Il giallo di ambientazione storica è ormai diventato un genere molto frequentato e apprezzato dal pubblico. Il suo fascino sta nell’unire il senso di mistero e suspense proprio del poliziesco al sortilegio di tempi lontani, dei quali l’autore, quando ne è capace, ricostruisce suggestioni e atmosfere. Questo nuovo romanzo di Diego Lama, che come il precedente ha al centro il commissario di polizia Veneruso, è un giallo storico a tutti gli effetti, anche se la narrazione non ci porta in inquietanti conventi medievali o in fastose corti rinascimentali, ma nella Napoli del 1883, la splendida, intricata, multiforme città che da appena un ventennio ha smesso di essere la lussuosa capitale dei Borboni, ed è divenuta ormai provincia del regno d’Italia. E Napoli, con le sue grandezze e le sue miserie, è la vera protagonista di questo romanzo.
Non a caso la scena si apre nel cuore della città: i quartieri spagnoli. Veneruso, appena rimessosi da una brutta influenza, di primo mattino prende ad attraversarli per recarsi nel suo commissariato di piazza Dante. Una bella passeggiata. Per una settimana non ha avuto contatti con il mondo esterno, stava troppo male è ha rifiutato le visite dei suoi agenti che in processione hanno tentato di andarlo a trovare. Perciò non sa ancora niente. Di che? Ma della notizia di cui tutta Napoli parla da giorni, l’assassino della baronessa Salomé, giovane e bella dama assai dedita ad opere di carità! Ma lungo il cammino verrà scrupolosamente informato di tutto l’accaduto dai popolani che lo incontrano, piccoli artigiani, prostitute, mendicanti, che lo fermano per avere notizie da lui, il regio commissario, mentre in realtà sono loro, a pizzichi e bocconi, che gli delineano il quadro della situazione; una situazione paradossale, di corna e controcorna degna del migliore vaudeville francese. Tanto che Veneruso, giunto in commissariato, può così delineare lo stato delle cose: “La baronessa Salomè, la gran benefattrice, è stata uccisa. La donna è stata strangolata da lacci nel letto, nuda. Il marito ha un’amante, la contessa Barbara Lomelet. La contessa Barbara ha un marito, Nicola Lomelet. Però il conte Nicola ha un’amante: la duchessa Gisella Portolan. Gisella però ha un marito, il duca Ezio Portolan: il sospettato numero uno. Però il duca Ezio ha un’amante, la principessa Puccini Veronica…” La quale si affretta a recarsi in questura per scagionare il suo amato. Quella sera lui era con lei.
A complicare ulteriormente le cose, arriva la notizia di una nuova uccisione: un anziano studioso è stato appena assassinato a coltellate nella biblioteca nazionale, in piazza plebiscito. Veneruso la raggiunge insieme ai suoi agenti. E qui troviamo alcune tra le pagine più belle dell’opera. Perché presenti nella grande e antica biblioteca, in quell’ora mattutina, troviamo alcuni giovani studiosi e ricercatori, che rispondono nientemeno che ai seguenti nomi: Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio e, inoltre, il già anziano romanziere Francesco Mastriani (per i meno eruditi, in un’opportuna nota d’appendice, Lama illustra personalità e opere dei suddetti), quindi il fior fiore dell’intellettualità partenopea dell’epoca, particolare che testimonia come ancora Napoli fosse provincia solo sulla carta, rimanendo in realtà il centro di cultura italiano più vivace. Veneruso li interroga uno per uno: il confronto con i loro intelletti permette di inquadrare bene la personalità del commissario, un uomo culturalmente assai limitato, tuttavia dotato di ottima intelligenza, intuito, capacità di metodo e, come scopriremo alla fine, anche di profonda umanità. Doti che gli consentono di essere un ottimo poliziotto. Gli intellettuali concordano nell’affermare che un uomo, che non sono in grado di descrivere, subito dopo l’omicidio è fuggito attraverso un balcone che dà sul retro dell’edificio. Un nuovo mistero, dunque. Ma non è finita qui. Subito dopo viene segnalato l’assassinio di una bambina in un vicolo, delitto che sembra maturato nell’ambiente della prostituzione minorile, ultraminorile. Ecco che dunque la narrazione prende a decollare verso un intrigo sfaccettato che unirà la Napoli alta, delle baronesse e dei duchi, a quella dei bassi, della miseria senza scampo, della disperazione. Quindi Veneruso deve sprofondarsi, come solo lui sa fare, nelle viscere strutturali e morali della sua città, arrivando pazientemente a capo non di un mistero, ma di molti misteri collegati tra loro, tutti però pur sempre contenuti in quel grande e inestricabile mistero che fu e continua ad essere Napoli.
Diego Lama, ovviamente napoletano, classe 1964, architetto, giornalista e organizzatore culturale, ci consegna un romanzo profondo, ricco e divertente, che a nostro avviso non è solo da leggere, ma anche da studiare perché per molti aspetti, sempre con godibile leggerezza, arriva a costituire un autentico saggio sulla storia della sua città, sulla sua cultura, sulla lingua partenopea che nel tessuto narrativo l’autore utilizza con puntualità e stile. Ma i non napoletani stiano tranquilli, potranno godersi a pieno questo libro, perché il previdente autore non manca di aggiungere un prezioso glossario, di piacevolissima lettura; altrimenti parole come sfelenzo, quequero, scatobbio, scartellato… per i più, pur se meridionali come chi scrive questa recensione, sarebbero rimaste un mistero nel mistero.
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- Editore: Mondadori
- Autore: Diego Lama