La giovanissima detective Pip Fitz-Amobi soffre di disturbo da stress post traumatico da quando, mesi prima, ha affrontato una complicata indagine. La vita sembrerebbe procedere, di lì a poco Pip dovrebbe iniziare l’Università, ma uno stalker inizia a inviarle messaggi e minacce alle quali però la polizia locale non sembra dare peso.
La ragazza inizia così ad indagare, pensando di aver identificato il suo nemico in un serial killer che anni prima ha ucciso diverse ragazze, ma un uomo è già stato condannato per questi omicidi e sta scontando la sua pena in carcere. Viso che nessuno sembra credere a quello che sta succedendo, Pip inzia a indagare e quella che inizia come una indagine diventa la lotta per la sopravvivenza.
Dopo Come uccidono le brave ragazze e di Brave ragazze Cattivo sangue, che in Italia hanno venduto quasi 200mila copie, è arrivato in libreria l’ultimo capitolo di questa trilogia firmata da Holly Jackson.
Prima di poter fare qualsiasi considerazione su Una brava ragazza è una ragazza morta, è necessario sapere due cose: la prima è che per comprendere fondo la trama è necessario aver letto i due romanzi precedenti, senza i quali alcuni personaggi e situazioni sono di difficile collocazione, soprattutto nella prima parte. La seconda è che siamo di fronte a un young adult mistery, e l’aspetto generazionale può giocare un ruolo determinante nella percezione del romanzo stesso.
La sospensione dell’incredulità è una sorta di patto con il lettore, che è disposto ad accettare anche le distorsioni della realtà nella misura in cui si sente nella sua confort zone o va alla ricerca di un certo tipo di evasione: c’è però una sottile linea rossa oltre la quale la forzatura può diventare esagerazione, e il patto con il lettore viene meno.
Questo è un po’ quanto avviene con Una brava ragazza è una ragazza morta: quanto più ci si discosta dal target di riferimento, tanto più è difficile sentirsi coinvolti dalle vicende di una detective in erba che pare, francamente, piuttosto improbabile. Intendiamoci, il romanzo è scritto bene, il ritmo è incalzante, c’è un plot twist interessante così come il finale inaspettato: Holly Jackson ha fatto i compiti, e le 200 mila copie vendute hanno senso se il lettore è in quella fascia di età che può apprezzare una sorta di Veronica Mars più brillante. La Jackson ci propone inoltre uno spaccato di un mondo giovanile fatto di social, di solitudini e relazioni superficiali, propone alcune riflessioni su temi come giustizia e vendetta, sull’incapacità del mondo adulto di ascoltare i giovani e dare loro risposte, temi sempre interessanti e di larga presa.
Il problema si pone per il lettore adulto, per il quale questo romanzo è troppo e troppo poco: troppo, perchè Pip Fitz-Amobi è solo una diciottenne, che come tutte le ragazze di quell’età vive tutto in modo amplificato, esasperato, moltiplicato ed è difficile provare vera empatia o immedesimazione, e a dirla tutta talvolta è difficile non sentir prudere le mani di fronte a un personaggio che – con un misto di fragilità e incoscienza adolescenziale – prende delle scorciatoie discutibili. Troppo poco, perché la trama è troppo semplice per il lettore più smaliziato e anche il colpo di scena che a metà libro dovrebbe cambiare le carte in tavola non è in realtà così sconvolgente.
Ma si tratta, appunto, di approcci: non tutti i libri sono per tutti, e Una brava ragazza è una ragazza morta, per il suo pubblico di riferimento, può essere una lettura piacevole se non affascinante. Holly Jackson si è laureata all’università di Nottingham, dove ha studiato linguistica letteraria e scrittura creativa. Vive a Londra, dove trascorre il suo tempo libero con i libri (che legge e scrive), con i videogiochi e con i documentari sul crimine, immaginando di essere una detective.
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- Editore: Rizzoli
- Autore: Holly Jackson , Paolo Maria Bonora