alexander mccall smithGrossa novità oggi, qui al Thriller Cafè: abbiamo avuto l’autorizzazione per tradurre e pubblicare alcuni racconti di scrittori inglesi e americani, quindi, assieme a tutti i vecchi servizi che vi offriva, il vostro barman vi darà anche modo di leggere qualcosa gratis… e dite che non ci tengo ai miei clienti, adesso!

A inaugurare la rubrica, Alexander McCall Smith, eclettico autore che si è dedicato anche alla detective story e ha raggiunto il successo con la serie di Mma Precious Ramotswe, la prima detective privato donna del Botswana.

Il simpatico racconto di oggi, tratto da Strand Magazine, si intitola: “Nessun posto per parcheggiare”.

Buona lettura!

***

Cominciò come una sfida, il risultato imprevisto di un’assurda conversazione al Festival degli Scrittori dell’Australia occidentale. C’era in scena la solita tavola rotonda, e un pubblico composto dal tipo di persone che le frequenta – prevalentemente donne, con una spolverata di uomini, molto istruiti, molto letterati, e molto fantasiosi. Erano un gruppo di persone accomunate dalla predilezione per i dettagli scabrosi di comportamenti che loro non avrebbero mai tenuto. Non avrebbero mai commesso un omicidio, neanche nei loro sogni più selvaggi. Né si sarebbero mescolati con la gente che aveva fatto cose del genere, non importa quanto affascinante potessero trovare la loro compagnia sulle pagine stampate. Ma amavano saperne di più sull’omicidio, sull’improvvisa, violenta cessazione della vita umana, e di come veniva perpetrata.

Stavano discutendo del realismo nella crime fiction. Due praticanti dell’arte, scrittori di polizieschi ben recensiti, si scontravano con il critico letterario di un giornale locale. Il critico, che leggeva molto poco questo genere, aveva espresso il parere che ci fosse un eccesso di realismo nella letteratura del mistero contemporanea.

“Guardate al romanzo criminale medio di questi tempi” sottolineò, fendendo l’aria con un dito accusatore. “Fate il conto dei cadaveri. Guardate alle scene obbligatorie di autopsie. Alcuni effettivamente iniziano proprio con un’autopsia, roba da non crederci! La sala autopsia, così familiare, così confortante! Organi vengono estratti e pesati, ferite esaminate per angolo di entrata, ed è tutto così… bene, è tutto così scenografico. ” Fece una pausa. Dal pubblico venne un breve scoppio di risate. Forse non era scenografico abbastanza per loro.

Il critico si accalorò. “Ma non ci sono altri crimini oltre l’omicidio? C’è la frode, e il furto e l’estorsione. C’è l’evasione fiscale, per amor del cielo! Eppure tutto ciò di cui leggiamo in questi libri è l’omicidio. Omicidio, omicidio, omicidio!”. Si fermò, quindi gettò uno sguardo d’accusa ai due autori accanto a lui. “Perché non scrivere di reati più banali? Perché non scrivere di cose che effettivamente succedono? L’assassinio è cosa molto rara, lo sapete. Ma non lo si direbbe leggendo i vostri libri.”

Uno degli autori si rivolse al pubblico. “Debole di stomaco” disse, indicando il critico. “Non ce la fa a sopportarlo”.

Il pubblico si mise a ridere. Loro non avevano difficoltà a riguardo.

“Scherzi a parte, però” riprese il critico. “Che rispondete a tal proposito? Cosa dite di un romanzo di crime fiction realistico che abbia a che fare con qualcosa di quotidiano, con reati comuni a basso livello”.

“Tipo?” chiese uno degli autori.

Il critico mosse una mano in aria. “Oh, qualunque cosa” replicò alla leggera. “Violazioni di parcheggio, forse. Accadono tutto il tempo”.

Tutti si unirono alle risate, anche il critico. “Fallo tu” propose a un autore. “Perché uno di voi non fa qualcosa di simile? Lasciate perdere l’omicidio. Diventate reali. Avviate un nuovo genere.”

Uno degli scrittori, George Harris, romanziere di successo di Perth, lo fissò. Stava ridendo, ma ora lo guardava pensoso.

George condivideva un piccolo bungalow con la sua ragazza, Frizzie, che gestiva un negozio di t-shirt a Fremantle. Avevano vissuto insieme per cinque anni, in una piccola casa vicino a Cottesloe Beach. George amava il surf e Cottesloe era un buon posto per praticarlo, visto che l’Oceano Indiano s’infrangeva direttamente sulla grande distesa di sabbia, ostacolato solo dal piccolo frammento di Rocknest Island.

Ogni volta che si recava a surfare, pensieri di quello che avrebbe potuto esserci nell’acqua sotto di lui gli riempivano la mente, paure assillanti, represse ma ancora lì, da qualche parte al di sotto della superficie. Otto mesi prima qualcuno di sua conoscenza, anche se solo vagamente, era stato preso da un grande squalo bianco a pochi passi dal bordo della spiaggia. L’incidente gli aveva mostrato il fatto che il surf in Australia aveva i suoi pericoli – uno era l’habitat, dopo tutto – e gli aveva anche dato un’idea per il suo prossimo libro. La trama avrebbe previsto la rivalità tra surfisti – qualcosa a che fare con un’amante o una moto – che avrebbe portato un surfer a pianificare l’assassinio di un altro. E quale miglior modo che il finto attacco di uno squalo? L’attacco omicida sarebbe avvenuto sotto le onde con un grande coltello che l’assassino si era fatto appositamente nel suo garage. Il coltello avrebbe avuto un numero di denti lungo il bordo, ognuno attentamente replicante la forma di un dente di squalo, in modo da lasciare le ferite giuste per il coroner e farlo giungere alla conclusione inevitabile: morte per attacco di squalo. Sarebbe avvenuto in un momento in cui non c’era nessun altro nei paraggi e certamente nessuno avrebbe visto il subacqueo al di sotto della superficie dell’acqua, con il suo coltello scintillante come un pesce d’argento. Era una buona trama, anche se non sarebbe stata confortante da leggere per i surfisti, o da scrivere, se è per questo, per un romanziere cui era capitato di essere un surfista.

Aveva appena iniziato questo nuovo romanzo, questa storia di surf, ed era tentato di lasciar perdere. Una volta aveva persistito con un libro che non lo emozionava, e aveva sprecato otto mesi nella gestazione di qualcosa che non aveva funzionato e che aveva dovuto essere abbandonato. Deciso a non fare lo stesso errore ancora una volta, era aperto a nuove idee, quando il critico aveva fatto i suoi commenti. La proposta che un romanzo criminale avrebbe potuto riguardare qualcosa di minore come parcheggi illegali era una provocazione, naturalmente, ma pensandoci, perché no? Era un’idea tanto oltraggiosamente sciocca che avrebbe potuto finire per essere il suo marchio in un genere di narrativa che stava diventando sempre più affollato. Era diversa, e la gente voleva qualcosa di diverso. C’erano tanti di quei procedural, tutti riguardanti stressate squadre omicidi sulle strade principali. Qui c’era qualcosa che era all’esatto opposto dello spettro, e avrebbe riguardato le persone. Avevano bisogno di un sorriso, e lui gliel’avrebbe dato. Sarebbe stata roba dolce, capricciosa, priva di violenza e di distruzione. L’avrebbe potuta ambientare in Australia occidentale, sulla sua porta di casa, e avrebbe potuto essere piena di colore locale…

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Bene, questa la prima parte del racconto. Se volete sapere come prosegue, continuate a seguire Thriller Cafè, e meglio ancora, registratevi gratuitamente ai feed, ricordando che potete ricevere gli aggiornamenti anche via email!

(continua…)

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Articolo protocollato da Giuseppe Pastore

Da sempre lettore accanito, Giuseppe Pastore si diletta anche a scrivere e ha pubblicato alcuni racconti su antologie e riviste e ottenuto vittorie e piazzamenti in numerosi concorsi letterari. E' autore (assieme a S. Valbonesi) del saggio "In due si uccide meglio", dedicato ai serial killer in coppia. Dal 2008 gestisce il ThrillerCafé, il locale virtuale dedicato al thriller più noto del web.

Giuseppe Pastore ha scritto 1638 articoli: