Su Thriller Café oggi recuperiamo un libro di Valter Binaghi del 2010: Ucciderò Mefisto, edito da Perdisa Pop nella collana Babele Suite.
Titolo: Ucciderò Mefisto
Autore: Valter Binaghi
Anno: 2010
Editore: Perdisa
Il caso è semplice per il commissario di polizia Leonetti. Fausto Blangè è reo confesso. Ha ucciso il suo analista, il dottor Giacomo Collinaro con un colpo di pistola in faccia. “L’uomo ha una bella voce, il tono affabile, privo d’inflessioni, l’espressione impostata senza risultare contraffatta, come di uno per cui parlare è un talento naturale più che una professione”, ma oltre ad ammettere l’omicidio, Blangè non dice altro di sensato. “Chiamava il suo custode: l’airone. L’airone, capisce? Un uccello e poi parlava di Faust, e Margherita, e Mefistotele”.
Il caso per il commissario Leonetti è già chiuso in partenza, e chiuso rimane, però nella natura del tutore dell’ordine c’è un tarlo. Vuole capire il perché di questo delitto efferato. Blangè ha tutto, nessun problema economico, una carriera universitaria avviata. È uno scrittore di best seller, ricercato dalle televisioni e dalla stampa come opinionista. Vince premi letterari. Ha un promoter che gli ha dato credibilità nell’ambiente culturale, una produttrice televisiva che cura la sua immagine ed anche una bella studentessa come amante. Licia.
L’intuizione di Leonetti sta tutta nell’aver capito cos’è che manca all’assassino, e non cos’è che possiede. Fausto Blengè, infatti, non ha più una famiglia, non ha più l’amore della sua l’adorata moglie Margherita, perché è morta e con lei il suo universo di valori positivi, ma non si tratta solo di una semplice morte per malattia o altra causa naturale, si tratta di suicidio e di suicidio estremo. Margherita si è fatta dilaniare sulle rotaie da un treno della metro, a Milano, fra l’indifferenza e le maledizioni dei pendolari.
Il movente dell’omicidio è trovato da Leonetti nell’identificazione della vittima in Mefisto, perché è indubbio che il successo, la carriera e anche le amanti sono arrivati a Blangè tardi, e solo dopo l’inizio della terapia da Collinaro. Prima di allora, mai un editore, una televisione, o uno studente si era interessato a quel professore di lettere nei licei, oppure ad uno solo dei suoi romanzi. Leonetti capisce che il prezzo dell’agognato successo è frutto di una terapia condizionante e plasmatrice che ha come effetto collaterale quello di subordinare la vita di Margherita al successo di Blangè, però tutto regge fino al giorno del suicidio della donna. Dopo quel gesto insano, la mente dell’omicida prenderà coscienza dell’immane perdita. Sarà scarnificata dal dolore, dal pentimento, dalla voglia di vendetta fino ad essere governata da un solo pensiero: “Ucciderò Mefisto”, allora và da Collinaro, gli spara in faccia e confessa l’omicidio.
Il caso è chiuso. È sempre stato chiuso. Questa la storia.
Valter Binaghi è un pazzo e mi sentirei di dire, anche da catena, perché con questo breve romanzo si è andato ad infilare nei terreni sacri della letteratura mondiale, dove il vecchio dilemma di avere ed essere è stato degnamente trattato attraverso i secoli, da tanti scrittori famosi, vedi per tutti Ghoethe con il Faust. Ucciderò Mefisto è un ripercorrere allusivo del dramma. Anche i nomi dei personaggi sono gli stessi. Faust sta a Fausto, e da anonimo professore di liceo e mediocre scrittore diventa professore universitario e scrittore di successo. Margherita sta a Margherita come una donna innamorata sta ad una donna innamorata che perde il suo amore. E Collinaro, lo psicanalista, sta a Mefisto come solo un diavolo sa fare con la sua vittima. Lui dona l’effimero per togliere l’essenziale. E proprio la vita, l’amore, è il prezzo da pagare a Mefisto. Solo che la vittima lo capisce. Rompe il teorema e anche se tardi, non ci sta più. Ha rimorso, si vendica e uccide il diavolo.
Tutto a prima lettura sembra una cosa scontata e per niente originale, ma alla prima lettura! Alla seconda ti accorgi del vero talento di Binaghi, anzi arrivi a paragonarlo a un genio scatenato. A mente fredda ti rendi conto che “Ucciderò Mefisto” è un bel concentrato d’illuminate pagine e di un grande esercizio stilistico.
Il contrasto fra i fogli scritti in corsivo (che a prima lettura disturbano perché distraggono dalla storia) con quelli che narrano dell’indagine del commissario Leonetti, lo afferri solo dopo perché non c’è alcuna trama gialla da seguire. Solo dopo capisci che il corsivo è il legittimo ed indispensabile scandagliare dell’animo umano e afferri (e apprezzi) il suo contrasto con il quotidiano concreto e semplice.
Cento pagine dove c’è un grande amore finito male. La tragedia della gelosia, del tradimento, della solitudine. Dove c’è l’ossessiva ricerca dell’ambizione, del successo, della notorietà e soprattutto un’analisi impietosa e critica dell’ambiente editoriale e televisivo nei confronti di scrittori giovani e meno giovani disposti a tutto pur di essere pubblicati da un editore che non ha alcun interesse nell’opera letteraria.
Cento pagine così ricche di spunti e contenuti, che probabilmente in mano ad un altro scrittore sarebbero diventate, quattrocento, seicento e forse anche di più, e che invece Binaghi riesce a concentrare in poco spazio, con la forza di un cazzotto in bocca che per giorni farà sentire il suo malessere.
Ucciderò Mefisto è un romanzo intriso da sensi di colpa, incomprensioni, solitudine. Apologia del consumismo, narrato con semplicità apparente, grande stile letterario e senza alcun moralismo, vera prova di forza dello scrittore.
Ucciderò Mefisto è un gran libro. Da leggere e soprattutto da rileggere.
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