Un colpo all’altezza del cuore: è con la recensione a questo romanzo di Margherita Oggero che chiudiamo questa settimana al Thriller Café.
Titolo: Un colpo all’altezza del cuore
Autore: Margherita Oggero
Editore: Mondadori, collana Omnibus
Anno: 2012
Trama. Due omicidi avvenuti a breve distanza di tempo, a Torino e a Chivasso. Due donne, amiche, indaffarate nelle proprie esistenze non prive di problemi, che in qualche modo ne sono coinvolte come testimoni. Due agenti responsabili dei casi, che si avvarranno delle loro intuizioni per risolvere il mistero.
È il primo romanzo della Oggero che leggo e ho fatto molto fatica a entrare in sintonia con il suo stile. Questo ha reso pesante la lettura delle prime trenta, quaranta pagine: l’autrice passa dalla terza persona narrante alla prima singolare senza interruzioni, come un flusso di pensieri improvviso che si interseca alla narrazione. Spesso questo avviene all’interno della stessa frase e disorienta; nel mio caso ha creato un senso di fastidio che mi ha fatto abbandonare la lettura più volte. In alcuni casi, usa addirittura il tempo passato in un capitolo e il presente nel successivo, senza che ci sia un reale motivo che lo giustifichi.
Lo stile è incisivo, a tratti dirompente, e sebbene queste siano indubbie qualità, se coniugate alle “interferenze” di pensiero di cui parlavo, creano una narrazione “caotica” che a primo impatto si ama o si odia. Dopo la parte iniziale, però, si prende confidenza con l’estro dell’autrice, si capisce che ci si trova davanti a una personalità potente e si riesce ad apprezzarne l’unicità e il forte carattere: è sicuramente uno stile molto personale, fantasioso e peculiare. Da apprezzare la scelta dell’editore, rischiosa, di non riportarlo a standard classici e snaturarlo: si pensi che il mancato uso delle virgole negli elenchi, presenti più volte, non è stato introdotto come le regole vorrebbero. Questo fa pensare che il lato artistico dell’autrice sia stato rispettato e anche valorizzato.
Più che una storia che verte attorno a omicidi da risolvere, si tratta di frammenti di vita delle due donne protagoniste, Camilla e Francesca, della loro psicologia, del rapporto che le lega e del loro vissuto. Le indagini sullo sfondo sembrano più che altro un pretesto per indagare i rapporti umani nelle loro principali sfaccettature: matrimoni polverosi e annoiati, nuove passioni, brighe familiari, figli ribelli, amicizia, il tutto condito dall’ironia intelligente dell’autrice.
Proprio per l’idea di una mente brillante che mi sono fatta dell’autrice, mi ha un po’ sorpresa in senso negativo un ragionamento della protagonista Camilla, che di fatto è alla base della svolta delle indagini. Cito:
«Una grana legata al lavoro? Un cedimento, un crollo, un debito non onorato?» [chiede Camilla all’ispettore]
«No. C’è stato anni fa un incidente in uno dei suoi cantieri, con un muratore morto, ma l’ingegnere ne è uscito pulito. Antinfortunistica in regola, era il muratore a essere ubriaco di mattina.»
«Italiano o extracomunitario?»
«Italiano.»
«Mah… sarà.»
«Cosa vuol dire?»
…
«Voglio dire che i muratori italiani che si sbronzano al lavoro mi sembrano improbabili…»
Saranno contenti i muratori italiani di questa assoluzione generale sulla fiducia, un po’ meno quelli extracomunitari. Su questa tesi ci sarebbe molto da discutere, anche perché il termine “extracomunitari” comprende nazionalità, etnie e culture molto diverse tra loro, che non vedo per quale motivo debbano essere accomunate in modo così infelice da una sorta di inaffidabilità e scarsa professionalità, e mi sorprende trovarla in un testo intelligente e arguto. Io che vengo dal Nord Est, potrei facilmente ribaltare questa tesi con numerosi esempi. La considero una piccola macchia in un lavoro di qualità.
Non sorprende che le avventure della prof Camilla Baudino abbiano ispirato una fiction di successo, perché hanno tutti gli ingredienti per conquistare il pubblico medio che segue determinate serie televisive: leggerezza combinata a sana ironia, stile divertente, una protagonista carica dei soliti problemi con cui il pubblico femminile si sentirà solidale, una trama sufficientemente articolata ma non complessa.
Romanzo non adatto a chi cerca il brivido, la tensione, le tinte fosche da noir e una certa complessità della trama: le vicende si potrebbero riassumere in poche righe, il romanzo è fatto più che altro di pensieri, riflessioni e vissuto personale che di colpi di scena e accadimenti. La trama è poco verosimigliante: quante probabilità ci sono che due amiche restino coinvolte nel medesimo momento in due casi di omicidio che si svolgono in due città diverse, per quanto vicine? Quanto è probabile che entrambe provino un certo groviglio nello stomaco per i due ispettori di polizia che seguono i casi? E che entrambe in qualche modo li aiutino nelle indagini? Il cattivo, neanche a dirlo, per caso è molto vicino a una delle due. È quasi una bella favola moderna, dove tutto si aggiusta, dove anche si sorride: in questo romanzo la morte non fa paura, i cattivi sono macchiette pittoresche (penso alla prozia Clementina), i responsabili delle indagini sono attratti dalle protagoniste e hanno bisogno delle loro imboccate per arrivare alla soluzione dei casi.
È senza dubbio un buon romanzo e la sua qualità risiede soprattutto nell’eccellenza dello stile e della forma, ma definirlo “thriller” in sovraccoperta è fuorviante.
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