È un giorno come tanti a Milano, sta arrivando la primavera. Eppure una mattina vi svegliate con le finestre tappate dalla nebbia, una nebbia come non si vedeva da anni, il cui manto si stende per la città come un sudario.

È una nebbia strana, quasi perversa. Non è forse il momento migliore per compiere un omicidio?

Questo è quanto accade in “Una giornata di nebbia a Milano”, romanzo di Enrico Vanzina, che sveste i panni da regista per indossare quelli da scrittore.

L’impresa gli sarà riuscita?

È una giornata di nebbia a Milano, una di quelle che sembravano non esistere più, come se fosse uscita da un romanzo di un altro tempo, da una ballata di giorni lontani. Luca Restelli sta andando al giornale per cui lavora.

Non ha ancora quarant’anni e anche i suoi gusti sono “passati”, come la nebbia di quella mattina: vive di riferimenti letterari e cinematografici, tra insicurezze e un po’ di superbo disprezzo per il mondo indolente e arrivista che lo circonda.

All’improvviso arriva una notizia, omicidio in Corso Vercelli: un uomo è stato ucciso nella nebbia con tre colpi di pistola, è stata arrestata una donna. La redazione tace sonnolenta, Restelli si fa avanti, la cronaca nera gli è sempre piaciuta. Il servizio è suo.

Resta di sasso quando scopre il nome della vittima: Giovanni Restelli, suo padre. Nascerà un’indagine, in cui Luca deciderà di muoversi parallelamente alle forze dell’ordine per scoprire chi ha ucciso il genitore.

Per farlo chiederà aiuto a Giorgio Finnekens, geniale scrittore che passa la vita tra libri, fidanzate e qualche bicchiere di troppo.

Il libro non è male. È una cosa che mi sento di dire, anche se non mi ha soddisfatto del tutto.

Andiamo con ordine, prima di perderci in giri di parole inutili.

Ho apprezzato la descrizione che viene fatta di Milano e del modo in cui è avvenuto il delitto: richiamare elementi naturali, come la nebbia, dà una sfumatura “poetica” alla vicenda, la fa sembrare una sorta di tasca misteriosa in cui uomo e natura hanno complottato per nascondere un terribile fatto di sangue.

L’indagine, e come questa viene condotta, sono state altrettanto azzeccate, specialmente il personaggio di Giorgio Finnekens, scrittore dalla verve impareggiabile, alle cui battute mi sono sempre ritrovato a sorridere.

Lo stile è scorrevole, la storia non è pesante: tutti i passaggi vengono spontanei, naturali e personaggi che fino ad allora rimangono nell’ombra, come la zia di Luca, pian piano si mostrano, cedono i loro segreti, diventano motore attivo del racconto.

Trovo che sia sempre molto difficile ambientare un thriller o un giallo in una città italiana. Questo non perché dalle nostre parti non si senta parlare tutti i giorni di omicidi, ahinoi, ma perché non hanno l’epicità di un assassinio a Londra o New York o a Shangai.

È la triste regola degli scrittori: bisogna dare forza alla vicenda, perché arrivi al lettore, perché ne venga spaventato, inorridito, e allo stesso tempo affascinato.

L’omicidio, per quanto possa essere un fattore scatenante brutale, è il motore chiave della storia: la trascina, la esaspera, fin quanto il mistero non viene risolto.

Ebbene, in questo libro la morte di Giovanni Restelli è insipida. Insipida, già. Rimane sullo sfondo, non veniamo mai a contatto diretto con sangue, pistole, con la crudeltà del fatto compiuto.

L’omicidio ci viene fornito come informazione, stop, e per me è troppo poco.

Forse è per questo che, non volendo, ho cominciato a cercare tutti i difetti del protagonista che, seppur ben costruito, non ha saputo reggere il peso del racconto.

L’ho trovato a tratti odioso, con tutte le sue citazioni a classici della narrativa, italiana e non, con quel suo atteggiarsi da intellettualoide che hanno guastato l’idea che avrei potuto farmi di lui. È stato il punto dolente della narrazione a cui, altrimenti, avrei assegnato ben più della sufficienza.

In ogni caso, merita la promozione, sebbene ci sia ancora qualcosa che possa essere migliorato. Provare per credere!

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Una giornata di nebbia a Milano
  • Vanzina, Enrico (Autore)

Articolo protocollato da Davide Pietrafesa

Sono Davide, studente fuori sede classe ’98, e mi piace definirmi uno scrittore in erba. Scrivo per esplorare gli infiniti spazi della mente umana; forse è per questo che i miei personaggi sono grigi, cinici e abbastanza problematici. Amo leggere ogni genere di romanzo, macinare pagine e pagine d’inchiostro. Devo questa fortunata passione alla mia famiglia, la quale mi ha sempre incalzato a perdermi tra le righe. Nutro un amore sconfinato per la storia e la scienza, cosa che spesso mi spinge a fantasticare sulla reincarnazione e su come poterne dimostrare l’esistenza. Per il resto, sono un convinto ambientalista, amo l’inverno e la mitologia. Puoi trovarmi su Instagram, segui @_d.have

Davide Pietrafesa ha scritto 23 articoli: