“Bubble Net”, una tecnica di caccia usata dalle megattere in branco che lasciano uscire l’aria dallo sfiatatoio mentre circondano un banco di piccoli pesci, che finiscono così chiusi all’interno di una rete di bolle e si riuniscono, dando la possibilità alle balene di nuotare verso l’alto con la bocca spalancata e nutrirsi. Ma la rete percepita dai pesci, all’atto pratico, è fatta solo di semplici bolle d’aria. Una trappola fatta di nulla, una trappola d’aria.
Ecco spiegato il titolo del romanzo di Giuseppe Festa, che non fa riferimento al meccanismo di sangue innescato dal serial killer, ma alla mente del personaggio principale: spiazzando il lettore fin dalla prima pagina, il romanzo inizia con quello che dovrebbe essere l’eroe, l’ispettore Marcus Morgen, in procinto di spararsi alla testa. La sua vita è andata a rotoli quando, in conseguenza ad un incidente in servizio, ha perso il lavoro, la donna che amava e una gamba. È soprattutto la menomazione fisica ad ossessionarlo, e il resto lo ritiene una conseguenza; tuttavia, buttarsi anima e corpo nel caso per il quale lo richiama l’amico di sempre e collega, Ailo, gli offre la possibilità di rimettersi in gioco, di ricostruire sulle macerie di sé stesso e di capire che solo lui, Marcus, stabilisce i limiti di ciò che può e non può fare.
Tutto questo però lo realizza gradualmente nel corso della storia e lo mette a fuoco solo sul finale, soprattutto grazie alla ventata d’aria fresca che è la presenza di Valentina, biologa marina italiana entusiasta ed energica, sensibile quanto fiera, la quale non solo risulta fondamentale ai fini della risoluzione del caso, ma permette all’ispettore di guardare sé stesso da un altro punto di vista e con occhi nuovi. Gli fornisce, insomma, l’appiglio necessario per tirarsi fuori dalla sua “trappola d’aria”.
Già, ma qual è il caso in questione? Giuseppe Festa infrange lo stereotipo del giallo nordico lento e freddo, ambientando la trama sulle Isole Lofoten, in Norvegia, ma con un ritmo serrato e cadenzato fra momenti di grande suspense e attimi di riflessione e logica. Sangue contro scienza della deduzione sullo sfondo di un paesaggio naturale che è quasi possibile vedere, dal mare alle montagne. Qui un serial killer uccide coloro che fanno del male agli animali, sottoponendoli a una sorta di pena del contrappasso.
È particolarmente apprezzabile per gli appassionati di thriller il modo in cui l’autore dissemina gli indizi, conducendo il lettore verso false piste insieme alla polizia, per poi rovesciare le carte in tavola riportando in auge quello che sembrava un dettaglio inutile e smentendo le teorie più ovvie. In questo frangente, lo scontro fra Marcus e il suo testardo e odioso capo, Knut Hagen, genera scintille fino al punto di rottura: l’ispettore viene allontanato dal caso. Eppure, è proprio questo che gli permette di liberarsi dalle regole delle forze dell’ordine e pensare fuori dagli schemi, come suggerito da Valentina.
Le scene in cui agiscono i personaggi principali e gli efferati omicidi si alternano ad un viaggio attraverso il punto di vista delle figure che sono all’origine della vicenda criminale, che il lettore impara a conoscere dall’infanzia fino all’età adulta. Procedendo nella trama ci si rende conto come queste diventino una sorta di specchio nero di Valentina e Marcus: trascinate da eventi ai quali non sono state in grado di opporsi, bloccate in “trappole d’aria” che, come l’ispettore, si sono intrecciate nelle loro menti.
L’esordio di Giuseppe Festa nel panorama del giallo italiano è sicuramente promettente, nonostante un finale forse un po’ intuibile in ultima analisi ma che, tuttavia, è raggiunto attraverso un crescendo di suspense che tiene gli occhi incollati alle pagine. Non resta che aspettare (con una certa trepidazione!) di vedere l’ispettore Morgen indossare la sua protesi in titanio e immergersi di nuovo, tanto con la tuta subacquea fra le balene insieme a Valentina, quanto nella mente del prossimo assassino.
Recensione di Arianna Piazzi.
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