“Ecco qualcosa che non si vede spesso nella narrativa noir scandinava” questa la premessa del New York Time book Review in riferimento all’ultimo volume scritto da Lene Kaaberbol e Agnete Friis, “Un quieto, impercettibile omicidio”, edito da Fazi Editore, che dopo tre ristampe e ventimila copie vendute in Italia con il precedente volume “Il bambino nella valigia” ha deciso di dare nuovamente spazio a queste due autrici scandinave. Kaaberbol e Friis (che abbiamo intervistato qualche tempo fa) hanno vinto come “thriller dell’anno” il premio dell’Accademia Danese e sono state finaliste al Glass Key Award, vinto anche da Stieg Larsson. Su Thriller Café recensiamo oggi questo loro nuovo romanzo.
Autore: Lene Kaaberbol – Agnete Friis
Editore: Fazi Editore
Traduzione: Bruno Berni
Anno: 2012
“Un quieto, impercettibile omicidio” è un romanzo ambientato in Danimarca, culla di civiltà e cultura, di leggende e di menti eccelse, tanto da essere riconosciuta dall’Unesco come il “paese più felice” della terra; ci sorprende dunque come le due autrici siano riuscite a ribaltare questa visione, spesso enfatizzata per scopi turistici, per farci scoprire che anche un paese all’apparenza equilibrato, esuberante, nasconda al suo interno un’altra faccia della medaglia. Sarà per questo aspetto che il romanzo fin da subito suscita una certa curiosità. Già nel precedente volume avevamo incontrato la protagonista, infermiera della Croce Rossa dal nome Nina Borg, un’eroina dei nostri tempi che corre in soccorso dei bisognosi tralasciando la propria vita privata e familiare, quasi per una dedizione al lavoro che va oltre l’impegno quotidiano, perché Nina prende a cuore i propri pazienti, tanto da sentirsi coinvolta emotivamente dalle persone cui affida la propria attitudine di medico. Una donna con le sue fragilità, più brava a soccorrere i feriti che a gestire la propria vita familiare dunque, ma pur sempre madre che dimostra senso protettivo nei confronti dei piccoli pazienti che si troverà a seguire. Ecco perché nonostante la promessa fatta al marito di essere più presente, accondiscende alla chiamata del collega Peter che la conduce in un vecchio capannone. Un piccolo microcosmo, una realtà che Nina è impreparata a gestire e a valutare, ma che le permetterà suo malgrado, di affondare in quelle radici di squallore e povertà appartenenti a un popolo dimenticato a se stesso. Una protagonista che all’interno della narrazione sembra seguire quella sua propensione verso gli altri, tanto da lasciare spazio al contesto nel quale la storia si dipana, senza l’urgenza di farsi spazio in un costrutto, che pur essendo tessutole intorno, non la “mortifica” nei soliti ruoli rilegati al protagonista. Tante le vicende che si intersecano per condurre la trama su un terreno impervio, fatto di lungimirante attesa ed estenuante risolutezza. Un thriller che giunge in punta di piedi a scuotere il lettore, come se la fissità di quel paesaggio nordico, freddo, contagiasse la trama, in cui la promiscuità aleggia sotto una cortina di nebbia e vento, di cappotti che appesantiscono il passo ma indispensabili nel proteggere da un paesaggio asfittico che nasconde razzismo e intolleranza. Perché nel capannone ex officina i profughi che vi si nascondono iniziano ad accusare strani sintomi? E perché è così difficile accettare gli altri e permettere che vi si stabiliscano con le proprie abitudini? Una verità più cruda di qualsiasi malattia, un risvolto quasi di cronaca a rendere più intrigante la vicenda. Quello che fa di un libro un buon libro, spesso non è una trama originale, episodi surreali o indagini serrate ma, come avviene per “Un quieto impercettibile omicidio”, è il modo in cui le autrici hanno deciso di raccontarci una storia, qualunque essa sia. Una scrittura a quattro mani che risente a volte di una difficoltà di unificare le due voci narranti, ma che all’interno dello sviluppo della vicenda riesce a trovare quel linguaggio comune che unisce i sentimenti e le dissonanze attraverso le emozioni vissute dai personaggi, veritieri e attuali più che mai. Un thriller edulcorato nella sua componente più noir, una crime fiction di quelle che, una volta lette, non si riesce più a dimenticare.
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