Che Elisabetta Bucciarelli sia una delle voci più interessanti e autorevoli del noir italiano degli ultimi anni non credo di dovervelo dire io, né credo di dovervi ricordare in quanti premi ha primeggiato o è stata finalista (non faccio l’elenco perché è lungo, e a lei tra l’altro non piace, ma se siete curiosi digitate il suo nome nel box di ricerca sul sito e vedrete un po’ di articoli che la citano).
Quello di cui oggi su Thriller Café voglio parlare invece è il ultimo romanzo, Ti voglio credere, edito da Kowalski e alla cui presentazione ho assistito sabato scorso a Roma. Se non l’avete letto, forse v’interesserà conoscere il mio parere…
Autore: Elisabetta Bucciarelli
Titolo: Ti voglio credere
Editore: Kowalski
Anno: 2010
Trama in sintesi:
Accusata di omicidio volontario per aver accoltellato una donna colpevole di abuso sui minori in un bosco della Val d’Aosta, l’ispettore Maria Dolores Vergani torna a Milano dopo un mese di carcere a Torino, sottoposta agli arresti domiciliari in casa dei suoi genitori. Si è misteriosamente avvalsa della facoltà di non rispondere. L’ispettore è dilaniato tra dire la verità o mentire per salvare se stessa dalla galera e dalla sospensione della professione. Nelle lunghe e difficili giornate di Maria Dolores, Angelo – un ragazzo che lei aveva curato in veste di psicologa – appare e scompare. Le telefona e si presenta a casa sua mettendo a repentaglio le misure di custodia. Intanto tutto il personale della Questura di Milano – sotto la direzione dell’ispettore Pietro Corsari – sta seguendo il caso delle “Tre croci”. In un giardino in zona San Siro ne sono state trovate tre, alte più di tre metri, piantate come fossero sul Golgota. Con il passare del tempo le croci vengono collegate ad altre analoghe, disperse in altri punti d’Italia e alla scoperta dei cadaveri di tre giovani donne. Nonostante il divieto di agire imposto dalla legge, e grazie alla complicità del suo aiuto Funi, Maria Dolores Vergani contribuirà alla risoluzione del caso con le sue intuizioni e prenderà una decisione inaspettata.
Ho scoperto Elisabetta Bucciarelli anni fa, per caso (presi una copia di Happy Hour da un amico che l’aveva doppione), e ricordo che anche se il suo primo romanzo non sposava totalmente i miei gusti avevo riscontrato in quell’opera due cose importanti: uno stile personale e soprattutto che l’autrice aveva qualcosa da dire. Due fattori non da poco, che mi hanno spinto poi a leggere i suoi romanzi successivi. E libro dopo libro, allora, ho conosciuto una scrittrice profonda e impegnativa, che non scrive intrattenimento ma che affronta temi difficili, non usandoli come pretesto narrativo ma al contrario usando il genere come pretesto di analisi sociale.
In questo Ti voglio credere, protagonista principale è la Verità, agognata da un’ispettrice Vergani senza certezze, confinata nella sua casa e in una dimensione interiore rinchiusa tra pareti di dubbi. Una Verità che non sia comoda, che non sia mezza, che non sia vantaggiosa. Che sia piuttosto liberatoria per l’animo, anche dovesse portare alla reclusione del corpo. E accanto a questo tema incomporeo ma dalle forme gravose, quello al contrario corporeo e al contempo diafano dell’anoressia, spettro tangibile creato da una società adorante simulacri di preoccupante vacuità.
Il tutto, vissuto dalla solita Maria Dolores Vergani, sempre più accesa di carica costruttiva, ma in cui mi è parso di cogliere una maggiore e sotteranea spinta auto-distruttiva, e un evoluto Achille Maria Funi, che da spalla che sta sempre un passo indietro alla sua mentore, adesso è diventato se non co-protagonista sicuramente personaggio più tridimensionale, presenza effettiva, che si nota, che vive.
Aggiungeteci la cifra stilistica della Bucciarelli, sempre icastica nelle parole mai usate a sproposito, misurata, che lavora per sottrazione più che per aggiunta, e capirete perché questo romanzo alla critica sia piaciuto tanto.
E se non vi è evidente, chiarisco: è piaciuto tanto anche a Giuseppe Pastore e al Thriller Café.
Leggetelo, e poi mi direte…
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