A noi preme soltanto il bordo vertiginoso delle cose”.

In questi versi di Robert Browning, Graham Greene, quarto di sei fratelli in una rigida famiglia inglese primonovecentesca, amava ritrovare la tinta di fondo del suo pensiero letterario, un fil rouge ricorrente e ciclico, inquieto e destabilizzante, retaggio di un’esistenza trascorsa per gran parte a destreggiarsi in equilibrio precario su un destino scivoloso: la traumatica formazione collegiale, il tentato suicidio, il bastone paterno, il folgorante ma effimero abbraccio agli ideali comunisti e il definitivo rifugio nei credo cattolici marchiano il romanziere di Berkhampsted a tal punto da indirizzarne l’attenzione verso le contraddizioni dell’essere e i pantani limacciosi che infangano le coscienze. Drammaturgo, critico, sceneggiatore e addirittura agente segreto agli ordini di Sua Maestà Britannica, depositario di unanime plauso accademico grazie a lavori di stampo sociale che gli frutteranno prestigiosi riconoscimenti, Greene subisce comunque il fascino della narrativa di più vasta scala, tanto che tra il 1932 e il 1936 decide di dare alle stampe quelli che egli stesso ribattezza come “i miei divertimenti”, due brevi romanzi polizieschi impostati su intrecci d’impatto e sul ricorso a vincenti meccanismi di show don’t tell mutuati dal montaggio cinematografico: “Il treno per Istanbul” (1932) e “Una pistola in vendita” (1936), quest’ultimo ristampato da Sellerio Editore il mese scorso, in una veste impreziosita da nota di apertura di Giancarlo De Cataldo, ricca postfazione di Domenico Scarpa e calibrata traduzione di Adriana Bottini.

Londra, metà anni trenta. Le relazioni diplomatiche tra Grandi Potenze vacillano e sulla cartografia dell’Europa prenazista aleggia lo spettro di un nuovo conflitto mondiale. Raven, uno spietato sicario, la pistola in vendita, viene assoldato da un misterioso committente per eliminare un ministro cecoslovacco, anziano socialpacifista impegnato in una campagna di sensibilizzazione sulle condizioni dei ceti meno abbienti e di riqualificazione urbanistica a beneficio dell’elettorato povero. Il killer sbriga un lavoro pulito, asettico, inappuntabile. Da manuale. Un vago sentore di polvere da sparo, tre proiettili silenziati e un enigmatico biglietto infilato tra le dita della vittima. Altrettanto piombo per la malcapitata segretaria, testimone scomoda e occhialuta. Due crani polverizzati e neppure la minima sbavatura. Le conseguenze dell’assassinio non tardano a riverberarsi sul già pencolante panorama politico internazionale: le forze alleate assegnano alla Serbia, presunta mandante dell’attentato, un ultimatum di quarantotto ore minacciando l’uso della forza in caso di mancata adesione. Guerra alle porte, la tensione sociale impazza in strada. Intanto Scotland Yard fiuta le tracce di Raven, scatenando una feroce caccia all’uomo che si spingerà fino alla cittadina di Nottwich e coinvolgerà sia la trasognante attrice Anne Crowder, sia il suo valoroso promesso sposo Jimmy Mather, l’ispettore capo maniaco della pianificazione incaricato di condurre l’indagine sull’omicidio del politicante straniero.

Tra pagine cariche di suspence e aplomb d’oltremanica, Greene dirige magistralmente questa sinfonia dell’antieroe, assegnando il primo violino ad un protagonista che eclissa il resto della pur talentuosa orchestra. Un individuo scaltro e rancoroso, Raven l’assassino. L’imperatore del fallimento. Il boia dal labbro leporino e “una scheggia di ghiaccio nel petto”. Uno che dalla vita ha incassato solo schiaffi e cocenti delusioni:

O Gesù fa che sia possibile… ma Raven era stato segnato, destinato a finire così, a essere tradito di volta in volta da tutti, finché ogni strada verso la vita fosse inesorabilmente bloccata: da sua madre sanguinante nel seminterrato, dal cappellano dell’orfanotrofio, dal dottore di Charlotte Street. Come aveva potuto pensare di sfuggire al tradimento più banale di tutti?”.

Un ingombrante fardello che appesantisce Raven dalla nascita, lo schiaccia e incarognisce, soffoca e assilla, lo costringe a prendere le distanze da un universo cosparso di insidie e tagliole, ma che durante la sua fuga notturna dalle autorità, in mezzo a ammassi di carbone, fabbriche di colla e maschere antigas, andrà man mano svuotandosi per merito di un’inattesa compagnia femminile, in grado di scavare un varco tra le difese dell’omicida e lasciar filtrare nella sua anima nera la luce tremula della speranza. Il bagliore accecante della fiducia. La stella polare della pietà, che orienterà quel “tizio malnutrito dall’attillato tubo scuro, il cappello floscio e il pacchiano completo a quadri bucato sui gomiti” lungo un sofferto cammino di redenzione e rinascita.

Sul piano stilistico, Una pistola in vendita si distingue per la preziosa terza persona onnisciente – scelta rara, lodevole e coraggiosa in componimenti per antonomasia improntati su fasi di azione, anziché di stasi -, che regola il ritmo frenetico e l’incalzante susseguirsi di eventi attraverso mirabili passaggi di respiro, aprendo il campo a una meticolosa indagine introspettiva, a spaccati di vissuto, tribolazioni e paure recondite che agguantano i personaggi e li scaraventano negli abissi della psiche a fronteggiare le proprie debolezze, a constatare e saggiare inermi i propri limiti. Una penna più affilata di un bisturi e il vocabolario sterminato confezionano un prodotto di assoluto pregio, immune alla contaminazione delle mode e ai benestare di comodo, un degno rappresentante di quel filone di scrittura che nonostante il trascorrere del tempo mantiene il carisma per imprimere sul lettore i segni indelebili della sua magnificenza. Oggi. Domani. Sempre.

In conclusione, per Natale regalatevi una pistola.

In cellulosa e cartoncino e dalle dimensioni di una bibbia tascabile, s’intende.

Esattamente come quella che Sellerio Editore ha messo in vendita in qualsiasi libreria nostrana.

Non ne rimarrete delusi, fidatevi.

Va sempre a segno.

Recensione di Lorenzo Garzarelli.

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Una pistola in vendita
  • Greene, Graham (Autore)

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