The perfect couple - Elin Hilderbrand - la coppia perfetta

Meglio il libro o il fim? Quante volte ve lo siete chiesti. E quante volte ha vinto il film? Se siete su questo blog, scommetto che la risposta giusta sia “raramente” perché agli amanti della lettura la resa cinematografica delude sempre. Io stessa ricordo solo un esempio in cui non avevo esitato a rispondere a favore di Hollywood, nonostante l’autore sia una penna sacra nella letteratura italiana.

Nel caso de “La coppia perfetta” il contest si tiene tra Netflix e la carta e, a quanto leggo da alcuni spoiler (perché io non sono più abbonata a quel canale a pagamento), le algide Nicole Kidman e Dakota Fanning stanno spopolando nei ruoli di Greer Garrison e Abby Winbury. Leggo anche che nella miniserie molti dettagli sono diversi rispetto alla trama del romanzo e lo immagino bene: tanto per dire la bruna e squadrata figlia di Bono degli U2- che interpreta la sposa (Celeste nel libro, Amelia nel film) – non ha nulla a che spartire col personaggio originario ideato dalla Hilderbrand che, a differenza dal piglio che l’attrice emana anche solo dalle fotografie, è dipinta come una ragazza buona, fragile, bisognosa di guida, perfino balbuziente per ansia.

Chi ancora ignorasse di che cosa stiamo parlando, si immagini uno dei luoghi più glam del mondo – l’isola di Nantucket – ove avrà luogo uno degli eventi più cool dell’anno – il matrimonio di un rampollo di alto livello, figlio di una scrittrice di gialli, forse in declino di fama, ma inossidabile di fascino. Lì convergono bellissime ragazze, amiche … non si comprende bene di chi visto che la nubenda ne possiede una sola – Merritt Monaco, che le farà da testimone. Convergono anche donne mature altrettanto conturbanti come Featherleigh Dale (nella serie ha il volto di Isabelle Adjani), e sin dalla cena di pre-festeggiamento tutto sa di chic, di perfettamente organizzato, di smaltatura a freddo su qualsiasi superficie. Ma sotto sotto, se qualcosa deve ribollire, si chiami passione, inganno, infedeltà o bancarotta, continua a farlo, ben celato dall’opalescenza perfetta del matrimonio dell’anno.

Quanti “ma” si frappongono tra quella festa così speciale, dove tutti appaiono al meglio (perfino la mamma della sposa, che sta morendo di cancro, ma resta in piedi a furia di ossicodone e omaggia tutti gli invitati), e il fatidico sì del giorno dopo tra Benji e Celeste?

L’autrice è molto esperta di trame gialle e così non si lascia sorprendere da cadute di tensione o smagliature di ricostruzione: ho letto che qualcuno ha paragonato questo romanzo a “Dieci piccoli indiani” e lì sono inorridita, vuoi per l’enormità dell’altra autrice, tuttora senza pari, vuoi perché l’ho appena riletto e davvero, non c’entra nulla!

Perché allora questa Perfect couple non convince?

Perché il tema di base, quello per cui la pulzella senza macchia e senza dote (Celeste) possa impalmare il rampollo d’oro (Benji), tra i sorrisi radiosi di una suocera che al posto della Nivea nei bagni della villa mette pignatte di crema la Prairie (facciamo 200 euro a vaso?!), e le esibizioni del suocero di una dentiera ancora in grado di mordere giovani carni, quello per cui tutta questa perfezione rischi di sgretolarsi in un morso di pizza al trancio col testimone del nubendo, ma nuovamente possa risorgere e risplendere secondo il copione originario perché la FAMIGLIA, come concetto assoluto, deve vincere… bè… è un tema frusto.

Da “Pretty woman” ad “Attrazione fatale“, passando per innumerevoli altri film americani, abbiamo chiarissimo il concetto di quanto farisaica sia (certa) società statunitense per cui si idolatrano le mogli e le si tradisce tanto segretamente quanto le cornute immaginano e addirittura sono consapevoli di dover cercare, tra le invitate, quella che indosserà un certo anellino, di cui la venditrice le ha informate. Siamo allineati e consapevoli che per mantenere unita la famiglia, saldo il suo buon nome e inalterata la approvazione sociale per cui si ringraziano i rampolli di esistere e di essere così meravigliosi (lo fa persino l’autrice del romanzo, cascando con tutti i tacchi nel cliché che tanto bene descrive, evidentemente credendoci e non criticandolo), si può essere disposti a tutto, anche a uccidere e soprattutto a rimanere impuniti.

Non so, forse se avessi ancora l’abbonamento a Netflix opterei per la serie, nonostante mi sia bevuta il romanzo in poche serate. Se non altro, vedrei l’isola di Nantucket dove so già che non potrò mai soggiornare… non perché girino killer spietati, ma semplicemente perché una breve ricerca di Booking mi ha riportato tariffe alberghiere assolutamente inavvicinabili.

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Articolo protocollato da Alessia Sorgato

Alessia Sorgato, classe 1968, giornalista pubblicista e avvocato cassazionista. Si occupa di soggetti deboli, ossia di difesa di vittime, soprattutto di reati endo-famigliari e in tema ha scritto 12 libri tra cui Giù le mani dalle donne per Mondadori. Legge e recensisce gialli (e di alcuni effettua revisione giuridica così da risparmiarsi qualche licenza dello scrittore) perché almeno li, a volte, si fa giustizia.

Alessia Sorgato ha scritto 118 articoli: