Che Giancarlo De Cataldo, giudice di Corte d’Assise, sceneggiatore, drammaturgo e saggista, coniughi il dono di una penna brillante a una mente fertile non è una novità; e non meraviglia che il magistrato di origini tarantine abbia saputo accaparrarsi pubblico e critica grazie ad opere dalle molteplici sfaccettature, che rimpolpano l’innegabile, preponderante componente noir con un taglio storico/politico capace di mettere a nudo i controsensi e i peccati che hanno fatto la fortuna dei rotocalchi italiani nell’ultimo cinquantennio: a partire da “Nero come il cuore” (1989) e passando per capisaldi del calibro di “Romanzo Criminale” (2002), “Nelle mani giuste” (2007) e “Suburra” (a quattro mani con Carlo Bonini, 2013), De Cataldo ha mantenuto fede a un’impronta letteraria decisamente suggestiva, che si insinua tra realtà periferiche degradate, attenta alle cupole del potere e circuisce capibranco di borgata traghettando il lettore negli anfratti di un mondo sordido, virulento, privo di speranza e perdono, in perfetto equilibrio tra finzione e realtà.

Ciò che sorprende e affascina, piuttosto, è che dopo decenni di storie one shot, l’autore salentino abbia intrapreso un progetto di ampio respiro imperniato sull’ideazione di una vicenda seriale, che secondo gli addetti ai lavori dovrebbe dipanarsi in una trilogia legal crime di cui Giulio Einaudi Editore, catalogo “Stile Libero”, ha pubblicato lo scorso novembre il secondo capitolo, “Un cuore sleale”, a distanza di un pugno di mesi dal suo predecessore, “Io sono il castigo” (Einaudi – Stile Libero, 2020).

Al timone di comando, un Sostituto Procuratore della Repubblica incallito melanomane e dalle credenziali simili a un intricato scioglilingua, eredità ingombrante del suo antico, decaduto lignaggio nobiliare: Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei conti di Albis e di Santa Gioconda, “Il Contino” agli occhi e sulle bocche della squadra inquirente tutta al femminile che dirige in veste di pubblico ministero al servizio della Procura di Roma.

Amante egoista, figlio afflitto da una madre ludopatica, padre poco presente, nobile dal portafoglio scarno e incurabile donnaiolo, in Un cuore sleale Manrico Spinori della Rocca finisce risucchiato dalla risacca di Ostia, che restituisce alla spiaggia e ad una complicata questione di competenza territoriale il cadavere di Ademaro Proietti, noto palazzinaro della capitale dal passato torbido e l’indole dispotica. Come per ogni 9 dicembre, anche quell’anno il magnate dell’edilizia ha organizzato una traversata in yacht insieme ai tre figli e al genero, allo scopo di commemorare un’ambigua ricorrenza familiare, spennare i parenti al tavolo da poker e buttar giù in compagnia qualche bicchiere di ottimo torbato; ad attenderlo al rientro, però, stavolta non troverà le familiari coste di Fregene, bensì i flutti rabbiosi del Mediterraneo ed una morte che sulle prime verrà catalogata come accidentale caduta dal ponte del panfilo, per poi confondersi in una serie di incongruenze e contraddizioni che spianerà il campo a scenari tutt’altro che incolpevoli. Il team capitanato dal PM Spinori della Rocca – una procace ispettora romana, una talentuosa informatica sarda e una valente collaboratrice martorizzata dalle pene d’amore – risalirà una china impervia e scivolosa, infangata da inganni e malizie, ricettatori transgender e operazioni societarie internazionali al limite del lecito, colpi di mano e passioni al veleno che proliferano nei cuori sleali di una dinastia soltanto all’apparenza cullata dalla serenità di giardini all’italiana e ville rinascimentali.  

De Cataldo offre l’ennesima, indiscutibile prova di spessore e lo fa senza intaccare il solito smalto, sebbene opti per uno stile più caldo e avvolgente rispetto alle cadenze hard boiled tipiche dei tempi di Libanese, Freddo e Dandi: sinuosa e curata la prosa, variegato il vocabolario, dialoghi padroneggiati con la confidenza dei grandi, registri cesellati sulle estrazioni sociali dei singoli personaggi, che oscillano dal tenore aulico dei salotti bene al dialetto laziale masticato tra i vicoli della Roma ladrona.

Oltre a distinguersi per trama robusta e ingranaggi di investigazione ben oleati, Un cuore sleale racchiude un ammirevole tributo alla musica lirica, un universo inaccessibile di libretti e contralti gelosamente custodito nell’animo di Manrico, in cui il procuratore si rifugia quando la giustizia umana appare troppo cieca, il crimine abietto, la solitudine soffocante e che addirittura adopera come stimolo nelle sue indagini, giocando a ricondurre ciascuno dei propri casi al di sotto di una delle arie che tanto ama:

Ma questo mare d’inverno, pensava Manrico Spinori della Rocca, sostituto procuratore della Repubblica in Roma, che c’entra con Wagner? Non ha niente del procelloso approdo che turba Isotta. Né, se per questo, si profila all’orizzonte un qualche valoroso Tristano in ambasce. Questa è Ostia. Non ondeggia alla fonda un veliero wagneriano, ma il Chiwi. Un imponente motor yacht Mari Nardi FW 87, quasi 60 metri, armato nel 2010”.

Non è una coincidenza che lo stesso De Cataldo abbia ammesso di aver maturato in corso di stesura una forte passione per la lirica, così finendo per accentuare le già evidenti assonanze tra Manrico Spinori della Rocca ed il suo creatore.

Entrambi magistrati.

Di stanza al Tribunale di Roma.

Assegnati alla Sezione Penale.

Inguaribili e romantici melomani.

Come dire: dategli “un’opera, una poltrona, una melodia, un soprano che soffre, un tenore appassionato, un saggio baritono e un basso ribaldo” e farete due giudici felici.

Redazione di Lorenzo Garzarelli.

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Un cuore sleale. Un caso per Manrico Spinori
  • Editore: Einaudi
  • Autore: Giancarlo De Cataldo

Articolo protocollato da Redazione

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