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A quasi undici anni dal primo romanzo che vede come protagonisti Colomba Caselli e Dante Torre, e dopo che nel 2023 i primi tre romanzi della serie sono stati ripubblicati in un volume unico la “Trilogia del padre”, Sandrone Dazieri si ripresenta con il quarto volume dedicato ai due investigatori.
Qualcuno si chiederà come mai una serie noir decisamente fuori dagli schemi ha avuto un così grande successo (e le migliaia di recensioni presenti su Amazon ne sono una prova).
A mio parere le ragioni sono molteplici e sono tutte presenti in “Uccidi i ricchi”. La prima è da ricercarsi proprio nelle particolari caratteristiche della coppia Colomba/Dante. Quando i due si incontrano per la prima volta, lei è un vicequestore della polizia di stato, in aspettativa dopo essere stata vittima di un grave attentato, mentre lui è un individuo che definire strampalato è poco. Non per sua colpa, certo: Dante ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza rinchiuso in un silos, prigioniero di un pedofilo – il Padre – al quale è riuscito a sfuggire solo dopo molti anni. Quell’esperienza traumatica gli ha lasciato in eredità il terrore per gli spazi chiusi ma anche la capacità di ritrovare i minori scomparsi.
Anche se Colomba ha abbandonato la polizia di stato ed è diventata un’investigatrice privata, come negli altri romanzi della serie, “Uccidi i ricchi” presenta una trama intricata e avvincente, nella quale i colpi di scena sono continui, e una scrittura brillante, che culmina come sempre nei duetti tra i due protagonisti: tanto diversi eppure complementari. Duetti divertenti, che spesso strappano sorrisi, nonostante la drammaticità della storia che raccontano. Il mondo degli straricchi poi, che Dazieri non ama, offre all’autore lo spunto per scatenare la sua ironia. Ma non solo. Come i peccatori di Dante, gettati in un orrido inferno, anche gli uomini che ostentano il potere del denaro solo destinati a pagare con la pena del contrappasso. Un tipo di morte che porta i media a pensare che il mondo della gente normale si sia finalmente ribellato al potere di chi vola su aerei ed elicotteri privati, naviga su yacht grandi come petroliere e sia convinto che il denaro è in grado di sconfiggere la morte. Perché i super ricchi non solo vivono una vita diversa da quella dei comuni mortali, ma pretendono anche di sfidare la nera signora. Per loro non c’è la sepoltura nella terra o nel loculo, ma bare refrigerate che permetteranno di conservarne i corpi fino a che -tra centinaia di anni- la scienza non troverà il modo di riportarli in vita. Dante permettendo. Ẻ logico.
Leggendo Dazieri è bene non dimenticare mai che scrivere, anche quelli che vengono definiti “romanzi di genere”, può essere un modo di fare politica e Dazieri viene da un mondo che non ama il capitale: non a caso ha militato a lungo nei centri sociali che ruotavano nell’ambiente dell’estrema sinistra e ha iniziato a scrivere per un giornale come il Manifesto. E a dirla tutta, le morte degli uomini e delle donne più ricchi del pianeta, nonostante la crudeltà e l’efferatezza con cui avvengono, non riescono a suscitare la nostra pietà e nemmeno quella del popolo del romanzo, che anzi, plaude al misterioso giustiziere.
La “vendetta proletaria” affascina i più, in un mondo dove i ricchi sono troppo ricchi e gran parte della popolazione lotta contro le difficoltà che la vita quotidiana propone. Leggendo “Uccidi i ricchi” non ho potuto fare a meno di pensare che Dazieri nello scriverlo avesse ben presente la direzione in cui il nostro mondo sta correndo e mi chiedo se il sorriso disincantato con cui il Gorilla (è questo il suo nome di battaglia) narra la sua storia non sia in realtà un invito a riflettere e a porsi delle domande. Il mondo che noi conosciamo, in cui la generazione dei Dazieri (e anche la mia) è cresciuta e ha vissuto, sta sparendo. Ẻ possibile fermarci prima del baratro?
Un romanzo consigliato per tanti motivi: trama avvincente, scrittura brillante, personaggi talmente ben strutturati da sembrare veri. E inoltre, oggi più che mai, Sandrone Dazieri apre uno sguardo sul nostro mondo e sembra voler chiederci se a noi va bene così.
Recensione di Maria Cristina Grella.
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