Fabio Stassi nasce nel 1962 a Roma da genitori di origine palermitana e precisamente di Piana degli Albanesi. Ha pubblicato saggi, libri per ragazzi, libri di poesie e romanzi. Tra questi ultimi possiamo ricordare L’ultimo ballo di Charlot che vinse nel 2013 il Premio Selezione Campiello. È però nel 2016 che si cimenta col genere giallo con la pubblicazione del libro La lettrice scomparsa, primo dei tre libri che vede come protagonista Vince Corso e con il quale vinse il prestigioso Premio Scerbanenco come miglior giallo/noir italiano dell’anno. Nel 2018 esce Ogni coincidenza ha un’anima, la seconda indagine del nostro biblioterapeuta e nel 2020 Sellerio pubblica la terza avventura di Vince Corso dal titolo Uccido chi voglio. Ma chi è Vince Corso? Vincenzo Corso, detto Vince, nasce a Nizza da una notte d’amore tra una cameriera d’albergo italiana e uno sconosciuto che nel corso del tempo è rimasto tale. Un fantasma a cui Vince manda ogni tanto una cartolina senza il nome del destinatario all’indirizzo dell’hotel Moresco, luogo dove è stato concepito, raccontandogli in pillole la sua vita. Laureato in lettere ma senza un incarico nella scuola tenta l’ultima scommessa con se stesso: si reinventa la vita e un lavoro quello di biblioterapeuta partendo dalla sua più grande passione, quella per la lettura e per i libri, perché è convinto che la letteratura aiuti a rendere i drammi della vita più intellegibili. Affitta a tal proposito una soffitta in via Merulana a Roma dove accoglie i clienti che hanno bisogno di una “rigenerazione esistenziale” consigliando loro la lettura di libri come ad esempio Jorge Amado a chi vuole ingrassare, Hemingway a chi non sopporta i propri capelli e così via.
Ma entriamo nel merito di Uccido chi voglio. Vince riceve una lettera da un ergastolano di nome Queequeg, che lui non conosce, che gli chiede un incontro in carcere. Inizierà, così, per lui una settimana davvero inquietante che sembra avvolta da un velo di irreale: qualcuno si introdurrà in casa sua distruggendo i suoi beni più preziosi – i suoi libri, i vinili di canzoni francesi – e avvelenando il suo amato cane Django. Ma non solo, in pochi giorni si troverà ad essere testimone di atroci omicidi compiuti sotto gli occhi dei passanti e queste coincidenze, di certo non fortuite, lo faranno passare in un battibaleno da investigatore dilettante quale lui ama essere a investigato. Infatti sono troppi i fili che legano Vince a tutti questi efferati delitti tutti accomunati da un segno che l’assassino lascia sulle vittime, una ferita a forma di stella dietro l’orecchio, la stessa ritrovata su Django, e che porta il commissario Ingravallo a considerarlo il sospettato numero uno. Forse, anzi certamente, qualcuno sta pilotando i suoi spostamenti con un disegno occulto che lo porta in giro ad inseguire fantasmi cercando così di incastrarlo. In questo suo vagabondare per Roma inseguendo strani indizi si imbatterà in stravaganti personaggi tra cui un cieco e la sua setta di accaniti lettori che faranno vacillare in Vinci anche la convinzione che i libri curino le persone.
Il titolo del libro Uccido chi voglio, come ci rivela lo stesso Stassi, ha origine da una rivelazione che gli è stata fatta da un ergastolano in merito all’origine della parola Vrascadù, soprannome dato alla sua famiglia. Infatti contrariamente a quanto aveva sempre creduto e cioè che fosse la traduzione in palermitano del modo di dire braccia cadute, cioè scansafatiche, il detenuto gli consegna su una pagina strappata la vera traduzione che deriva dall’arbëreshë, lingua parlata dagli italo-albanesi, e cioè uccido chi voglio.
Quest’ultimo giallo di Fabio Stassi è un vero e proprio enigma ricco di tensione in cui efferati omicidi si impastano a rimandi letterari. Un vero e proprio labirinto di simboli e citazioni, di inseguimenti e smarrimenti dove si confonde anche la direzione del tempo e si arriverà alla soluzione solo tornando alle origini, riavvolgendo il nastro, come fa lo stesso susseguirsi dei 26 capitoli che procedono a ritroso dalla Z alla A. In questo libro, che è il più maturo dei tre, nulla è citato a caso come ad esempio l’indirizzo dell’abitazione di Corso che è senz’altro un omaggio al pasticciaccio del suo amato Gadda, il nome del detenuto Queequeg che tanto ci ricorda Moby Dick, la scena finale che avviene nel cimitero degli artisti al Testaccio e dove vengono citati i nomi dei numerosi scrittori e poeti ivi sepolti e tanto altro. Con il suo stile elegante e colto Fabio Stassi dà così vita a un tentativo di rinnovare il giallo e di sperimentare una sorta di gioco di specchi in cui realtà e finzione si guardano e si interrogano senza mai, però, perdere il ritmo e tenendo sempre il lettore con il fiato sospeso.
Recensione di Luisa Ferrero.
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Articolo protocollato da Luisa Ferrero
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