, odio per il diverso sono drammaticamente simili. L’esasperato e violento punto di vista degli afrikaner è espresso con oggettività, senza cadere nella giustificazione.
Beeslaar continua imperterrito le ricerche, ma sembra girare a vuoto, raccogliendo molto lentamente brandelli di verità. Troppo lentamente: la situazione degenera ed il libro nel finale si fa più serrato lasciandoci alcune inquietanti immagini sulle conseguenze dell’esplosione della polveriera sociale.
Doveva risolvere quel caso, o presto si sarebbe ritrovato a bordo di un treno diretto verso il Grande Nulla.
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